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Dammi il supremo coraggio dell’amore.
Questa è la mia preghiera:
coraggio di parlare, di agire, di soffrire,
di lasciare tutte le cose, o di essere lasciato solo.
Temprami con incarichi rischiosi,
onorami con il dolore,
e aiutami ad alzarmi ogni volta che cadrò.Dammi la suprema certezza dell’amore.
Questa è la mia preghiera:
la certezza che appartiene alla vita nella morte,
alla vittoria nella sconfitta,
alla potenza nascosta nella più fragile bellezza,
a quella dignità nel dolore,
che accetta l’offesa,
ma disdegna di ripagarla con l’offesa.
Dammi la forza di amare
sempre e ad ogni costo.
con un cappello rosso che non si intona e non mi dona
e spenderò la mia pensione in brandy e in guanti estivi
e in sandali di satin, e poi dirò che non abbiamo soldi per il burro.
E mi siederò sul marciapiede quando sarò stanca
e arrafferò gli assaggi nei negozi e premerò i campanelli degli allarmi
e farò scorrere il mio bastone lungo tutte le inferriate
e mi rifarò della sobrietà della mia gioventù
Uscirò in pantofole sotto la pioggia
e raccoglierò i fiori nei giardini degli altri
e imparerò a sputare.
Potrò indossare terribili camicie e ingrassare
e mangiare tre libbre di salsicce in una sola volta
o solo pane e sottaceti per una settimana
e accumulare nelle scatole penne e matite e sottobottiglia da birra e cianfrusaglie
Ma ora dobbiamo mettere vestiti che ci rendano sobri
e pagare l’affitto e non imprecare per strada
e dare il buon esempio ai bambini.
Dobbiamo avere amici a cena e leggere i giornali.
Ma forse dovrei cominciare a fare un po’ di pratica adesso?
Così la gente che mi conosce non rimarrà troppo scioccata e sorpresa
quando d’improvviso sarò vecchia e comincerò a vestirmi di viola
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Warning
When I am an old woman I shall wear purple
With a red hat which doesn’t go, and doesn’t suit me.
And I shall spend my pension on brandy and summer gloves
And satin sandals, and say we’ve no money for butter.
I shall sit down on the pavement when I’m tired
And gobble up samples in shops and press alarm bells
And run my stick along the public railings
And make up for the sobriety of my youth.
I shall go out in my slippers in the rain
And pick flowers in other people’s gardens
And learn to spit.
You can wear terrible shirts and grow more fat
And eat three pounds of sausages at a go
Or only bread and pickle for a week
And hoard pens and pencils and beermats and things in boxes.
But now we must have clothes that keep us dry
And pay our rent and not swear in the street
And set a good example for the children.
We must have friends to dinner and read the papers.
But maybe I ought to practice a little now?
So people who know me are not too shocked and surprised
When suddenly I am old, and start to wear purple.
Questa è la storia dei Kalbeliyas, induisti, noti anche come Sapera,Jogira o Jogi, originari della regione di Barmer, in Rajasthan, tribù nomade di zingari, tradizionalmente noti come incantatori di serpenti (vedi su questo blog il post “Incantatori di serpenti”) che hanno trovato una fonte alternativa di reddito dalla danza e dai canti tradizionali delle loro donne che ballano nei loro tipici abiti dai colori e ricami accuratamente accostati, mentre gli uomini suonano strumenti a percussione tra cui il pungi,originariamente utilizzato per ipnotizzare i rettili. I movimenti della danza hanno somiglianze con quelli dei serpenti. Vivono in spazi fuori dal villaggio in campi di fortuna chiamatiDeras, conoscono bene la flora e la fauna del luogo e fanno rimedi a base di erbe che usano per varie malattie e che vendono procurandosi così una fonte alternativa di reddito insieme a quella che, ancora sporadicamente, arriva loro dall’arte dello spettacolo all’interno (ad esempio ai matrimoni) e fuori dell’India; ma molti membri della comunità lavorano nei campi o pascolano bovini per sopravvivere. Le canzoni dei Kalbelias, anche improvvisate, hanno a tema storie tratte dal folklore e dalla mitologia; balli speciali vengono eseguiti durante la Holi (leggi in questo blog il post “Holi la festa dei colori”). Questi canti e danze fanno parte di una tradizione orale che si tramanda oralmente da generazioni e per salvaguardarle, nel 2010, sono stati dichiarati Patrimonio Immateriale dall’UNESCO.
questo video racconta la storia che vi ho descritto. Se è di vostro interesse, merita di essere visto tutto perché è ben fatto.
