India, IL MONDO DELLE TIGRI (Parchi Nazionali indiani, tutti visitabili, a due passi dalle classiche mete turistiche)

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RANTHAMBORE NATIONAL PARK

Nel Nord India, al confine orientale del Rajasthan, tra il deserto del Thar e gli Aravalli, é uno dei parchi che più attirano turisti. Un tempo riserva delle battute di caccia dei sovrani, dal 1972 è stato dichiarato parco nazionale sotto la protezione del Project Tiger, perché nella riserva vivono allo stato brado una trentina di tigri indiane oltre ad altre specie animali (antilopi azzurre, leopardi, iene, cervi, orsi, leopardi, gatti della jungla, una varietà di uccelli e così via). La fortuna del Parco è anche dovuta alla sua posizione prossima al Triangolo d’Oro come viene chiamato l’itinerario che comprende Delhi, Agra e Jaipur (da cui dista 150 Km.). Il parco nazionale, disseminato di Banyan, i grandi alberi indiani dalla grande ombra, è circondato da due fiumi, il Banas e il Chambal ed è bagnato da lago Talao Padam. Un altro ospite di Rathambore è il Forte del X secolo, su una roccia all’ingresso del Parco, costruito nel 944 che accoglie all’interno vari templi tra cui quello dedicato a Ganesh, tra i più belli del Rajasthan. Chiuso da luglio a metà settembre. Tra novembre e maggio il clima è piacevole ma anche nella stagione secca (ottobre – marzo) sono probabili gli avvistamenti in quanto gli animali escono dalla foresta per abbeverarsi al lago. 

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KANHA NATIONAL PARK

Il Kanha National Park, nel Madhya Pradesh, uno dei più grandi dell’India (1940 Kmq.- tre ingressi di cui i due principali, agli estremi opposti del parco, distano tra loro 4 ore di guida – altitudine 600-900 mt- s.l.m.) è conosciuto per la comunità di tigri indiane, circa 250, che lo abita stabilmente. Costituito nel 1955 da una legge speciale, si sviluppa in vasti prati erbosi, picchi rocciosi, foreste di teak, bambù ed altri tipi di alberi, in numerosi laghi ricchi di piante acquatiche, ed in grandi praterie abitate da diverse specie di cervi, tra cui la rara specie di cervo Barasingha, dalle “dodici corna”. Il parco ospita una vasta fauna selvatica, tra cui bufali selvatici, cani selvatici, pitoni, orsi (ben circa 150), leopardi (ben circa 80), sambar, e molti altri. E’ in in questo parco che lo scrittore Rudyard Kipling ha immaginato le storie raccontate nel famoso romanzo “Il libro della giungla”. Il parco rimane chiuso dal 1 luglio al 15 Ottobre. La stagione migliore per visitarlo va da febbraio a giugno. I mesi di dicembre, gennaio e marzo sono i mesi di massimo affollamento. Da marzo a giugno il caldo è intenso ma aumentano le probabilità di avvistare gli animali che si avvicinano ai corsi d’acqua per bere. 

Keoladeo

KEOLADEO NATIONAL PARK

Se il vostro itinerario prevede una visita di Agra, la città che ospita il celeberrimo Taj Mahal, allora siete sulla strada giusta per arrivare al Parco Nazionale di Keoladeo, in Rajastan, a soli 50 Km. da questa città. Il Rajasthan, già grande attrattiva per i turisti che visitano questo Stato per le sue magnifiche testimonianze storiche, continua a dare il meglio di sé anche con questa riserva naturale patrimonio mondiale dell’UNESCO dal 1985. Anch’ esso antica riserva per la caccia alle anatre dei maharaja Jat, dichiarato Parco Nazionale nel 1981, oggi è la principale riserva ornitologica dell’India, santuario di molti uccelli stabili e migratori, anche di rara specie, provenienti persino da Cina, Siberia, Europa e Tibet che qui arrivano ad abitare laghi e paludi dove si riproducono. Dopo le grandi piogge, anche gli uccelli acquatici come le gru, le oche, i fenicotteri rosa, le cicogne, i pellicani e tanti altri trovano in Keoladeo il loro rifugio prediletto. Conviventi di questo meravigliosi volatili sono alcuni mammiferi tra cui le antilopi cervicapra, le antilopi azzurre, i cinghiali, i chital, i sambar e persino i pitoni. Il Parco, esteso per 29 Kmq., si trova a Bharatpur (150 Km. Da Jaipur e 18 Km da Fatehpur Sikri), già interessante di per sé per i suoi templi, mercati, palazzi ed altri monumenti. Il Parco è aperto tutti i giorni con orari diversi secondo i periodi. Potete visitare il Parco, particolarmente affascinante la sera e la mattina, a piedi, in bicicletta, in rickshaw.


