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Oggi PASSOININDIA compie un anno. IL 30 SETTEMBRE 2012 cominciavamo questa strana avventura. Chi scrive in questo momento era molto scettico sull’utilità, per se stesso, di un blog in termini di valore aggiunto culturale. E invece, oggi, può dire di essersi sbagliato. Aprire e mantenere un blog è come gestire un grande giornale perché si sente l’impegno, in termini di aggiornamento e affidabilità, che gli altri si aspettano, perché ti accorgi che quando scrivi non lo fai più solo per te. Alla base cresce la voglia di condividere una passione, un interesse, un qualcosa che faccia stare bene, perché, senza dubbio, ne abbiamo tutti bisogno. E poi c’è la cultura, l’informazione, la formazione, ormai così carenti in questa società; siamo sempre stati convinti che lo sviluppo di una persona sia direttamente proporzionale alla sua conoscenza che, per assolvere il compito, deve essere di certa qualità. In questo mondo tristemente fondato sulla sterilità dell’ immagine più che sulla costruttività della parola abbiamo scelto di chiamarci solo PASSOININDIA raccontando storie personali e del mondo indiano. Questa occasione ci serve anche per ringraziare coloro che hanno voluto premiarci, dimostrandoci affetto ed interesse (e non ce ne vorranno se ci è mancato il coraggio di proseguire la catena delle nomination), e chi è stato costantemente presente con un commento, un like, o la sua iscrizione perché questo è il premio che ci conferma di aver fatto un buon lavoro e da cui sono nate amicizie basate su rapporti incondizionati e quindi importanti. Abbiamo scelto di non parlare di politica perché ne abbiamo piene le tasche e vogliamo respirare aria pulita. Il mondo dei blogger, che prima non conoscevo, pullula di stimoli perché esalta il valore di raccontarsi e di raccontare, diventando così utile per chi scrive e per chi legge. E’ un’ottima terapia cresciuta sulla libertà di espressione e sulla ricchezza delle diversità. E’ una nicchia che ricorda quei café parigini dove nascevano le idee illuministe che avrebbero cambiato il mondo. BRAVI RAGAZZI, BRAVI A TUTTI!

Perché dare è la migliore forma di comunicazione.

Omicidio d’onore

L’omicidio per onore, è l’omicidio di un membro di una famiglia o di un gruppo sociale da parte di altri membri che ritengono che la vittima abbia disonorato e portato vergogna sulla famiglia o sulla comunità. E ‘una pratica tradizionale che si verifica in varie culture, indipendentemente dal credo religioso, per ragioni, tra le più comuni, legate al rifiuto di un matrimonio combinato, all’avere un rapporto disapprovato dai parenti, al fare sesso fuori del matrimonio, al vestirsi in modi ritenuti inappropriati,o, ancora all’ impegnarsi in relazioni omosessuali. L’omicidio per onore è frequente in India, soprattutto al Nord. Negli ambienti tradizionali ci sono norme culturali severe che regolano “chi può sposare chi”, una decisione che di solito è lasciato alle famiglie . Rompere queste regole può portare vergogna per le famiglie delle coppie,e conseguenze gravi per I “promessi” sposi che non si sottomettono alle regole. La settimana scorsa a Rohtak, nello Stato di Haryana, una coppia di giovani ventenni è stata uccisa davanti a tutti dalla famiglia della ragazza. Si chiamavano Dharmendra Barak e Nidhi Barak e hanno pagato con la vita perché volevano sposarsi, contraddicendo così le loro famiglie che ne impedivano l’ unione appartendendo essi allo stesso ‘gotra‘ (lo stesso cognome infatti denota l’appartenenza allo medesimo clan – questo vuol dire gotra – e tra membri dello stesso gotra non è possibile sposarsi perché si è come fratelli). L’uccisione è già di per sè una cosa orribile, ma ancora più scioccante è stata la reazione delle famiglie e dei vicini che hanno sostenuto l’omicidio. Il padre di ragazza ha detto che “Qualunque cosa ho fatto è stato giusto e per onore. Se anche gli altri si comporteranno come me, tutto ciò (matrimoni d’amore, in violazione delle norme sociali), non succederà più. “.