Mi ricordo quei bei momenti della mia infanzia passati con i miei amici, nei piccoli vicoli del mio villaggio, giocando alle biglie, a nascondino, a pampano; urlando, litigando, piangendo, ridendo, correndo uno dietro l’altro e arrampicandoci sugli alberi. Spesso, in una piazza, le persone si radunavano per vedere gli spettacoli dei maghi, degli addestratori di scimmie ed elefanti che facevano del loro meglio per farci divertire e, alla fine, accettavano qualche spicciolo, una ciotola di riso, di farina oppure di grano.
Appena sentivamo la musica degli incantatori di serpenti, correvamo subito verso la folla ammaliata dalla loro capacità di controllare i rettili più velenosi al mondo. Li tenevano in cesti o vasi appesi ad una canna di bambù che portavano in spalla; con i loro lunghi capelli coperti da un turbante, ornati di perline, collane o conchiglie, cercavano il posto migliore dove sedersi a gambe incrociate a suonare il loro strumento fatto con una zucca, detto pungi o bin (been). Io ammiravo il loro coraggio e non sapevo che in realtà il cobra fosse sordo e che assumesse quella posizione di predatore perché quel flauto rappresentava per lui una minaccia.E poi, l’incantatore era anche un bravo giocoliere, faceva magie, come ad esempio far comparire un coniglio, un piccione, oppure un bicchiere di latte e molto altro, e vendeva pozioni miracolose.
Quella dell’incantatore di serpenti fu una “professione” molto diffusa nel XX° secolo quando, per promuovere il turismo, i governi li mandavano persino ai festival culturali d’ oltreoceano; è una professione errante, svolta da nomadi, che si è sempre tramandata di padre in figlio e, dei guadagni portati a casa, ci ha sempre vissuto tutta la famiglia. L’incantatore cattura da solo il suo serpente (ne prende circa sette all’anno), gli rimuove le ghiandole del veleno e, a volte, anche le piccole zanne per renderlo innocuo; se viene morso, utilizza sistemi tradizionali per curarsi o per limitare gli effetti del veleno.
Questa figura, che troviamo anche in altri Stati del mondo ma probabilmente nata in India, ha, in passato, goduto di una certa venerazione da parte degli indiani essendo il serpente ritenuto sacro e legato ai Naga (un’antica razza di uomini-serpente presente nella religiosità e mitologia vedica e induista). Una legge indiana del 1972, originariamente volta a prevenire l’esportazione di pelli di serpente, proibisce a chiunque di tenere un serpente, ma non è mai stata applicata nei confronti degli incantatori di serpenti; ma dagli anni 90 il governo, sollecitato dalle proteste animaliste, è diventato più restrittivo nei loro confronti; gli ha tuttavia consentito di tenere i serpenti già catturati mettendo sotto la loro pelle dei chips così da confiscare eventuali nuovi rettili catturati che non avessero questo segno di riconoscimento; anche l’urbanizzazione di certe aree rende più rara la presenza dei rettili e quindi diventa più improbabile catturarli. E così gli incantatori di serpenti stanno diminuendo, si stima ne restino solo un milione circa, e un gran numero confinati nei loro villaggi. Forse l’aumento delle televisioni e i contenuti dei documentari naturalistici hanno aiutato a demistificare un po’ il coraggio di questi nomadi. E così essi, per sopravvivere, hanno dovuto reinventarsi, diventando braccianti, produttori e venditori di antiveleni, di amuleti e di altre pozioni, soccorritori di serpenti, nonché cacciatori dei rettili che si sono intrufolati nelle case della gente (qualcuno sostiene che siano proprio loro a metterveli così da assicurarsi il lavoro!); nei peggiori casi, si danno all’accattonaggio. I figli non seguono più la professione dei padri perché proibita e comunque non più redditizia, in un’ India moderna che li considererebbe praticamente dei mendicanti.