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SARISKA TIGER RESERVE

Incluso nell’ambito del Project Tiger questo parco del Rajasthan proprio nelle colline Aravalli, riserva naturale protetta dal 1955 ed antica riserva di caccia dei sovrani dello Stato, è ricco di fauna selvatica su una superficie di circa 500 Kmq. Le città più vicine sono due delle città del Triangolo d’Oro, Jaipur , da cui dista circa 2 ore di auto, 140 Km.), e Delhi (da cui dista circa 4 ore di auto, 170 Km.). Coloro che visitano il Parco hanno qualcosa in comune, vedere la tigre reale che abita questa riserva e che vive allo stato selvatico. Questo bell’animale è comunque in compagnia di altri splendidi esemplari di bisonti indiani, volpi, iene, e così via, oltre ad una miriade di uccelli tra cui le aquile e gli avvoltoi, per citarne alcuni. Il tutto su uno sfondo ambientale di notevole bellezza. Ma poiché la storia, anche quando non è protagonista, si fa comunque avanti, ecco allora spuntare dalla folta vegetazione le rovine di antichi templi indu dell’epoca medievale dedicati a Shiva, e lo splendido palazzo del maharaja di Alwar, oggi albergo di lusso. Il Sariska Tiger Reserve è aperto dal 1 ottobre al 30 giugno per tutti i sette giorni della settimana rimanendo quindi chiuso nel periodo dei monsoni da luglio a metà settembre .

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BHANDHAVGARH NATIONAL PARK

Il Bhandhavgarh National Park, 450 kmq (mt. 800 s.l.m.), nel Madhya Pradesh, (Km. 270 – 6 ore circa da Khajuraho che è anche l’aeroporto più vicino) ha acquisito il suo status di area protetta nel 1968, dopo la sua lunga storia di zona di caccia dei reali Rewa ed è noto perché tigri, anche la tigre bianca, ed altri animali come uccelli, volpi, cervi, sciacalli, bisonti indiani, gazzelle, cervi, chital, leopardi, cervi pomellati, antilopi azzurre, gatti selvatici, iene e rettili, oltre a molti altri, abitano le sue fitte foreste. L’area di Bandhavgarh ha quindi una grande biodiversità, ed è il luogo dove vi è la più alta densità di tigri in India. Bandhavgarh National Park ospita anche una variegata vegetazione da praterie a foreste di Sal diventando quindi l’habitat perfetto per molte specie di animali. Un modo divertente per visitare il Parco è farlo a dorso di elefante, oltre che in jeep. Dentro al Parco, anche templi ed i resti di un antico Forte. Il Parco è aperto dal 16 ottobre al 30 giugno ma il periodo migliore per visitarlo è durante i mesi caldi, fra febbraio e giugno, quando gli animali lasciano la foresta per abbeverarsi presso i corsi d’acqua del Parco.

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PARCO NAZIONALE JIM CORBETT
Situato nell’Uttaranchal (Nord India), nei pressi di Ramanagar (Km. 250 da Delhi) è una parco di grande rilevanza perché il primo in assoluto a diventare riserva protetta nel 1936 quando fu fondato da Jim Corbett. E’ un un ambiente di rara bellezza himalayana di monti, pianure e foreste, esteso per 1288 Kmq., ad un’altitudine variabile tra i 385 e i 1100 metri s.l.m. Dove il clima varia mediamente tra 4°C in inverno e 42°C in estate. In questo splendido luogo convive una grande varietà di fauna selvatica, tra cui la tigre, gli elefanti, i coccodrilli, oltre a cinghiali, cervi, scimmie, rettili, l’aquila pescatrice e molti altri. Il Parco è aperto dal 15 novembre al 15 giugno.

