Le Chitrakoot Falls, India.

Le chiamano “le piccole cascate del Naigara” indiane e sono le cascate più grandi dell’India. Le Chitrakoot Falls si formano nel punto in cui il fiume Indravati, lungo 390 Km., che nasce in Orissa, fa un balzo di 30 metri prima di entrare in Andra Pradesh. Siamo nello stato indiano del Chhattisgarh a 50 km da Jagdalpur. La forma a ferro di cavallo dello scenario naturale in cui le cascate si ebiscono copre una larghezza di 300 metri (un terzo di quella del Niagara) e la roccia scavata dall’acqua in caduta libera è sovrastata dai frequenti arcobaleni regalati dall’incontro delle gocce di acqua con la luce solare. Poichè siamo in India non manca un piccolo tempio dedicato al Shiva e grotte naturali battezzate grotte Parvati, dal nome della sua eterna consorte. La zona in cui si esibiscono queste spettacolari cascate, ricca di foreste, è il Parco Nazionale della Valle di Kanger; il loro flusso è ovviamente maggiore ma più sorprendente nel periodo da luglio ad ottobre, quando il fiume è abbondante di acqua anche se più fangoso a causa dell’erosione della terra rossa. Da novembre a febbraio la cascata è ridotta ma l’acqua è più limpida.

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Nella stagione secca è possibile farsi traghettare da qualche barcaiolo fin sotto le cascate mentre i pescatori svolgono la loro attività e i pellegrini indu fanno abluzioni nella parte più riparata a valle delle cascate. Per chi non vuole perdersi un fantastico tramonto può disporre persino di un hotel con vista. Nei dintorni non è raro vedere la popolazione tribale che vende artigianato. Questo video, in inglese, vi porta proprio laggiù. Buon week end a tutti.

testo by PASSOININDIA

foto by Wikipedia e Wikimapia

 

La brutale tradizione del Sati.

La brutale pratica medievale del sati ora fuorilegge in India consisteva nel sacrificio volontario della donna che si immolava bruciando sulla pira del marito defunto. Sebbene alcuni studiosi, come dirò più avanti, ne abbiamo tratto traccia da testi religiosi indu, questo fenomeno pare avere soprattutto connotati socio culturali. Si credeva innanzitutto che colei che si prodigasse in questo estremo gesto conferisse onore e rispetto a tutta la famiglia e la benedisse per sette generazioni diventando essa stessa un’eroina meritevole di onorificienze e di erezione di templi e pietre commemorative a ricordare il suo gesto. Bisogna tuttavia considerare che questa pratica risolveva anche molte questioni sociali; infatti le giovani vedove, da sempre discriminate, costituivano un pericolo per l’incolumità morale della comunità oltre a rappresentare un peso economico per la famiglia del defunto che mai, per onore, le avrebbe permesso di lavorare fuori dal nucleo familiare e quindi di autofinanziarsi. Non sfugge in questo rituale tradizionale del sati il ruolo della donna che pare giustificasse la propria esistenza solo in funzione di ciò che rappresentava per il marito cui doveva una incondizionata devozione, essendo moglie e possesso, prima che donna ed essere umano, devozione che trovava il suo acume proprio nella considivisione della stessa sorte.

Le leggi di Manu databili fra il II secolo a.C. e il II secolo d.C. stabilivano che la donna dovesse rimanere casta e pura, parola che, in sanscrito, si dice appunto “sati” e quindi, al contrario dell’uomo, non potesse risposarsi.

Si legga, in questo blog, “L’India difficile delle donne” https://passoinindia.wordpress.com/tag/codice-di-manu/

Il rituale della autoimmolazione, diffuso anche molti altri luoghi come Egitto, Grecia, Cina, mongolia Mongolia (a cui ha messo fine l’introduzione del buddismo tibetano), Africa, Asia, Oceania e tra germanici, celti, vichinghi, goti e sciiti non è quindi tipicamente indiano e qui veniva praticato solo in alcune zone rurali tra le comunità guerriere del nord, soprattutto in Rajastan e tra le alte caste del Bengala. In Bengala, la legge prevedeva che le vedove indu avessero il diritto di ereditare i gioielli nuziali e i beni immobili con il divieto di alienarli e questo, per alcuni studiosi, spiega come in questa zona il sati, che spesso quindi non era del tutto volontario, aggirasse, per così dire, l’ostacolo.

