Il tempio indu (la struttura)

Sia il tempio indu che quello buddista derivano la maggior parte della loro forma e decorazione dalla rispettiva mitologia e filosofia. Ma, a differenza dello stupa buddista, il tempio indu non è un monumento funerario e commemorativo ma è concepito come devalaya, la dimora di dio, un luogo che gli dei amano visitare e deve quindi essere perfetto per questo scopo in ogni suo dettaglio. Nonostante la sua vastità, il subcontinente indiano è accomunato da un filo conduttore mitologico che lega luoghi distanti. I luoghi in cui, secondo il mito, gli dei profusero le loro gesta, divennero sacri centri di pellegrinaggio, perché benedetti dalla visita divina. Le origini del tempio sono da rinvenirsi anticamente in un modesto riparo sotto un albero o sulle rive di un fiume riconosciuti come sacri, visto che, nella configurazione di un tempio, l’acqua è importantissima perché simbolizza il punto di passaggio verso l’altra riva della saggezza. Questi punti sacri diventarono edifici a tutti gli effetti quando raggiunsero importanza tra i devoti e le risorse finanziarie ne supportarono la realizzazione. Quando i sovrani ed i cortigiani finanziarono e commissionarono un tempio o una scultura, fu sempre per una ragione particolare: ricordare una vittoria politica, la conquista di un territorio, una persona amata, una glorificazione perpetua della loro dinastia. Il tempio, come dimora degli dei, fu costruito come un riflesso in miniatura del cosmo, con la struttura allineata in direzione dei punti cardinali: verso est, simbolo della perseveranza, dove sorge il sole; verso ovest, dove tramonta il sole, zona di Varun, il dio dell’oceano eterno; verso nord, la regione della permanenza; verso sud, quella di cambiamento e decadenza, il regno di Yama, il Signore della morte. A seconda della divinità e la stagione in cui il tempio veniva costruito, esso si rivolgeva ad una particolare direzione cardinale ma la maggior parte erano rivolti verso est. Anche la configurazione delle stelle e dei pianeti fu determinante nella pianificazione strutturale del tempio affinché gli dei vi potessero riconoscere la ricostruzione dell’universo ed elargire la loro benedizione ai devoti. Tali regole furono rispettate sia che il tempio fosse costruito in India o in Nepal, nel deserto o sulle colline.

Un tempio consisteva in un singolo quadrato, il garbha griha o camera del grembo o dimora dell’embrione, il suo sancta sanctorum, dove avviene il contatto tra la dimensione terrena e quella divina; si trattava di una stanza disadorna, intenzionalmente buia per favorire la concentrazione della mente del devoto sull’immagine del divino all’interno di essa, la statua del dio principale da cui il tempio prendeva il nome. Ad esempio, il tempio più famoso a Varanasi è chiamato Vishvanatha, il Dio dell’intero Universo. Solo i sacerdoti potevano e possono accedere al garbha griha.. Anche se il termine è associato ai templi indù, spesso ne erano dotati anche i templi giainisti e buddisti. La sacra garbha griha con le sue facce uguali e dirette verso i punti cardinali di permanenza e cambiamento (con quattro porte aperte, come nei templi della valle di Kathmandu) negli ultimi secoli fu realizzata in modo da formare disegni e proporzioni diverse, assumendo talvolta una pianta a forma di stella, come nei templi di Belur e Halebid in Karnataka o tondeggiante, come in quelli del Kerala o con movimenti ondulatori come in quelli di Kajuraho (Madhya Pradesh). Durante lo stadio elementare di sviluppo il tempio era spesso composto dalla sola camera santa costituita da un singolo monolocale, coperta da un semplice tetto piano, come nei primi esempi del V secolo. La pietra per il tetto, infatti, era difficile da modellare, mentre nelle costruzioni in legno era possibile ottenere anche un tetto a forma di botte. Ci sono ancora molti templi in India dove il sanctum è costruito in legno e mattoni, come nel sud. Molti di quei templi antichi non sono arrivati fino a noi a causa della deperibilità del materiale con cui erano fatti. Quando crebbe il mecenatismo per la costruzione dei templi indu, si cominciò a costruirli in pietra, materiale più duraturo ma più costoso. Il garbha griha cominciò ad essere sormontato da una copertura, un “tetto” non piano chiamato shikhara, che nei secoli assunse proporzioni monumentali che lo rese dominante sul circondario e visibile da molto lontano. Shikhara é un termine sanscrito che significa “picco montuoso” ed è anche interpretato come un asse verticale, “l’axis mundi”, che attraversa i cieli, la terra e il sottoterra. L’elevazione verso l’alto del Shikhara rappresenta l’elevazione spirituale personale (ātman) e lo slancio verso Brahma, l’essere supremo.

