A Paro (Bhutan) per il compleanno di Guru Rimpoche.

Le nuvole si sono aperte per rivelare un’isola di verde tranquillità immersa tra le possenti catene dell’Himalaya e hanno lasciato scorgere la valle di Paro. La valle e il resto del Bhutan si stavano preparando per l’anniversario della nascita di Guru Padmasambhava, conosciuto anche come Guru Rimpoche, che è venerato in Bhutan come secondo Buddha. Sono stato invitato ad andare in Bhutan per l’evento. Il 15 Giugno 2016, ha avuto una configurazione unica. Una volta in 60 anni, l’anniversario del Guru cade il decimo giorno del mese della Scimmia, nell’anno della Scimmia di Fuoco, che si ritiene abbia la stessa configurazione del momento in cui il Guru è nato nel secolo VIII°.

La valle di Paro ha un posto speciale nella biografia del Guru. I suoi viaggi abbracciarono l’Himalaya, l’Hindu Kush e oltre. Si ritiene che sia arrivato a Paro in groppa ad una tigre e che meditò in una caverna per tre anni, tre mesi, tre settimane, tre giorni e tre ore. Quella grotta è conosciuta come il nido della Tigre, che si trova nel Monastero Taktsang, arroccato su una rupe precaria e che oggi è uno dei luoghi più frequentati del turismo in Bhutan.

Ad un passo dal nido della Tigre si trova il Paro Rinpung Dzong, che la mattina del 15 giugno era tutto in fermento. Giovani e vecchi sono arrivati in fila da tutta la valle vestiti in abiti tradizionali a testimoniare l’inaugurazione di un thangka di 110 piedi raffigurante il Guru Padmasambhava. E’ stato un momento di profonde preghiere e riverenza.

Questo giorno speciale del calendario buddista è stata anche l’occasione per capire la vita e le credenze del Guru e testimoniare la sua manifestazione fisica attraverso le esibizioni di ballerini mascherati. Organizzato dal Centro per l’Intensificazione della Pace e dal Centro per gli Studi del Bhutan, l’evento è stato un altro tentativo di rafforzare lo stretto collegamento religioso e culturale tra i paesi dell’Asia meridionale attraverso cui Guru Padmasambhava ha viaggiato lasciando un’impronta duratura della pace nella regione.

guru-padmasambhava

In Bhutan, dove il Guru mise piede 1.270 anni fa, i suoi insegnamenti, in particolare sul Buddhismo Vajrayana, hanno guidato la gente di questa ‘Terra Santa” a vivere con compassione per tutti gli esseri e in armonia con l’ambiente. Questo risulta evidente quando si cammina per le strade delle città e dei villaggi. La sensazione di serenità e il ritmo regolare della vita rilassa i nervi scossi dalla città.

C’è rispetto e attenzione sia per le persone che per lo spazio pubblico. Lo sviluppo equilibrato definito dai nove domini dell’indice di ‘Felicità Interna Lorda ha fatto si che il resto del mondo rivederesse l’intero dibattito sullo sviluppo. Il Bhutan trasuda semplicemente questo senso di pace. Si tratta di uno degli ultimi posti al mondo che danno un assaggio di Shangri La, almeno per ora, di speranza per il futuro. (ndr Shangri-La è un luogo immaginario e felice descritto nel romanzo Orizzonte Perduto di James Hilton del 1933).

Alcune delle persone più giovani che ho incontrato, però, sembrava chiedersi “E allora? Sì, c’è la pace e la sicurezza ma c’è di più nella vita?” La formazione in università internazionali, l’esposizione attraverso Internet sui più recenti smartphone, e i programmi televisivi hanno iniziato a portare le influenze di un mondo diverso. E che sembra essere sfidare l’attuale stato di armonia.

Questo post è la libera traduzione di un articolo pubblicato sull’Hindustan Times 

scritto da Gurinder Osan

http://www.hindustantimes.com/travel/in-pics-bhutan-s-big-idea-of-happiness/story-4F2I7cyZndzbo46NsgYYBP.html

dove potrete vedere bellissime foto (tra cui il video e quelle qui pubblicate)

per saperne di più vedi anche (scritto da Passoinindia)

https://passoinindia.wordpress.com/2013/12/07/la-tana-della-tigre-buthan/

https://passoinindia.wordpress.com/2016/01/23/bhutan-fuori-dal-tempo/

se vuoi viaggiare in Bhutan http://www.passoinindia.com

Testimone della sepoltura celeste (Tibet).