 

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PANNA VICINO KHAJURAHO

Nel Madhya Pradesh, a circa 60 km dalla splendida Khajurao, che potrebbe costituire una delle tappe del vostro itinerario, c’è il “Panna National Park”, 550 Kmq., creato nel 1981, e posto sotto il Tiger Project nel 1994. In un ambiente, a clima prevalentemente tropicale, ex riserva di caccia dei principi di Panna, Chhatarpur e Bijawar, animali come tigri, leopardi, gatti selvatici, cervi, gazzelle, antilopi, cani selvatici, orsi, lupi, caracal, sambar, iene tra le molte specie presenti, ma anche rettili e tantissime specie di uccelli. La riserva non ha alcun mezzo di trasporto per i visitatori. E’ aperto dal 16 ottobre al 30 giugno. Il periodo migliore per visitarlo va da dicembre a marzo.

immagini: wikipedia

La lezione del Buddha.

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Un giorno un uomo ricco andò dal Buddha e disse: “Vedo che tu sei il risvegliato. Vengo a te per un consiglio.”

Il Buddha gli chiese di condividere ciò che aveva in mente.

L’uomo ricco continuò, “La mia vita è incentrata sul mio lavoro. Anche se ho fatto un sacco di soldi, io sono preoccupato. Molte persone lavorano per me e io sono responsabile per loro. Essi dipendono da me per il loro successo. Eppure, mi piace il mio lavoro e mi piace lavorare sodo. Quando ho incontrato i tuoi seguaci hanno parlato dell’importanza di vivere la vita come un recluso. Ho anche notato che tu stesso eri il figlio di un re, che vivevi in ricchezza e splendore, ma hai dato fino a vagare come un eremita senza tetto in cerca di illuminazione. Vorrei sapere se devo fare la stessa cosa e dare la mia ricchezza. Io voglio fare la cosa giusta ed essere una benedizione per il mio popolo. Dovrei anche rinunciare a tutto quello che ho per trovare la verità? “

Il compassionevole Buddha gli disse: “Chiunque può ricevere la beatitudine di trovare la verità finché egli segue un percorso di altruismo. Se hai intenzione di aggrapparti alla tua ricchezza, allora è meglio buttarla piuttosto che lasciare che avveleni il tuo cuore. Ma se non ti aggrappi ad essa e la usi con saggezza, allora sarai una benedizione per le persone. Non sono la ricchezza e il potere che rendono schiavi le persone, ma l’attaccamento ad essi.”

Il Buddha spiegò che il suo insegnamento non richiede a nessuno di diventare un senzatetto o di rinunciare al mondo, se non lo vuole. Ma ha chiesto alle persone di liberarsi dall’illusione che il corpo e il mondo siano la loro casa permanente. Ha detto che il suo insegnamento ha richiesto alle persone di condurre una vita etica.

Il Buddha disse: “Qualunque cosa le persone facciano, sia nel mondo o come eremiti, dovrebbero metterci tutto il cuore. Le persone dovrebbero impegnarsi, in qualunque cosa facciano, con piena energia. Se si trovano ad affrontare le lotte, devono farlo senza odio o invidia. Le persone dovrebbero vivere una vita non di ego, ma di verità, e allora la beatitudine riempirà la loro anima. “

Il “non attaccamento” non significa che dobbiamo rinunciare alle nostre case, alla ricchezza, alle famiglie e a ciò che abbiamo ricevuto nella vita. Si richiede solo che rinunciamo all’attaccamento a queste cose. Qualunque sia la situazione in cui ci troviamo, essa è arrivata a noi a causa del nostro karma. Il nostro attaccamento dovrebbe essere a Dio. La nostra attenzione dovrebbe essere verso l’alto, assicurandoci che la nostra anima raggiunga la comunione con Dio.

Coloro che sono benedetti dalla ricchezza dovrebbero fare il miglior uso di essa prendendosi cura delle loro responsabilità familiari e poi condividerla con gli altri. Non dobbiamo rinunciare a tutto. Siamo in grado di vivere nel mondo e fare del nostro meglio, ma mantenendo la nostra attenzione e l’attenzione alla ricerca di Dio. I nostri cuori possono sviluppare purezza, un atteggiamento di servizio disinteressato e la condivisione con gli altri. Non dobbiamo essere attaccati alla nostra situazione esterna. Possiamo lavorare per guadagnarci da vivere, e lavorando svilupparci spiritualmente. Se siamo benedetti con la ricchezza, non dobbiamo buttarla via, ma dovremmo usarla per aiutare gli altri e per beneficiare del tempo libero che abbiamo per meditare e fare servizio disinteressato. La chiave è quella di vivere nel mondo, ma di non essere attaccato ad esso.