In Rajastan, la tradizione del sati fu tipica dei Rajput, una comunità di guerrieri che migrarono a nord-ovest dell’India e le cui mogli operavano il suicidio alla notizia della morte in battaglia del loro sposo. Queste caste guerriere, secondo alcuni studiosi avevano origine dal popolo Sciita che invasero l’India dalla metà del II secolo a.C. e vi introdussero il costume di cremare i morti. E proprio i Rajput, di fronte a una sconfitta certa, mettevano le loro donne e i loro bambini a morire nel fuoco per evitare che il loro nemico le catturasse e le disonorasse o le donne stesse si autoimmolavano per non cadere nelle mani dei musulmani (pratica del Jauhar). Si veda in questo blog “La storia della regina Padmini di Chittor” https://passoinindia.wordpress.com/tag/chittorgarh/.

Non dimentichiamo, tra l’altro, che spesso la condizione di emarginazione della vedova in India le imponeva la rasatura dei capelli, un semplice abito bianco da indossare, una alimentazione “essenziale” e l’alienazione totale dalla società che costituiva il cosiddetto “sari freddo” cui spesso le stesse donne preferivano il suicidio volontario. Questa situazione viene ricordata molto bene dal premiato film della grande regista indiana Deepa Mehta, “Water”, ambientato nel 1938, tempo in cui, in alcune zone indu dell’India, si usava dare bambine e adolescenti in spose a uomini più anziani; alla loro morte, le giovani vedove venivano rinchiuse in un ashram per vedove affinché espiasserio i loro peccati e si ripulissero dal cattivo Karma, presunta causa del decesso del marito; in realtà la famiglia otteneva anche il vantaggio di liberarsi di un peso finanziario.

Sebbene nella maggior parte del territorio indiano la pratica del sati non si diffuse, essa, dove ebbe luogo, contò centinaia e centinaia di sacrifici e fu proibita ufficialmente dagli inglesi nel 1829. Nel recente passato, si sono registrati rarissimi casi pervasi tuttavia dal dubbio che si tratti di atto volontario, di coercizione esplicita, di costrizione psicologica o di puro atto di suicidio. Nei Purana, sacri testi indu, alcuni hanno ravvisato l’origine del Sati; qui Sati è la dea che impersonifica la Natura, e che è stata creata dal dio supremo Brahma, destinata a diventare consorte di Shiva; nonostante suo padre trovasse per lei possibili mariti, Sati desiderava Shiva e con lui visse asceticamente sul monte Kailash. Quando suo padre, un giorno, le dimostrò di non rispettare il suo compagno, Sati si autocombustionò bruciando da dentro. Shiva scatenò allora tutto il suo rancore e anche il padre di Sati venne decapitato. Shiva, il re della danza, portò il corpo di Sati sulle spalle e cominciò quella di Tāndava, una danza da cui iniziano i cicli della creazione, conservazione e dissoluzione e con cui, in tal caso, egli voleva riassorbire l’universo. Vishnu allora tentò di fermarlo smembrando il corpo di Sati che in 51 pezzi cadde in veri luoghi dell’India conosciuti come Śakti Pitha da sempre venerati come meta di pellegrinaggio. Sati rinacque come la nuova consorte di Shiva, reincarnandosi in Parvati. Anche nel Mahabhsarata, una grande epopea di una guerra tra due gruppi di cugini per un regno, ci sono riferimenti alla pratica del sati. Qualcuno ha collocato la sua origine sin dal periodo vedico, considerato che, nel Rg-Veda, una vedova che si trova sulla pira del marito defunto viene invitata ad abbandonare l’uomo morto e a riunirsi alla vita.

Testo by PASSOININDIA

Ancora Vaisakhi. Festeggiamo insieme.