In questi ultimi anni gli incantatori di serpenti si sono fatte le loro ragioni protestando in piazza contro il governo e brandendo il proprio serpente. Oggi alcuni governi permettono loro, in numero limitato, di essere presenti in alcuni luoghi turistici.
Non è stato facile trovare un incantatore di serpenti neppure al Nag Panchami, la festa religiosa annuale in onore del re cobra, tenutasi nello scorso agosto.
Personalmente preferisco rivedere gli incantatori di serpenti nei miei ricordi sacrificando la magia del loro fare ai diritti degli animali ad una vita più rispettosa da parte dell’uomo.
Testo e foto by Passoinindia
I SAPERA sono una tribù che cattura e incanta i serpenti.
Il Bhangra è una forma di danza e musica che ha origine nella regione del Punjab pakistano e indiano. Nasce come danza ballata dagli agricoltori per festeggiare l’arrivo della primavera, un tempo e ancora oggi festeggiata con il nome di Vaisakhi. E’ un misto di musica e canto, a ritmo del dhol (strumento musicale a percussione), del ektara (composto da una sola corda collegata ad un bastone, generalmente di bambù ed ad una cassa di risonanza, generalmente una zucca).), del tumbi (strumento tipico del nord)e della chimta (strumento a percussione tipico del sud). I testi contengono storie del Punjab. Ancora oggi i giovani ballano il bhangra e i film bolliwoodiani sono pieni di queste danze e di questa musica.
Vi propongo un video per farvi capire di cosa si tratta….E’ una bella danza.
Oggi l’India festeggia la Dussehra (Vijaya Dashami, Dasara, o Dashain) che è una festa indù. E’ considerata festività nazionale indiana che ricorre 20 giorni prima del Diwali (la festa delle luci), altra importante festività religiosa indiana. Con Dussehra gli induisti celebrano la vittoria del dio indù Rama sul re demone Ravana (re di Sri Lanka). Questa storia mitica è raccontata nel grande racconto epico Ramayana. Ravana aveva una sorella, nota come Shoorpanakha che si è innamorata dei fratelli Lakshamana ( fratello di Rama) e Rama e voleva sposare uno di loro. Ma Lakshamana rifiutò di sposarla e Rama non poté farlo perché era già sposato con Sita. Shoorpanakha minacciò quindi di uccidere Sita, in modo da poter sposare Rama. Questo fece arrabbiare Lakshamana che quindi le tagliò il naso e le orecchie. Quando il re di Sri Lanka, Ravana, seppe ciò, rapì Sita per vendicare le ferite di sua sorella. Rama e Lakshamana combatterono quindi una battaglia per salvare Sita, aiutati dal dio scimmia Hanuman e da un enorme esercito di scimmie. Qui Rama rappresenta il trionfo del bene sul male ed è questo che si celebra con il Dussehra. In questo giorno i fedeli si incontrano nelle case e nei templi per pregare (puja) gli dei e offrire loro cibo. Ci sono fiere all’aperto (melas) e le effigi di Ravana vengono allestite durante il giorno per essere bruciate alla sera sui falò ( i fuochi di artificio vengono posti dentro queste statue di carta e legno). Dussehra è il culmine del festival Navaratri (Navratri è un festival di nove notti – da cui il nome – dedicato al culto di una divinità indù Shakt, dea della forza. La Dussehra cade il decimo giorno di questo periodo – vedi articolo su questo blog). Nei giorni antecedenti il Dussehra vengono rappresentate, all’aperto, nel Nord India, i miti del Ramlila, una versione breve del poema epico Ramayana. Gli attori interpretano, in costumi tradizionai e antichi, le storie di Rama, Sita, Ravana, Hanuman, Lakashman, Sugriv, Meghnath e così via. Si ritiene che questa festa sia l’occasione migliore per iniziare qualcosa di nuovo, ad esempio un viaggio, o un progetto e per comprare gioielli d’oro e d’argento, utensili o oggetti per la casa. In questo periodo infatti in molti negozi vengono praticati sconti sui prezzi; di fatto, questa festa coincide con la fine del raccolto per cui rappresenta il momento in cui le persone dispongono di più denaro. Nel giorno di Dussehra gli uffici governativi e i negozi sono chiusi.