L’indipendenza indiana e la partizione del 15 agosto 1947.

Oggi non lavoro, non perché sia Ferragosto ma perché è festa nazionale; vengo svegliato dai 21 colpi di pistola sparati in onore di questa solenne festività. Il primo ministro issa la bandiera al Forte Rosso di Delhi e, supportato dall’inno nazionale indiano “Jana Gana Mana”, tiene un discorso dalle sue mura rendendo omaggio ai leaders della libertà. Poi passa la parata dell’esercito. In giro per la città c’è caos, ci sono sfilate ed eventi culturali e l’effige indiana è rappresentata ovunque, sui vestiti della gente, sulle case e sui veicoli; sento in distanza canti patriottici e osservo i grandi cartelloni che promuovono la visione cinematografica di film che ricordano quell’evento. Andare a trovare gli amici oggi è cosa ardua ma con la metropolitana ce la posso fare. Scrivo una lettera ai miei amici italiani cui farà piacere ricevere il francobollo che le Poste Indiane hanno stampato in ricordo dell’ evento. Approfittando delle promozioni commerciali che i negozi usano fare in questo giorno, mi fermo in libreria per acquistare un libro e scelgo quello di Kushwant Singh, “Un treno per il Pakistan”, del 1956, che racconta i grandi spostamenti di masse umane vive e morte ai tempi della Partizione. Egli scrive: “L’estate del 1947 non fu come le altre estati indiane. Quell’anno persino il tempo, in India, sembrava diverso. Faceva più caldo del solito e tutto era più secco e polveroso. E l’estate durò più a lungo. Nessuno ricordava un’ epoca in cui i monsoni erano giunti con tanto ritardo. Per settimane, le rare nubi produssero solo ombre. Niente pioggia. La gente continuò a dire che Dio li stava punendo per i loro peccati.”. In questo libro, l’immaginario villaggio di Mano Majra, nel Punjab indiano vicino al nuovo confine con il Pakistan, lungo la ferrovia fra Delhi e Lahore, abitato principalmente da sikh e musulmani è il teatro di quanto, violento e sanguinoso, è avvenuto realmente in tanti villaggi dell’India, quando il vicino di casa è diventato il nemico perché altri lo hanno deciso e solo perché appartiene ad una religione differente.
La libreria dedica uno spazio raccolto ai libri che raccontano quel fatto e così mi soffermo sul racconto “I figli della mezzanotte” che Salman Rushdie ha scritto nel 1980 e che quest’anno è diventato un film sotto la regia della grande Deepa Metha.

Ma cosa è successo in quell’anno? Era il 1947.