Come ogni anno è tornata la Festa di Vaisakhi in India. Per i nuovi followers del blog (grazieeee!!!) ripubblico l’articolo che ne racconta tutta la tradizione. Eccolo.

Oggi, 14 di aprile, al mio Paese, nell’India settentrionale, festeggiamo, come tutti gli anni in questo giorno, la Vaisakhi chiamata anche Baisakhi, Vaishakhi o Vasakhi. E’ una festa celebrata da noi sikh ma anche dagli induisti e dai buddisti anche se per ragioni differenti. Per gli induisti è l’inizio del nuovo anno, ed è celebrato con bagni, feste e adorazioni. Ai buddisti ricorda la nascita, il risveglio e il passaggio alla via illuminata del Buddha nato come principe Siddharta. Per il sikkismo è particolarmente importante perché commemora il giorno in cui, nell’anno 1699, il decimo Guru Sikh, Gobind Singh, ha istituito il Khalsa Panth, cioè l’ordine dei Puri, che detiene il potere temporale (civile, militare, esecutivo) nella comunità Sikh ed ha attribuito il potere spirituale non più ad una persona, come era avvenuto sino ad allora, ma ad un libro il Guru Granth Sahib.  In Punjab (qui la festa si chiama visākhī), la regione del nord India maggiormente abitata da noi sikh,  è quindi  tutta una grande festa. I fulcri religiosi più fervidi di questa festa sono il Talwandi Sabo, il luogo dove il Guru ha vissuto nove mesi completando la scritturazione del Guru Granth Sahib, il nostro libro sacro, il  Gurudwara (tempio) di Anandpur Sahib, cioè il luogo di nascita del Khalsa e il Tempio d’Oro di Amritsar. In realtà, ovunque ci sia un gurudwara, c’è stata una grande folla per pregare e leggere Gurbani, i precetti del libro, cantare kirtan e fare il bagno nella piscina del tempio.  Questa festa è anche l’occasione, per  gli agricoltori, di  ringraziare Dio di aver avuto un buon raccolto e pregare che il successivo sia altrettanto prospero; la sera quindi la gente si è divertita eseguendo la Bhangra, una danza che racconta la storia di tutto il processo agricolo, dalla lavorazione del terreno, alla semina, alla raccolta.  La regione da cui provengo, il Punjab, il cui nome significa “terra dei cinque fiumi” è chiamata “granaio dell’India” perché i prodotti derivati dalla sua fertile terra (riso, mais, grano…) approvvigionano tutta l’india, prevalentemente arida, e costituiscono la prima risorsa del Punjab. Potete quindi comprendere l’importanza di una buona riuscita del seminato. In ogni villaggio la festa va avanti con coloratissimi mercati, abili giocolieri, e avvincenti partite di Kabaddi (cfr. post “kabaddi” su questo blog).

Il giorno di visākhī tutti gli Indiani commemorano anche il massacro di Amritsar avvenuto in questo giorno nel 1919. In quel giorno migliaia di indiani si trovavano al Jalianwalla Bagh, un parco nel cuore della città di Amritsar (cinto da mura con una stretta apertura di ingresso) proprio per celebrare il Baisakhi. Questo andava contro la legge marziale istituita dagli inglesi che vietava le riunioni di cinque o più persone in città. Quella legge marziale derivava da un periodo di grande tensione tra gli indiani e gli inglesi e seguì ad una serie di forti proteste in piazza guidate dal Partito del Congresso contro la legge che consentiva incarcerazioni arbitrarie di dissidenti senza alcun processo (Rowlatt Act); inoltre gli indiani erano sempre più avviliti per il fatto che dai loro sacrifici nella prima guerra mondiale non fosse derivato alcun riconoscimento. Era il periodo del messaggio gandiano della non violenza eppure spesso manifestazioni iniziate pacificamente diventavano feroci battaglie civili e questo portò il governatore inglese del Punjab Michael O’Dywer a dichiarare appunto la Legge marziale.