Nel 2011, la Corte suprema dell’India ha affermato che gli assassini d’onore devono essere giustiziati con la pena di morte. Il governo centrale ha chiesto ad ogni Stato di agire contro i Khap Panchyats (i consigli locali che rappresentano i clan, le comunità e le caste), che sanciscono questi delitti d’onore, e ha cercato di lavorare su una legge che controlli questi assassini. Mentre alcuni Stati come Assam, Bihar e Chhattisgarh hanno sostenuto questa direzione, Stati come Gujrat, Jarkhand, Maharastra non hanno preso mai inziative in tal senso. L’unico stato che è completamente contrario a tale normativa è Haryana. I Khap Panchayats (che si trovano soprattutto in Haryana, Uttarpradesh e Rajastan) hanno una grande influenza sui villaggi e quindi sono determinanti sul destino politico di un partito e pertanto nessuno si è sorpreso quando “il giovane ed educato” ministro di Rohtak ha ripetuto a pappagallo la vecchia solfa: i Khap panchayats non sono poi così male, il codice etico indiano è abbastanza forte per affrontare tali crimini e quindi non c’è bisogno di una legge specifica per tali uccisioni.”. La riluttanza di alcuni Stati a lavorare ad una legge contro questa tremenda pratica è allarmante.

Le tribù dell’Orissa (India)

In India vi è un amalgama di 437 tribù di cui 62 solo in Orissa (o Odisha) che corrisponde a circa sette milioni di persone ovvero il circa 22,21 % della popolazione totale dello Stato. Linguisticamente le tribù dell’India sono classificate in quattro categorie, quelle di lingua indo–ariana, quelle di lingua dravidica, quelle di lingua tibetano-birmano e quelle di lingua austric. ln Orissa manca il ceppo lingustico tibetano-birmano mentre sono presenti gli altri tre che, a loro volta, comprendono altre sottosuddivisioni linguistiche. Tuttavia queste tribù hanno in comune caratteristiche socio-culturali che rendono omogenea la loro primitiva cultura tribale.
I loro villaggi, in maggioranza unietnici, sono situati in zone collinose o boscose e solitamente lontane dalle pianure alluvionali vicino ai fiumi. Vivono di caccia, pesca e agricoltura. Questa economia di sussistenza, limitata a soddisfare i bisogni della famiglia, è caratterizzata da una tecnologia semplice, con produzioni in piccola scala e nessun investimento di capitali. E’ una economia primitiva dovuta alla povertà dell’ambiente e alla mancata conoscenza di efficienti tecniche di sfruttamento delle risorse naturali, che implica anche l’esistenza del baratto e la mancanza di scambi commerciali. Non ultime, l’assenza di energia per l’irrigazione, l’inadeguatezza delle strade, che spesso neppure esistono, la mancanza di istruzione e di prospettive di modernizzazione.
Le tribù Kharia, Mankidi, Mankidia e Birhor dipendono esclusivamente dalle risorse forestali per il loro sostentamento, praticando la caccia e la raccolta. Vivono in piccolissime capanne provvisorie fatte con i materiali trovati nel bosco e la loro visione del mondo è pienamente in armonia con l’ecosistema forestale. Le tribu’ Koya, che appartengono al gruppo linguistico dravidico, sono pastori e stanno affrontando la loro crisi per mancanza di pascoli.
I Loharas, abili artigiani, vivono producendo primitivi utensili in ferro e legno anche per altre tribù vicine. I Mahalis si guadagnano da vivere facendo i cestini per altre comunità. Entrambe le tribù si trovano ad affrontare il problema della scarsità di materie prime. Ci sono poi tribù (Juang, Bhuyan, Kondh, Saora, Koya, Parenga, Didayi, Dharua e Bondo) che praticano la rotazione nella coltivazione anche spostandosi da un luogo all’altro. Le tecniche di coltivazione comprendono la scelta di un terreno adatto, il taglio degli alberi e degli arbusti che verranno bruciati per utilizzare la cenere come concime, la semina, la protezione delle colture, soprattutto dai monsoni, la raccolta, la trebbiatura e la conservazione dei prodotti.
