Il mio Natale a Delhi. (e Buone Feste a tutti!)

Partire è sempre quasi una fretta. Tremendo il pensiero di aver omesso qualcosa di utile, pur se non essenziale. Retaggio occidentale. Poi, lo zaino sale sulle spalle, come un bimbo da accudire. Comincia il delirio aeroportuale ed il compiacimento del mio vedermi in uno specchio occasionale; la mia faccia è già cambiata. Il viaggio è una intermittenza di momenti veloci, negli spostamenti tra i terminal, e di attimi lenti, in attesa sulla fila di sedie del gate, prima di accoccolarmi sulle poltrone datate degli aerei servita da hostess consumate e sorridenti. Già in volo entro in un altro mondo, di paesaggi cartonati e nuvole incotonate. Arrivare a Delhi, che è ancora notte, non rassicura; questa città ti punta addosso occhi di pece vibranti in un bianco latteo troppo spesso appartenente a corpi avvolti in misere stole lanose. Ma la stanchezza viene vinta dall’andare, dall’essere inevitabilmente assorbita dal traffico di Delhi che si sta senza preavviso risvegliando. E’ una polvere fina quella che si insinua tra i miei vestiti e si posa sulla pelle. Delhi non cambia mai. Ogni volta vorrei non conoscerla per emozionarmi come la prima volta. Delhi, la grande metropoli, ogni volta si mostra duramente. Non c’è concessione, nessuna occasione di riscatto per i corpi dormienti sui rickshaw, se non in un’altra vita. Tutto qui corre veloce, ognuno ha più fretta dell’altro. I tuc tuc, come giocattoli, le moto, come ferri vecchi, dribblano auto frenetiche, camion colorati, pedoni soccombenti e vacche sacre e pacifiche. Imbocco a piedi una delle piccole deviazioni dalla strada principale dove il tassista si è fermato all’indirizzo ordinato ed ha atteso il suo prezzo. Qualche cane randagio si sposta da me come un moribondo ed i miei passi cercano con cura stabilità tra pozze di acqua lasciate dalla pioggia e scarti di rifiuti. Ogni via è incoronata da lunghi fili elettrici intrecciati, dove più, dove meno, affiancati da cartelli pubblicitari che paiono obsoleti. Carretti di ogni buona mercanzia stanno guadagnando il loro posto ai lati del percorso, sotto case provate da una costruzione selvaggia ed intensa necessaria all’alto numero di abitanti. Attirata da portoni in ferro elegantemente decorati, ricorro alla memoria di qualche anno fa e cerco quell’uscio, antispazio di una ripida rampa di scale. Ho trovato la mia destinazione e gli occhi dei bambini fattisi più grandi. Sono tornata. Grandi stelle scintillanti su qualche balcone mi ricordano che è quasi Natale.

 

testo by PASSOININDIA.

 

 

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