All’interno di questa festa, ogni zona dell’India svolge riti tradizionali diversi. Ad esempio nel Karnataka si fa una grande processione in onore della dea Chamundeshwari che viene trasportata su un trono a dorso di elefante nella città di Mysore. Ancora, sempre nel Karnataka, si usa far benedire strumenti di uso domestico o lavorativo come libri, computer, pentole, auto ecc. Nel Bengala invece si preparano speciali cibi tra cui il pane fritto e snacks di patate speziate. Durante questa festa vengono ricordate anche le mitiche storie indu del Mahabharata, dove si racconta dei cinque fratelli Pandava che combatterono le forze del male e, prima di andare in esilio per un anno, abbandonarono le loro speciali armi in un albero Shami dove, al loro ritorno, ancora le trovarono.Per questo, prima di combattere una battaglia, che poi avrebbero vinto, si prostravano in adorazione di quello stesso albero.
Il 5 ottobre è iniziata la festività indu del NAVARATRI (dal sanscrito “Nava” nove e “Rati” notti) e continuerà per 9 giorni fino al 13 ottobre. E’ l’inizio dell’autunno e il cambio di stagione rappresenta una buona opportunità per onorare laDea (Devi) Madre.
Ogni anno questa festa cade in un giorno diverso tra settembre e ottobre, secondo il calendario lunare del mese di Ashwin. Il culmine è il decimo giorno che coincide con il Dussehra (vedi articolo dedicato, su questo blog) in cui si celebra la vittoria del bene sul male. Secondo la mitologia indu del grande poema epico Ramayana, all’inizio del Navaratri, Rama pregò la dea Durga di concedergli il potere divino di uccidere il demone Ravana. L’ottavo giorno Rama ricevette questo dono e il decimo giorno (che coincide appunto con il Dussehra) sconfisse Ravana. Per questo, durante la festa di Dussehra, la notte, si usa bruciare in piazza le effigi di Ravana.
Con culti religiosi (soprattutto al mattino) e danze (la sera) si festeggia quindi la Dea Madre in tutte le sue forme ma particolarmente quelle di Durga, Lakshmi e Saraswati (nell’induismo tutte le dee sono considerate manifestazione di un’unica Grande Dea).Durga è l’incarnazione dell’energia creativa femminile ed infatti è raffigurata con numerose braccia e a cavallo di una tigre e può sia creare che distruggere. Lakshmii ncarna la luce, l’abbondanza, il destino, la saggezza, la bellezza, la fertilità e la fortuna. È madre di Kama, dea dell’amore, avuta dal consorte Vishnu. Sarasvatī, dea della conoscenza e delle arti, della verità, del perdono, delle guarigioni e delle nascite, è la consorte di Brahmā, il Creatore.
Sono eventi religiosi svolti in tutta l’India ma soprattutto importanti nell’India occidentale e in quella del Nord.
Nel Gujarat sono famose le danze tradizionali Garba e le dandiya RAAS; le prime vengono eseguite attorno a una lampada centrale accesa o immagini e statue di diversi avatar della Shakti (energia)/Durga, nelle seconde uomini e donne ballano in cerchio impugando dei bastoni chiamati dandiyas.
Nel Bengala si fa la Durga puja, evento ritenuto importantissimo dove si danza attorno alla dea Durga, sistemata su una base a forma di leone, nell’atteggiamento di brandire dieci armi nelle sue dieci mani.
A Delhi e nel Nord India, si celebra il Navaratri con rappresentazioni teatrali chiamate Ramlila che si svolgono in tutta la città. E’ una rievocazione drammatica della vita di Rama nella sua battaglia contro Ravana.
l’India ha avviato un processo per rendere il Paese ancora più accogliente, prevedendo per più di 40 paesi stranieri la possibilità di fare il visto all’arrivo in aeroporto e non più quindi presso l’Ambasciata del Paese di origine.
Tra questi Paesi ci sono: Stati Uniti , Regno Unito, Canada , Brasile, Australia , Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita , Germania , Francia, Italia , Svezia , Olanda, Svizzera , Spagna, Belgio , Austria, Danimarca , Polonia, Norvegia e Irlanda.
Attualmente la possibilità di ottenere il visto all’arrivo potrebbe essere prevista presso gli aeroporti internazionali di Delhi , Chennai , Kolkata , Mumbai ,Kochi, Hyderabad , Bangalore , Cochin e Thiruvananthapuram ma sembra che potrebbe essere estesa ad altri aeroporti come Goa , Gaya , Chandigarh e Amritsar che hanno un grande flusso di turisti stranieri.