La sepoltura celeste o Bya Gtor (elemosina per gli uccelli) è un antico rito funerario tibetano ancora oggi praticato da alcune comunità buddiste Vajrayana. Il corpo del defunto viene scuoiato ed esposto agli avvoltoi. Questa pratica In Tibet è conosciuta come jhator, che vuol dire fare l’elemosina agli uccelli. Il cadavere viene scuoiato dal tomden o Rogyapas (distruttore del corpo) il maestro del cerimoniale che alla fine chiama gli avvoltoi con le parole Shey, Shey (“Cibatevi, cibatevi”) che quindi arrivano sul cadavere. Le ossa e il cervello poi vengono frantumati con un martello di pietra e mescolati con farina d’orzo e burro di yak (Tsampa). Il tomden richiama ancora gli uccelli che ridiscendono per mangiare gli ultimi resti.Per i buddisti la morte è un naturalmente integrato nel ciclo eterno delle rinascite ed è semplicemente un involucro che permette di compiere il viaggio della vita. Dopo la morte i lama svolgono la pratica del Phowa il “trasferimento della coscienza”, in presenza della persona morta, affinché lo spirito abbandoni il corpo che quindi non ha più alcuna funzione. Lasciare il proprio corpo in pasto agli avvoltoi è un atto finale di generosità del defunto verso la natura che crea un legame con il ciclo della vita e che gli consente di  rimettere i propri ‘debiti karmici’ con gli altri esseri. Gli avvoltoi infatti sono uccelli che si cibano solo di animali morti e inoltre sono venerati e considerati dai tibetani una manifestazione delle dakini gli equivalenti tibetani degli angeli. Questo cerimoniale risponde anche ad esigenze pratiche in Tibet  il terreno è principalmente roccioso e spesso ghiacciato, rendendo difficile la scavatura di fosse. Inoltre, trovandosi la maggioranza del Tibet al disopra della linea degli alberi, il legname è scarso e quindi impossibile la cremazione.

Quella che segue è una testimonianza.

Sui gradini di fronte al monastero Drigung una dozzina di monaci stanno cantando. Davanti a loro, sul selciato del cortile, c’è un corpo avvolto in un panno bianco, portato sin lì su una barella un’ora fa. I monaci stanno pregando per uno spirito che un tempo era nel corpo ma ora lo ha lasciato. Oggi è la terza visita di questo genere per il Gonpa Drigung che ha una specialità florida ma raccapricciante: lo smaltimento dei morti. Io e il mio team siamo arrivati qui la scorsa notte dopo una lunga giornata da Lhasa a Meldor Gungkar County, nel Tibet centrale.

Il monastero Drigung si trova su una collina ripida che domina il nostro campo. Sopra il complesso religioso c’è un sito di “sepoltura celeste”, ovvero un luogo dove avviene lo smaltimento di un cadavere consentendo agli uccelli di divorarlo. Gli uccelli, convocati dall’incenso e venerati dai tibetani, gettano le loro escrementi sulle alte vette. Questa sepoltura è praticata in tutto l’altopiano, ma Drigung è uno dei tre siti più famosi e ritenuto di buon auspicio. Dopo il canto, camminiamo su un sentiero ben tracciato fino ad un alto crinale, mantenendo una rispettosa distanza dietro al corteo funebre che ha fatto tutta la strada da Lhasa per assolvere a questo ultimo compito per l’amico scomparso. Il terreno o Durtro, è un grande prato recintato con un paio di templi e un grande cerchio di pietre dove si svolge la cerimonia. Bandierine di preghiera pendono da numerosi chortens e il profumo di ginepro fumante purifica l’aria. Gli avvoltoi fanno un cerchio sopra le nostre teste e molti altri sono raggruppati sul prato, a pochi metri dal letto funebre. I Tibetani praticano diverse forme di smaltimento dei morti, ma la sepoltura celeste è il metodo più comune e in effetti è molto pratico in una terra in cui il carburante è scarso e la terra è spesso troppo difficile da scavare. Per me è un’opportunità straordinaria assistere a questa cerimonia. Ma sono anche in apprensione e mi chiedo come reagirò alla vista della morte. Arrivano uomini in lunghi grembiuli a scoprire il cadavere che è nudo, rigido e gonfio. Gli uomini hanno in mani enormi mannaie. Il sole e il cielo di un blu chiaro diffondono un po’ la mia inquietudine. Questi uomini non sono cerimoniosi, stanno solo svolgendo il lavoro, chiacchierano tra loro e si preparano ad iniziare.