Ebbene, il 13 aprile 1919 un mezzo blindato marciò verso il parco  Jalianwalla Bagh di Amritsar  e i soldati, comandati dal generale O’Dywer, senza preavviso  fecero fuoco sulla folla che tentò di scappare gettandosi dai muri di cinta del parco e in un pozzo attiguo per evitare i proiettili. Ci furono 1516 tra morti (almeno 379) e feriti con 1650 proiettili sparati e senza alcun atto di soccorso da parte degli inglesi. Nei due mesi seguenti vennero fatte altre dure leggi marziali e perpetrate violenze contro gli indiani in tutto il Punjab. Persino il film Gandhi rappresenta questo fatto. O’Dywer non fu mai giustiziato, solo si dimise. Però nel 1940, ventuno anni dopo, fu assassinato per mano di Udham Singh, un attivista per l’indipendenza indiana, che volle vendicare il massacro cui lui assistette mentre stava offrendo acqua alla gente che era nel parco. Durante una riunione congiunta dell’Associazione delle Indie Orientali e della Società dell’Asia centrale a Caxton Hall, Londra, egli nascose una pistola dentro un libro appositamente tagliato per contenerla, entrò nella sala e sparò a O’Dywer che morì sul colpo. Udham venne arrestato, giudicato e impiccato. Quando il giudice gli chiese il suo nome egli rispose “sono Ram Singh Mohammad Azad” cioè il nuovo nome che si era dato, già prima di questo fatto, per dimostrare l’importanza di trascendere le divisioni di razza, casta, credo e religione, in nome dell’unità e indipendenza indiana. Infatti “Ram” è un nome indù, “Mohammad”  un nome musulmano e “Singh” un nome sikh. “Azad” significa essere liberi. Ma questa è un’altra storia.

 

Testo by Passoinindia con l’ausilio di fonti Wikipedia e dei miei ricordi.

Pasqua in India.

La celebrazione della Pasqua in India risale al periodo pre-indipendenza, quando gli inglesi governarono il paese. Anche se la popolazione cristiana in India costituisce un minuscolo 2,5% della popolazione totale, la Pasqua viene celebrata con grande enfasi e vigore religioso. Il festival è importante quanto le occasioni cerimoniali di altre religioni predominanti nel paese. Scambio di doni, servizi in chiesa e carnevali stravaganti fanno parte dei festeggiamenti di Pasqua in India. Le celebrazioni di Pasqua in India iniziano con la Quaresima e culminano con la Domenica di Pasqua. I cristiani in tutto il paese, in particolare a Mumbai, Goa e gli stati del nord-est, fanno allestimenti elaborati per le festività pasquali. I fedeli affollano le chiese, recitano speciali preghiere e compiono rituali la Domenica di Pasqua. Anche se in India non si usa decorare a casa le uova di Pasqua, i fedeli li acquistano presso i negozi per farne dono ai figli. Durante il festival, sono venduti anche coniglietti pasquali. Fa parte della celebrazione scambiarsi regali. Goa, una colonia del Portogallo dell’India pre-indipendenza, è una delle migliori destinazioni per le vacanze di Pasqua in India. In questo piccolo Stato occidentale dell’India, giochi di strada, canti, balli vengono rappresentati durante la festa di Pasqua. Carnevali colorati sono una parte dei festeggiamenti di Goa. In famiglia si cuociono dolci pasquali o tutt’al più si comprano in pasticceria per far contenti i bambini. Una delle tradizioni di Pasqua in India è lo scambio di lanterne colorate così come la Santa Croce, al termine della funzione religiosa. Data la diversità nello stile di vita e di cultura in India, i gusti variano da regione a regione. Pertanto, è possibile trovare un sacco di varietà nelle ricette tradizionali cucinate per la Pasqua. In India, anche se la Pasqua non è così popolare come il Natale, i cristiani festeggiano la  risurrezione di Gesù Cristo con grande attenzione, preparando, così come  in altre parti del mondo, lauti pranzi e cene. Giochi interessanti vengono organizzati per mantenere lo spirito in festa. Così la Pasqua è  anche un’ottima occasione per divertirsi.

Liberamente tradotto da  http://festivals.iloveindia.com/easter/traditions/easter-in-india.html

foto da http://www.dnaindia.com/lifestyle/report-heres-why-easter-is-celebrated-1817135