Tutti i membri della famiglia sono coinvolti in queste operazioni. I maschi adulti, tra i 18 ei 60 anni di età, fanno il faticoso lavoro del taglio degli alberi, l’aratura, la zappatura e la sorveglianza notturna delle colture, mentre la pulizia dei semi per la semina e il diserbo sono curati dalle donne.
Altre grandi tribù, come i Santal, Munda, Ho, Bhumij, Oraon, Gond, Mirdha, Savara ecc. integrano la loro economia agricola con la caccia.
Nel corso degli ultimi trenta anni una considerevole parte delle comunità tribali, quelle più avanzate, Santal, Munda, Ho, Oraon, Kisan, Gond ecc. si è trasferita verso le miniere e le aree industriali e urbane per guadagnarsi un lavoro salariato.
In alcuni casi, l’industrializzazione e l’attività estrattiva ha portato allo sradicamento dei villaggi tribali e alla creazione di nomadi industriali spesso frustrati dalla mancanza di lavoro.
Fra le tribù la specializzazione dei ruoli sociali è basata soprattutto sulla differenziazione in termini di parentela, di sesso e nei mestieri, se escludiamo i ruoli specifici di capo villaggio, prete, sciamano (sacerdote, profeta e uomo di medicina) e di Haruspex (colui che è addestrato a praticare le forme di divinazione). La posizione del sacerdote e del capo del villaggio è ereditaria. Le pene e le misure correttive stabilite dalla comunità in caso di violazione di norme comportamentali sono proporzionali alla gravità della violazione stessa e vanno dal semplice ammonimento orale ad altre misure, come le punizioni corporali, l’imposizione di sanzioni, il pagamento di un indennizzo e la scomunica dalla comunità.
Per quanto riguarda l’acquisizione di spose per il matrimonio, la prassi più diffusa tra le tribù dell’Orissa è attraverso la “cattura” , ma non mancano pratiche di acquisto e di negoziazione per combinare il matrimonio. Il pagamento del prezzo della sposa, anche in termini di dote, è una parte inseparabile del matrimonio tribale.
La religione delle tribù dell’Orissa è un miscuglio di animismo, animalismo,natura-culto, feticismo, sciamanesimo e antropomorfismo e comprende anche il culto degli antenati cioè un insieme di pratiche e credenze religiose basate sull’idea che i membri defunti di una famiglia veglino sui propri discendenti e siano in grado di influire positivamente o negativamente sul loro destino. Tutte queste credenze e pratiche, anche occulte, totemiche e soprannaturali, hanno lo scopo di garantire la sicurezza personale e la felicità così come il benessere della comunità e della solidarietà di gruppo allo scopo di assicurare una condizione economica stabile, il recupero della fertilità in declino del suolo, la protezione delle colture dai danni, il benessere umano e del bestiame, la sicurezza contro gli animali predatori e i rettili velenosi e di ottenere una buona resa delle colture annuali e perenni. Il ciclo annuale dei rituali comincia proprio con l’inizio di operazioni agricole in una data fissata dal capo villaggio in consultazione con la figura religiosa del villaggio.
Il Pantheon delle divinità, nella maggior parte dei casi, è costituito dal Dio Sole e dalla Madre Terra e da una gerarchia più bassa di Dei e spiriti, classificati in benevoli, che portano prosperità, e malevoli, che portano miseria. Una peculiarità del culto tribale è l’offerta del sangue di un animale o di un uccello, e a tali sacrifici e rituali vengono chiesti la felicità e la sicurezza in questo mondo, l’abbondanza dei raccolti, la protezione del bestiame, delle piante e della progenie. La malattia non è naturale per un tribale, ma è considerato una derivazione della macchinazione di alcuni spiriti maligni o dell’indignazione degli spiriti degli antenati o degli dei. A volte, la malattia è anche considerata come la conseguenza di certe cadute di comportamento da parte di un individuo o di un gruppo. Pertanto la liberazione deve essere ricercata attraverso la propiziazione e l’osservanza dei riti.