Andiamo un po’ indietro. Nel 1600, la Compagnia delle Indie orientali assume, su concessione della regina Elisabetta, il monopolio commerciale sull’oceano indiano. A quel tempo l’India fa gola per i suoi prodotti (spezie e cotone) e per i suoi tesori, oro, diamanti, perle, argento (ricordi il grande diamante Kohinoor?) e le dispute intestine tra i re indiani per il dominio delle terre favoriscono le intenzioni degli inglesi perché il dividi et impera funziona sempre, allora come oggi. Con l’Indian Act del 1784 la dirigenza della Compagnia ottiene dal governo di Londra il mandato ad agire in nome della corona inglese; e così i britannici arrivano a dominare pressoché tutta l’India che, nel 1818, diventa colonia inglese, con a capo un viceré e capitale Calcutta. Nel 1858, la Compagnia delle Indie Orientali si scioglie, e il Government of India Act sancisce la fine del grande impero Moghul spodestandone anche l’ultimo dei sovrani. Il principio della reversibilità che annette automaticamente alla corona i territori posseduti da sovrani senza eredi aiuta gli inglesi, tra il 1848 e il 1856, nella loro politica di espansione fino a che, nel 1877 la regina Vittoria viene incoronata Imperatrice delle Indie. Intanto, sin dalla metà del 19° secolo, la nazione acquisisce un nuovo spirito di nazionalismo. In questo contesto, nel 1885, Allan Octavian Hume fonda il Congresso Nazionale Indiano, un partito politico laico di centrosinistra contro l’imperialismo britannico che si batte per una partecipazione degli Indiani nel governo del Paese; nel 1916 si unisce alla Lega musulmana in questa richiesta di autonomia che ottengono nel 1921, quando gli inglesi riconoscono agli indiani potere decisionale in materia di insegnamento, opere pubbliche, industrie e agricoltura non mollando tuttavia il potere in materia di difesa, politica estera, giustizia e finanza. A capo del Congresso vi è Gandhi che, con i suoi principi di non violenza disobbedienza civile, continua la lotta per l’indipendenza. Nel 1929, nella sessione del Congresso Nazionale Indiano, viene promulgata la “Dichiarazione di indipendenza dell’India” e il 26 gennaio viene dichiarato Giorno dell’Indipendenza. Ma Gandhi non ha vita facile e, quando, nel 1930, raccoglie sale dal mare (marcia del sale), a dimostrazione della sua forte avversione al governo inglese che del sale detiene il monopolio, viene arrestato. Il Congresso non appoggia gli inglesi neppure durante la seconda guerra mondiale mantenendosi sempre in posizione neutrale, giusto per non supportare, viceversa, le idee naziste. Va detto tuttavia che molti soldati indiani combatterono valorosamente per gli inglesi. Gandhi e il Congresso non si arrendono e ancora più fortemente chiedono alla corona di lasciare l’India ma anche questa volta, siamo nel 1942, è l’incarcerazione per tutta la dirigenza del Congresso. Al movimento di opposizione non violenta del Congresso corrisponde tuttavia una serie di tumulti e sommosse che hanno caratterizzato, e da sempre, anche per motivi religiosi (musulmani contro induisti), tutto il Paese. Intanto la Lega Musulmana, che invece aveva appoggiato gli inglesi durante la Guerra, chiede la realizzazione di due nazioni e del separatismo islamico, idea mai condivisa dal Congresso. La Lega Musulmana, preoccupata di una possibile ascesa induista in una eventuale India indipendente, reclama una nazione tutta per sé, ad impronta islamica, quello che sarà il Pakistan. Mentre in Inghilterra il partito laburista vince le elezioni, il Governo inglese sembra voler liberare il Paese, ormai divenuto una bomba esplosiva, dalla sua egemonia, fino a che il 3 giugno 1947 dichiara di voler porre fine al raj britannico e di accettare l’idea di partizionamento britannica in due stati, quella che si chiama la “partizione”; il viceré decide di spostare più avanti (succederà ad agosto) la questione dopo aver visto i disordini fuori controllo in tutto il Paese. Allo scoccare della mezzanotte, il 15 agosto 1947, il nuovo primo Primo Ministro dell’India, Jawaharlal Nehru, legge il discorso decisivo, proclamando l’indipendenza dell’India dall’Impero Britannico. Ecco cosa celebra l’India oggi. Si concludono così tre secoli di dominio britannico nel mio Paese. Il 14 e 15 agosto 1947, nella Partizione dell’India, nascono due stati sovrani, il Pakistan (poi Repubblica islamica del Pakistan), con a capo Muhammad Ali Jinnah primo governatore generale e l’Unione dell’India (poi Repubblica dell’India). Si chiama Partizione perché il Bengala, provincia dell’India britannica viene diviso tra lo Stato pakistano del Bengala orientale (ora Bangladesh) e lo Stato indiano del Bengala occidentale mentre la regione del Punjab dell’India britannica viene divisa tra la provincia del Punjab dello Stato del Pakistan occidentale e lo Stato indiano del Punjab. La secessione del Bangladesh dal Pakistan con la guerra di liberazione del Bangladesh nel 1971 non è intesa in questo termine di partizione e neppure le precedenti separazioni del Ceylon (l’attuale Sri Lanka) e della Birmania (oggi Myanmar) dall’amministrazione dell’India britannica.