Con questo sistema l’India conterebbe di raccogliere valuta estera per combattere il problema del crescente disavanzo pubblico oltre che per incentivare ancora di più il turismo.
Nel 2012 , l’India ha ricevuto 6,58 milioni di turisti stranieri , con un aumento del 4,3 per cento rispetto all’anno precedente. Le entrate in valuta estera in India nel 2012, grazie al turismo, sono state 17,74 miliardi dollari, con un incremento del 7,1 per cento. I turisti stranieri, da gennaio ad agosto 2013, hanno portato in India 12.025 milioni dollari, con una crescita del 6,7 per cento.
Surjit era mio vicino di casa oltre che amico, anche se molto più grande di me. Dopo essersi laureato, quindici anni fa, non avendo molta speranza di trovare un lavoro in India, si trasferì in Canada con l’aiuto di qualche suo parente.
Una mattina, mentre stavo bevendo il tè, mia madre mi disse che Surjit era tornato e quindi, la sera andai a trovarlo a casa sua. Quando lo vidi, rimasi un po’ scioccato, perché non era affatto cambiato oppure era proprio la gioia di tornare in India che gli aveva tolto dieci dei suoi anni. Appena mi vide, mi abbracciò forte e mi presentò sua moglie e i suoi due figli adolescenti. Dopo aver chiacchierato un bel po’ di tempo, decidemmo di fare una passeggiata insieme, in mezzo ai campi, come facevamo una volta; mi raccontò di quanto fosse migliore la qualità di vita in Canada e di quanto vi si trovasse bene; mi disse di avere una propria azienda di trasporti e poi mi mostrò, dal cellulare, alcune foto di casa sua che era davvero molto grande e bella. Aveva tutto quello che poteva desiderare, compreso soldi a sufficienza. Ciò che gli mancava era l’ odore di questa terra dove lui era nato e cresciuto e che aveva dovuto lasciare tempo fa. Adesso, la sua grande preoccupazione era che i suoi figli avrebbero, prima o poi, dimenticato la cultura e le tradizioni del loro paese di origine e questo era il vero motivo del suo ritorno.
Lo vedevo quasi ogni giorno che girava nei vicoli del villaggio, salutando i suoi compaesani, giocando a cricket con i bambini, aiutando qualcuno a mungere una vacca, facendo una partita a carte con gli anziani del villaggio, riuniti sotto un grande albero di pipal, ai quali raccontava le storie del Canada.
Lo vedevo così contento, sembrava che qui avesse ritrovato tutto ciò che non aveva più. Ma i suoi figli, che erano nati è cresciuti laggiù, lontano, non ne condividevano la gioia; i parenti che Surjiit incontrava con grande affetto erano per loro persone qualunque.
Surjiit mostrò ai ragazzi le bellezze dell’India, il Taj Mahal, maestosamente bianco, i forti in Rajasjthan, dominanti il deserto, i templi antichi, icone di alta devozione e quant’altro rendesse così affascinante il suo, il loro Paese, cercando di coinvolgerli in questo suo appassionato ritorno. Ma niente attirava la loro attenzione, niente li entusiasmava; quei vecchi palazzi non potevano competere con i moderni edifici che erano abituati a vedere e con le eleganti vetrine del centro, dove scorrevano veloci auto di lusso invece che vecchi tuc tuc; la gente sembrava provenire da un mondo arcaico, superato, le case perdevano il loro intonaco, i vetri erano impolverati, le strade non perfettamente asfaltate ed i mercati, congestionati, non avevano nulla a che fare con i grandi supermercati dove tutto era perfettamente pulito e ordinato; e, poi, c’erano quei suoni di clacson… quelle urla di ambulanti… quegli incerti risciò… e quello strano odore…
Così, mentre Surjit era molto felice, i ragazzi erano già annoiati e avrebbero voluto tornare a casa.
Quando Surjit partì non aveva lacrime ma era chiaro che il suo cuore e la sua anima, insieme, stavano piangendo; tuttavia lo imbarazzava mostrarlo ai ragazzi che, contenti, già assaporavano quel ritorno a casa, la compagnia dei loro amici e dei loro compagni di classe.