Le popolazioni tribali esprimono la loro identità culturale nella loro organizzazione sociale, nella loro lingua, nei loro rituali, nelle loro feste e anche nel loro modo di vestire e di ornarsi, nella loro arte e artigianato. Le tribù hanno mantenuto il loro modo di gestire gli affari interni del villaggio principalmente attraverso due istituzioni e cioè , il consiglio del villaggio e il “dormitorio dei giovani” che è il cuore della cultura tribale e rafforza le antiche tradizioni. La Mandaghar è la capanna più grande, formata da tre muri ed aperta davanti, con parti in legno e simboli decorativi di animali raffigurate sulle pareti. I ragazzi vi appendono il loro changu, un tamburello piatto come un tamburo che viene utilizzato al momento della danza. Davanti alla Mandaghar vi è infatti un piccolo spazio aperto dove si svolge la danza quasi ogni sera alla fine della giornata di lavoro. Il dormitorioè per così dire una scuola di danza e di espressione dell’arte della comunità. Gli anziani del villaggio si riuniscono ogni giorno in questa capanna per discutere di eventi importanti o per la celebrazione delle feste paesane. La grande capanna diventa quindi il centro della vita sociale, economica e religiosa della villaggio .
L’incredibile insieme di tradizioni, credenze e filosofie che insieme costituiscono i rituali e le feste delle tribù è disceso dall’antichità ed è stato conservato inalterato fino ai giorni nostri. Ogni aspetto della vita tribale è intimamente connesso con le credenze religiose e le pratiche rituali. Sono questi aspetti della loro cultura che danno senso e profondità alle loro vite.
Le tribù credono che la loro vita ed il loro lavoro siano controllati da esseri soprannaturali cui la residenza è intorno a loro, sulle colline, nei boschi, nei fiumi e nelle case.
E ‘molto difficile standardizzare gli dei e gli spiriti poiché la loro composizione cambia continuamente quando quelli vecchi vengono sostituiti dall’introduzione di nuovi. Ma tutti gli atti rituali sono diretti a stimolare i processi naturali. La malattia o la sfortuna sono attribuite al dispiacere e all’ atto doloso degli Dei o degli antenati. La natura estremamente superstiziosa del tribale vieta lo svolgimento di qualsiasi attività a meno che gli Dei vengano prima placati ed i presagi siano resi propizi.
Le cerimonie e le feste delle tribù possono essere classificati in due gruppi, quelle che riguardano le singole famiglie e quelle che riguardano il paese nel suo complesso. Le cerimonie e riti relativi alla nascita di un figlio, il matrimonio, la morte si osservano in famiglia, quelle riguardanti il ciclo agricolo e la caccia, ecc. sono osservati nella comunità del villaggio .
Con il passare del tempo si nota la presenza di riti mutuati dal Pantheon Hindu, come l’ adorazione di Siva, Parvati e Jagannath e la celebrazione di feste indù come Raja , Laxmipuja , Dasahara e Gamha stanno diventando sempre più popolari.
Le tribù dell’ Odisha, hanno conservato il loro patrimonio ricco e variegato di danza colorata e musicale che forma parte integrante delle loro feste e rituali. Attraverso i canti e le danze queste tribù cercano di soddisfare la loro spinta interiore per rivelare la loro anima e dare espressione ai loro sentimenti interiori, alle loro gioie e dolori, ai loro affetti naturali e alla passione ed apprezzamento della bellezza in natura e nell’uomo. Il modello di danza e musica varia da tribù a tribù, ma ci sono alcune caratteristiche comuni. Il ritmo viene mantenuto dal battere di mani o di tamburi o da una orchestra di strumenti diversi. Ogni danza è accompagnata da una canzone. Uomini e donne, giovani e meno giovani danzano e cantano ma l’orchestra di accompagnamento o la musica è di solito fornita dai membri maschi. La danza tribale si caratterizza non solo per la sua originalità e spontaneità, ma anche per la sua vasta gamma di movimenti perché molte parti del corpo, come la testa, la schiena, le braccia, i piedi e le dita sono messi in gioco.
Come la danza, anche le canzoni differiscono da una tribù all’altra. Comunque, nelle tribù tutti sono potenziali musicisti e poeti e, quando felicemente ispirati, possono realizzare una canzone e cantarla. Queste canzoni contengono barzellette, romanticismo, satire, critiche, rabbia. Anche se non vi è modernità e finezza, le idee sono naturali, le composizioni buone, stimolanti e melodiose. I canti eseguiti in occasione delle puja (preghiere) e delle feste religiose descrivono la storia degli dei, il processo di creazione e alcune storie epiche.