Ma non tutto fu così facile. Tutt’altro. Succede che i nuovi Stati del Pakistan e della nuova India, le cui frontiere vengono disegnate su base religiosa, devono scambiarsi le genti che vivono nei territori soggetti alla Partizione. Tutti i musulmani devono andare in Pakistan e tutti gli induisti e i sikh devono insediarsi in India. Migliaia e migliaia di persone su entrambi i lati dei nuovi confini muoiono nelle violenze, mentre l’intera nazione sta celebrando il Giorno dell’Indipendenza e Gandhi, a Calcutta, cerca di arginare il massacro. Infatti ormai l’odio esploso tra queste due nazioni fa sì che esse si restituiscano non solo profughi ma anche corpi massacrati spesso caricati sui treni che zeppi di cadaveri attraversano il confine, mentre al governo la situazione è sfuggita di mano. Decidono di scambiarsi persino i matti dei manicomi, oltre ai criminali peggiori, come ben descrive Saadat Hasan Manto nel suo “Toba Tek Singh” del 1955, villaggio del Punjabi pakistano.

Mi porto via anche “Freedom at Midnight” un libro che Larry Collins e Dominique Lapierre scrissero nel 1975 raccontando gli eventi dell’indipendenza indiana, raccontando gli eventi dell’indipendenza indiana, fino alla morte di Gandhi.

Il 26 gennaio 1950 l’India diventa poi una Repubblica e ha la sua Costituzione, oggi la più lunga del mondo. Nel 1952, nella prima elezione generale del Paese con una franchigia universale, Nehru porta il Congresso Nazionale Indiano ad una netta vittoria e viene riconfermato nelle elezioni del 1957. La storia poi continua ma non è quella che oggi voglio raccontare. I rapporti con il Pakistan sono tuttora critici.

Torno a casa, dimenticando il frastuono, sulla linea della metro che attraversa il quartiere finanziario di Gurgaon ma lo sguardo che cade sui mendicanti al bordo delle strade mi ricorda che qualcosa, nonostante l’indipendenza, deve ancora essere messa a posto.

testo by PASSOININDIA

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RAKSHA BANDHAN. La festa dei fratelli e delle sorelle.

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Il 10 agosto in India (data non ricorrente ogni anno) si è festeggiato il Raksha Bandhan, la festa dell’amore e dei doveri tra fratelli e sorelle; questa festa è celebrata dagli induisti, ma anche da giainisti e sikh. Le sorelle legano un filo sacro detto Rakhi (dal sanscrito “nodo di protezione”) sul polso del fratello, pregando per il suo benessere e il fratello promette di prendersi cura della propria sorella in ogni evenienza. Così le donne cercano nei negozi i migliori Raksi, generalmente un filo di tessuto colorato magari impreziosito da qualche perlina o amuleto o lo fanno con le proprie mani. Nei tempi moderni può persino trattarsi di un orologio da polso. Così, nel giorno del Raksha Bandhan, il fratello e la sorella (non necessariamente parenti, può trattarsi anche di una stretta amicizia) si riuniscono formalmente in presenza di genitori e parenti e, se uno dei due è lontano da casa, l’augurio può correre via mail. Il rituale avviene solitamente davanti ad una lampada accesa (Diya) o ad una candela (a rappresentare la divinità del fuoco) a volte situate su un vassoio che lei fa ruotare attorno al volto di lui, legando quindi il Rakhi al polso del fratello (che egli indosserà tutto il giorno), recitando una preghiera per la sua felicità. Poi la sorella pone laTilak, un segno colorato sulla fronte del fratello che si impegna quindi a prendersene cura. Poi lei lo alimenta con le mani avvicinando alla sua bocca dolciumi o altre bontà. Il fratello le dona quindi un regalo che può essere ad esempio un vestito o del denaro e anche lui le pone alla bocca dolci, frutta secca etc. in segno di nutrizione. Infine si abbracciano e tutti si congratulano l’un l’altro. E’ un rituale antichissimo che si legge già nel Vishnu Purana quando Yasoda lega un Raksha Bandhan al polso di Krishna. Ma molte sono le sacre scritture antiche (Bhavishya Purana, Bhagavata Purana ecc.) oltre che i poemi epici come il Mahabaratha in cui si legge di questo braccialetto. Le antiche scritture indu sono ricche di storie che narrano di questo braccialetto. Per citarne una, nella Bhagavata Purana e Vishnu Purana dopo che Vishnu sconfisse il demone Bali, vincendo i tre mondi, su richiesta di Bali, andò a vivere nel suo palazzo. Ma alla moglie di Vishnu, la dea Lakshmi non piaceva il palazzo né la sua nuova amicizia con Bali, e preferiva tornare con suo marito a Vaikunta. Così legò al polso di Bali, un Rakhi in segno di fratellanza. Bali le chiese che regalo desiderasse e lei rispose di liberare Vishnu dalla promessa di vivere nel suo palazzo. Bali acconsentì, accettandola come sorella. e poi ci sono leggende storiche che vi fanno riferimento. Ma anche le leggende storiche citano il Rakhi. Infatti, secondo un racconto leggendario, quando Alessandro il Grande invase l’India nel 326 aC, Roxana (o Roshanak, sua moglie) inviò un filo sacro al re Poro, suo nemico, chiedendogli di non danneggiare il marito in battaglia. In accordo con la tradizione, Poro, rispettò la richiesta. Sul campo di battaglia, quindi, quando egli stava per sferrare un colpo finale ad Alessandro, vide il Rakhi sul suo polso e si trattenne dall’attaccarlo personalmente. Ci sono poi le storie dei giorni nostri. Accadde infatti che Rabindranath Tagore, l’indiano Premio Nobel per la letteratura, invocò il Raksha Bandhan e il Rakhi, come fonti di amore, rispetto e voto di protezione reciproca tra indù e musulmani durante il periodo coloniale in India. Nel 1905, l’impero britannico, sulla base delle differenti religioni, aveva diviso il Bengala, una provincia dell’India britannica. Tagore organizzò quindi una cerimonia per celebrare il Raksha Bandhan e rafforzare il legame di amore e di solidarietà tra indù e musulmani del Bengala esortandoli a protestare insieme contro l’impero britannico. Nel 1911, l’impero coloniale britannico annullò la partizione e unificò il Bengala, una unificazione cui non si opposero i musulmani del Bengala. Il tentativo di Tagore non ebbe quindi successo. Il Bengala, diviso durante l’era coloniale, da una parte è diventato il moderno Bangladesh, a prevalenza musulmana, dall’altro divenne lo Stato indiano del Bengala occidentale a prevalenza induista. Grazie al tentativo di Rabindranath Tagore, ancora oggi, in alcune parti del Bengala occidentale, la tradizione del Raksha Bandhan è molto sentita e continua ancora oggi.