I tibetani ritengono che, più importante del corpo, sia lo spirito del defunto. Dopo la morte, il corpo non deve essere toccato per tre giorni, tranne forse la sommità della testa, attraverso cui la coscienza, o namshe, se ne andrà. I Lama guidano lo spirito in una serie di preghiere che durano per sette settimane, poiché la persona prende la sua strada attraverso il bardo – lo stato intermedio che precede la rinascita.

Appena viene fatto il primo taglio, gli avvoltoi si affollano più da vicino ma tre uomini con lunghi bastoni li mandano via. In pochi minuti gli organi del morto vengono rimossi e messi da parte per dopo, per uno smaltimento separato. Ora gli avvoltoi tentano di entrare nel corpo ma sono impediti dall’agitare dei bastoni e dalle urla. Poi, al segnale, gli uomini simultaneamente lasciano cadere le mannaie. Il gruppo di uccelli si precipita nuovamente dentro e ricopre completamente il corpo, le teste degli avvoltoi scompaiono, ripiegate verso il basso per strappare pezzi di carne. Sono uccelli enormi, con ali di più di 2 metri, coperte di piume bianco sporco, ed enormi spalle grigio-marrone. Le loro teste non hanno piume per non impedire all’uccello di alimentarsi quando raggiunge un corpo.

Per tredici minuti gli avvoltoi sono in frenesia. L’unico suono è lo strappo della carne e il loro pigolare nel competere per i pezzi migliori. Gli uccelli si stanno gradualmente saziando e alcuni prendono il volo, le loro enormi ali suonano come locomotive a vapore dal battere di ali sopra la testa. Ora gli uomini tirano fuori ciò che resta del cadavere – solo uno scheletro insanguinato – e mandano via gli uccelli rimasti. Prendono le enormi mazze e si mettono a rompere le ossa del defunto. Gli uomini parlano mentre lavorano, a volte ridendo perché, secondo la credenza tibetana, le spoglie mortali sono solo un vaso vuoto, lo spirito del morto è già andato via e il suo destino sarà deciso dal karma accumulato attraverso tutte le vite passate.

Le ossa sono presto ridotte come schegge, mescolate con farina di orzo e poi gettate a corvi e falchi che hanno atteso il loro turno. Gli avvoltoi restanti afferrano pezzi di cartilagine ammorbidita e avidamente li divorano. Mezz’ora dopo, il corpo è completamente scomparso. Anche gli uomini se ne vanno avendo finito la loro giornata di lavoro. Ben presto, la collina torna alla sua serenità. Penso all’uomo la cui carne è ora sopra le montagne e decido che, se mai mi capiterà di morire su quell’ altopiano, non mi dispiacerebbe seguirlo.

[Nota: su richiesta delle persone che partecipano al funerale, non sono state prese le foto]

libera traduzione da Witness to a Tibetan Sky-Burial A Field Report for the China Exploration and Research Society by Pamela Logan, Drigung, Tibet; September 26, 1997 http://alumnus.caltech.edu/~pamlogan/skybury.htm

immagine da http://trendspost.com/feeding-the-vultures-the-sacred-sky-burials-of-tibet/

In Kerala per la festa di Onam.

La festa di Onam è la più importante festa del Kerala, il bellissimo Stato costiero del Sud dell’India che vive prevalentemente di agricoltura e con essa si festeggia il raccolto. Pur essendo una festa indù è celebrata con entusiasmo da tutti i Keralites senza differenze di casta e di religione. Onam cade all’inizio del mese di Chingam, il primo mese del calendario Malayalam che corrisponde ai mesi di agosto-settembre e dura dieci giorni. I giorni più importanti sono l’Atham, il primo giorno di Onam, in cui si svolgono i preparativi alla festa e il Thiruonam,  il decimo giorno (4 settembre 2016) e più avanti vi spieghiamo perché è così entusiasmante esserci.

vi va di fare un giro un po’ più lungo per venire a leggerlo sul sito di PassoinIndia Tours?

http://www.passoinindia.com/#!onam-festival-in-kerala/c160g