L’ abilità artistica e il senso estetico dei popoli tribali non si manifesta solo nella danza e nella musica, ma anche nel modo di vestire e negli ornamenti, negli affreschi che decorano la grande capanna, nelle sculture in legno e nelle decorazioni (ad esempio disegni floreali e geometrici, figure di piante, animali e esseri umani). Le donne, anche abili nel ricamare, adorano gli ornamenti del corpo e, a seconda della tribù di appartenenza, indossano fasce di erba, collane di perline colorate e guaine in ottone. Le tribù producono ottimi lavori artigianali realizzati con legno, metallo, canna di bambù, vimini ecc.
Ecco alcune delle famose danze delle tribù dell’Orissa:
Le danze della tribù Juang sono la “Chaangu danza” eseguita da uomini e donne, la danza dei cervi, la danza dell’elefante, la danza dell’arco, la danza del piccione, il ballo dell’orso, la danza dell’uccello il ballo del pavone. Non hanno alcun abito speciale per la danza ma esprimono in essa tutta la loro felicità. Mentre la danza ha luogo, le ragazze stanno in una linea retta davanti ai ragazzi. Poi, la linea diventa semicircolare e le ragazze si tengono per mano e si muovono, flettendosi, avanti e indietro. Ugualmente, i ragazzi stanno in linea retta che diventa una curva durante la danza. Gli strumenti musicali utilizzati sono il tamburo e il tamburello.
Le tribù Saoras non ballano frequentemente come le Juangs e la loro danza è molto semplice e meno artistica e si svolge di solito durante le cerimonie, le feste , i matrimoni, e quando qualche persona importante visita il loro villaggio. Nella loro danza, gruppi di uomini e donne ballano insieme a ritmo di musica, indossando costumi colorati, spesso decorati da piume di uccello bianco e piume di pavone. Vecchie stoffe di cotone e seta colorate sono utilizzate dagli uomini come turbante e dalle donne avvolte intorno al petto. Mentre ballano portano spade, bastoni, e altri attrezzi che fanno suoni particolari. Gli strumenti musicali utilizzati sono costituiti da oggetti di varie dimensioni tra cui i piatti in ottone.
Tra i Gonds la danza viene eseguita durante tutto l’anno oltre che in particolari occasioni come il matrimonio. I ragazzi, per ballare, si vestono con grembiuli colorati ornati con piccoli pezzi di specchio e turbanti decorati con conchiglie. Le ragazze sono vestite in sari tessuti a mano e ornamenti d’argento. Un gruppo di danza è normalmente formato da 20 o 30 persone di entrambi i sessi ma solo i ragazzi e le ragazze non sposate partecipano alla danza. I ragazzi suonano gli strumenti musicali, tra cui tamburi di legno. Le ragazze ballano in cerchio con semplici passi, piegando il corpo in avanti.
Le tribù Koya danzano un ballo vario e sofisticato. L’occasione più importante per la danza è il culto della dea madre nel mese di Chaitra (aprile-maggio). Normalmente sia i ragazzi che le ragazze partecipano al ballo ma al festival partecipano solo ragazze. Durante il ballo, le ragazze fanno ritmo battendo bastoni per terra dotati di piccole campane. I gruppi di ballo sono formati da circa 30 a 40 persone. Il movimento più cospicuo di questa danza è il complicato avvolgimento e svolgimento dei cerchi formati dalle ragazze.
La danza dei Gadaba viene eseguita da donne che indossano i famosi sari ” Keranga ” e hanno un particolare stile di capigliatura. Gli uomini suonano gli strumenti musicali. Le donne formano dei semicerchi con passi di tre e quattro, che a poco a poco cambiano a otto. Il corpo è spesso piegato in avanti. Mosse molto abili sono fatte sui talloni .
La danza dei Kondh è per lo più limitata a ragazzi e ragazze non sposate e consente la libera miscelazione dei sessi. Le danze sono eseguite soprattutto quando i ragazzi o le ragazze di un villaggio arrivano a visitate un altro villaggio. La danza costituisce un elemento nella routine quotidiana della tribù Kondh quando i ragazzi e le ragazze si incontrano dopo la fatica della giornata . Nessuno strumento accompagna la danza delle Kondhs di Koraput. Le ragazze ballano in linee ed i ragazzi ballano dietro e di fronte a loro. La danza dei Kondh di Phulbani è più colorata. Le ragazze indossano sari in due pezzi e cavigliere. Ballano in fila, di fronte a file di ragazzi che cantano canzoni e suonano tamburi. Le canzoni giocano un ruolo molto importante nella danza. Danze speciali vengono eseguite durante il sacrificio del bufalo, chiamato festival Kedu .