con l’ausilio di WIKIPEDIA (traduzione dall’inglese).

EQUILIBRIO TRA ARTE E RELIGIONE

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Per fortuna le glorie della letteratura classica indiana come Vatsayana, Kalidasa o Jayadeva non sono nate nell’India laica e moderna del 21° secolo. Perché, se così fosse stato, probabilmente né le loro opere magistrali – l’anima della letteratura classica indiana – né loro stessi sarebbero sopravvissuti ai giorni nostri.

Come avrebbe potuto il poeta Jayaveda della ‘Gita Govinda’, concentrarsi tanto sia sul fervore religioso che sugli scherzi sessuali tra Krishna e Radha?

E sarebbe ancora così altamente sensuale il ‘Kumarasambhava’, l’inno romantico di Kalidasa alla nascita del figlio di Shiva e Parvati, in cui il dio indù dell’amore, Rati, lamenta la morte del suo amato Kama?

Data la natura altamente liberale del suo contributo di civiltà al mondo, l’ironia di abbandonare l’apertura culturale in India non avrebbe potuto essere più stridente. Oggi, in India, gruppi di “vigilantes” culturali, piccoli ma in crescita, stanno attaccando tutto, dai libri e film ad atteggiamenti di arte occidentali se li ritengono dannosi per la loro fede o se non sono conformi alla loro nozione di purezza e moralità.

I libri vengono sempre maciullati e gli autori sono costretti a riscriverli; i testi delle canzoni cambiano, e film e mostre d’arte vengono banditi come blasfemi e quindi il liberalismo culturale viene imbavagliato.

La polemica intorno ai testi dell’insegnante in pensione Dina Nath Batra rafforza semplicemente questo costante declino del liberalismo culturale in India, cosa che mina non solo il peso dell’espansione del Paese sulla scena mondiale, ma anche il suo contributo di civiltà come principale centro intellettuale fin dalla storia più antica del genere umano.

Non permetteremo che gli scrittori insultino l’induismo ed i nostri dèi e dee con la scusa della ricerca scolastica“, dichiara l’insegnate di 85 anni. Nella sua lista dei desideri per l’istruzione scolastica in India c’è la messa a termine dell’insegnamento della lingua inglese e delle lingue straniere in genere e l’istituzione di un call center per inculcare i valori culturali del nazionalismo tra i bambini.