La danza dei Parajas, durante il mese di Chaitra, dura dal tramonto all’alba. Le ragazze indossano coloratissimi sari, gioielli in argento e ottone, tenendo un mazzo di penne di pavone nelle loro mani. I movimenti sono estremamente aggraziati e la musica è fornita dal tamburo, dal flauto e dal ” Dudunga “, uno strumento a corda.
La ceramica è usata per i rituali, anche a forma di animali, i templi e gli oggetti di uso quotidiano come tegole, utensili, vasi, ciotole, piatti e boccali, stufe da cucina e giocattoli. Il bambù serve per fare cesti di varie forme, corde, stringhe, scope ed altro.
Speciali argille e bio-rifiuti vengono trattati e usati per il corpo. Con la carta e gli stracci viene realizzata la cartapesta. L’intonaco nelle abitazioni è spesso il mezzo della donna rurale per esprimere la sua creatività che si riflette in termini di colori e simboli che testimoniano la stretta identificazione dell’uomo con la natura. Dalla creta si ottiene il colore ocra , il grigio antracite e il bianco che sono usati naturalmente o sono miscelati con pigmenti acquistati dai mercati. Le forme sono prevalentemente geometriche, una linea retta, onde, triangoli che hanno il loro significato, ma quello della fertilità è implicito in tutti loro. Gli strumenti utilizzati per l’applicazione degli intonaci sia sulle pareti o i pavimenti delle capanne sono ramoscelli, dita, mani e stracci. Con la pietra si fanno oggetti di uso quotidiano e tradizionali sculture religiose o decorative. Almeno 200 diverse varietà di riso vengono prodotte o crescono spontaneamente. Alcune sono per il consumo durante le feste e i matrimoni, altri per il loro sapore, il colore o l’odore, e altri ancora sono coltivate per le loro caratteristiche di antiparassitari o per rendere più fecondo il suolo. Diverse piante vengono utilizzate per il loro valore medicinale. Per esempio, il fusto della pianta “Hadbhanga” viene applicato alle ossa fratturate per una una più rapida calcificazione e il frutto del ‘Utkapali’ è usato per curare l’emicrania. La conoscenza e l’ uso di coloranti vegetali e minerali naturali risale a tempi preistorici in India e tuttavia, dopo che i colori chimici hanno invaso i mercati, solo un piccolo numero di tintori ha proseguito nell’utilizzo di coloranti naturali come l’indaco. Le foglie secche vengono usate in molti modi anche per fare cappelli che assicurano ai braccianti e allevatori una protezione dal sole e sono impermeabili. Nei templi e alle feste di paese , il cibo è ancora servito in piatti e ciotole di foglie. Le donne di alcune tribù utilizzano il rifiuto di un insetto, una specie di lacca, per realizzare scatole di canna e figure in terracotta decorate con motivi naturali, geometrici, religiosi.
Anche il metallo, il bronzo e i minerali vengono utilizzati per realizzare prodotti che combinano funzionalità ed estetica.
I quadri tribali sono come preghiere che diventano parte delle offerte fatte a dèi, antenati e spiriti. I membri della tribù Saora disegnano pittogrammi rituali sulle pareti interne delle loro abitazioni di fango detti ‘Ittlans’ . Le icone sono dipinte per conservare l’abbondanza dei raccolti, scongiurare la malattia, onorare i morti, promuovere la fertilità e così via. Lo spirito è infatti invocato e invitato a occupare quella pittura tridimensionale. Dal momento che sono fondamentalmente le espressioni di una comunità agricola vi è l’accento sulla natura, la vita all’aria aperta e anche sul ciclo di aratura, semina e raccolto. Ma poiché il mondo esterno incide sempre più sulla loro vita, auto, sedie, tavoli e aerei hanno cominciato ad apparire nei dipinti.