Egli ha mandato tanti libri al macero, ha detto che i piani di studio devono essere ottimizzati e il liberalismo deve essere messo in discussione; per questo si è guadagnato il soprannome di ‘Ban-Man’ (l’uomo che censura).

Ma la costante erosione nel liberalismo non è puramente un fenomeno religioso o culturale. Ha una dimensione economica dovuta secondo alcuni alla dislocazione causata da un’economia in crescita e dal divario tra gioventù urbana che abbraccia i valori occidentali e il più tradizionale resto della società. E il più delle volte, viene giocata la carta religiosa.

Parte del problema è che l’India non è riuscita ad avviare un serio dibattito circa l’equilibrio tra arte e religione e tra libertà di espressione e difesa dei sentimenti religiosi.

Questo è un periodo deprimente, ma istruttivo nell’evoluzione della società indiana, in cui grandi sezioni restano ancora liberali. Speriamo che l’ illiberalismo, culturale o religioso, non diventi tradizionale in modo che i nostri Kalidas e Jayadeva non si rivoltino nelle tombe.

liberamente tradotto da articolo su HINDUSTAN TIMES del 30 Jul 2014 (Jaipur) autore:Krittivas Mukherjee

immagine di Raja Ravi Varma che ritrae Shakuntala, personaggio del poema epico Mahabharata

Elefanti con amore.

E ‘una storia d’amore tra pachidermi, con una tragica fine. Rupa, una elefantessa del Valmikinagar Tiger Project (VTR), in nord Bihar, India, si è messa in lutto dopo che il suo compagno è morto a causa di una malattia.
Sahni, il funzionario forestale ha detto, è ” il suo cuore è spezzato e sconvolto” per la perdita di Amrit, l’elefante maschio cui si era accoppiata quando entrambi sono stati salvati da un circo, diversi anni fa. “Rupa rifiuta il cibo da quando Amrit è morto. E’ la malinconia fatta persona“. Amrit ha ceduto alle complicazioni derivanti dall’artrite. “Nonostante tutti i tipi di trattamento e di altri sforzi compiuti dai funzionari forestali, la sua condizione continuava a deteriorarsi e non poteva essere salvato“, ha detto il funzionario. In realtà, Rupa ha iniziato a rifiutare il cibo sin da quando venne spostata in un’altra foresta del VTR, per consentire ai veterinari di prendersi maggiormente cura di Amrit. Anche Amrit fu colpito dalla separazione da Rupa perché sino ad allora avevano condiviso lo stesso capannone. “Appena Rupa fu allontanata da lui, le condizioni di Amrit peggiorarono e lui morì poco dopo“, ha detto il funzionario. Gli elefanti sono tra gli animali più sociali e mostrano emozioni estreme come la rabbia e il dolore e sono anche noti per possedere un sesto senso unico. Il funzionario del parco ha aggiunto che “Rupa ha forse avuto un presentimento riguardo alla fine del suo partner”, che si è manifestato nel suo comportamento da quando le condizioni di Amrit si sono deteriorate.”. Tale era l’attaccamento tra Rupa e Amrit che era diventato un punto di discussione per i funzionari forestali e gli amanti degli animali che di volta visitavano il VTR per vedere la coppia di elefanti.
Dal momento che durante i loro giorni circensi erano insieme, anche al VTR, si aiutavano a vicenda nelle loro faccende quotidiane e condividevano il loro cibo. La morte di Amrit sembra aver creato un vuoto nella vita di Rupa“, ha detto Sahni.
Un altro funzionario ha rivelato che, poiché i movimenti di Amrit erano limitati a causa dell’ artrite, Rupa non è mai rimasta incinta. “Lei non ha mai accettato un altro partner maschile al VTR diverso da Amrit“. Prima di essere sepolta, la carcassa dell’elefante è stata avvolta in un panno lungo 42 metri. Il Dottore che ha curato Amrit nei suoi ultimi giorni ha raccontato di avergli somministrato 50 bottiglie di acqua salina e di altri farmaci.

Questa storia è stata tratta da un articolo pubblicato su !Hindustan Times” pochi giorni fa.