Il vestito dei tribali non serve solo a coprire il corpo ma anche riflette l’identità culturale e il sentimento di appartenenza ad alla tribù. I tribali utilizzano costumi diversi secondo le occasioni. I costumi dei membri maschi della tribù sono differenti da quelli delle femmine che prestano maggiore attenzione nel coprire il loro corpo. Una donna tribale indossa anche una varietà di abiti, dalla sua nascita alla morte, corrispondenti alle diverse fasi della sua vita. Per esempio, una fanciulla si adorna di bei vestiti per attirare l’attenzione degli altri, mentre la sacerdotessa indossa abiti formali per adorare gli dei. L’abito aiuta anche a superare le avversità e a propiziare gli dei e le dee che li tutelano contro il male. L’ abito varia anche a seconda della posizione del singolo nella società, (ad esempio come capo del clan, sacerdote, ecc) oltreché secondo le occasioni (matrimonio, nascita, morte, culto, danza ecc.). La semplicità o meno di un abito dipende dall’uso che se ne fa, quindi è semplice un abito da lavoro mentre per la spesa al mercato o per la visita di una fiera o la partecipazione ad una festa si sceglie un vestito più esuberante.
Ci sono diverse tribù come il Bondo e Gadaba che tessono i loro vestiti, mentre le altre tribù acquistano il loro abito da un’altra comunità. L’abito tribale e gli ornamenti per lo più derivano da gruppi non-tribali perché ci sono pochissimi artigiani tribali. Gli artigiani tessitori non-tribali vivono proprio accanto ai villaggi tribali e producono i costumi di una tribù specifica vendendoli poi nel mercato settimanale del villaggio. Questi tessitori vengono pagati in contanti o in natura sotto forma di prodotti agricoli. I costumi tribali sono molto semplici e forniscono immenso conforto a chi li indossa .
La natura artistica dei tribali è innata nel loro cuore e nella loro mente. Per loro l’essenza artistica ed estetica è quella di rendere la vita più piacevole e per soddisfare le esigenze culturali, sociali e religiose. L’arte è la base e il fondamento della vita tribale oltreché’ esserne il riflesso economico, sociale e culturaleed espressione di una ricerca interiore. Il costume tribale esprime l’unicità della specifica comunità, , la sua identità . Il possesso del giusto tipo di vestito è una questione di orgoglio e una grande fonte di entusiasmo. Il “Ringa” dei Bondos e lo scialle ricamato dei Dangarias hanno un significato sociale e culturale speciale. Lo scialle Dangria ha un collegamento diretto con la relazione coniugale e il successo della vita coniugale dipende proprio da esso. I bei costumi da danza dei Saoras sono una bella testimonianza del loro ricco patrimonio culturale .
Partiti dall’utilizzo di foglie e cortecce di albero per fare vestiti, le tribù hanno iniziato l’estrazione di fibre dalle cortecce, venendo poi a conoscenza delle fibre e della tessitura. Diversi alberi della foresta espellono colore dalla loro corteccia che i tribali i utilizzano per tingere il filo ottenuto dal bambù e da altri alberi. Cosi fanno loro stessi i fili colorati per la tessitura, anche usando la curcuma, oppure li acquistano dal mercato. Ad alcune tribù piace indossare abiti di un unico colore, mentre ad altre piace usare vestiti multicolori e ricamati. Da quando i tribali sono venuti a contatto con il mondo civilizzato e acquistano i loro vestiti dal mercato, si ha un conseguente decadimento della loro cultura. In alcune comunità tribali la cultura del vestito è in completo stato di estinzione e alcune comunità hanno iniziato ad indossare gli abiti non-tribali, specialmente i sari in stoffa stampata prodotta dalle industrie tessili. I giovani di queste tribù non sono affatto preoccupati per l’esaurimento della loro cultura e la disintegrazione della loro vita sociale e comunitaria anche se i membri più anziani esprimono il loro malcontento. Anche il processo di deforestazione è responsabile della distruzione parziale della loro vita culturale. E’ un momento delicato per le tribù dell’Orissa, per la loro cultura che rischia la decomposizione.
Liberamente tradotto da http://www.orissatourism.gov.in/new/tribal.htm
foto da : http://www.survivalinternational.it