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L’architettura dei templi è stata classificata in base alla forma del shikhara e alle sue decorazioni. Quelli del sud India, in stile drāvida, sono solitamente fatti di strutture orizzontali sovrapposte che verso l’alto si riducono in larghezza costituendo una sorta di piramide. Ogni livello è decorato con diverse rappresentazioni. I templi del nord e centro India, in stile nāgara, hanno al contrario dei shikhara somiglianti ad un cono decorato e costituito da altri piccoli shikhara in miniatura.A questi due stili si affianca quello vesara, (dalla copertura cilindrica), una sintesi degli altri due. I templi di Bhubaneshwar in Orissa hanno una forma evoluta che si erige con livelli orizzontali in pietra decorati che si alzano come una colonna sopra il garbha griha e accentuano la loro curvatura mentre si avvicina la cima della torre. Solo dopo la costruzione del garbha gtiha il tempio hindu, si ingrandiva con ambienti che si aggiungevano al disegno originale, soprattutto quando, dal VI°-VII° secolo d.C., il tempio divenne un fulcro sociale, gravitato com’era da sacerdoti, assistenti dei brahmini, giardinieri, addetti alle pulizie, musicisti e danzatrici, il luogo religioso e di ospitalità ai pellegrini di passaggio o ai poveri così come ancora oggi avviene in molti templi. I tetti delle sale sussidiarie del tempio dell’India centrale e dell’ Orissa svilupparono una distinta forma piramidale composta da diversi strati decrescenti, costituendo la forma di una montagna, incrementando il simbolismo dei templi come dimora degli dei in mezzo all’ Himalaya. Nella valle di Kathmandu, per le condizioni climatiche, l’architettura dei templi assunse la forma di una pagoda costituita di vari livelli. I templi in legno del Kerala e di Goa also ebbero grandi coperture spioventi ricoperti da piastrelle.

Sulla cima di ogni shikhara c’era il kalash, l’emblema a forma di contenitore per l’acqua. In tutto il continente il kalash è il vaso simbolico dell’ambrosia, il fine ultimo della preghiera, la promessa della vita eterna libera dal cambiamento e dalla morte. Anche la decorazione scultorea sulla parete esterna della garbha griha e della sala fu una questione di gusto regionale. Sebbene il Vastu-Shastra, il testo quasi sacro sull’architettura del tempio descrisse l’arte e il simbolismo della costruzione, ogni regione ne interpretò le regole secondo le proprie esigenze. Il garbha griha che ospitava l’immagine centrale del tempio era racchiuso su tre lati. La porta d’ingresso al santuario, dai primi esemplari di Gupta, fu scolpita, su entrambi i lati, con immagini delle dee dei fiumi, assicurando la purezza a tutti coloro che passavano attraverso i portali, e con altre figure di buon auspicio lungo il bordo della porta. La zona centrale sull’architrave dall’altra parte della porta era scolpito con una figura della divinità alla quale il tempio era dedicato. Sulle pareti esterne del garbha griha erano installate nicchie con immagini che rappresentavano la manifestazione della divinità. I muri del tempio potevano narrare temi della mitologia o rappresentare figure di altri dei e dee del pantheon indu. A questo vasto schema decorativo potevano essere aggiunte figure di semi-dei o creature mitologiche che proteggevano il tempio dalle forze maligne. La quantità e la proporzione dei motivi di questi templi variava da regione a regione, dagli scarni templi di Hampi a quelli pluridecorati di Belur e Halebid, peraltro tutti facenti parte della stessa regione del Karnatka.

Molti di questi templi o di ciò che ne rimane sono di epoca Gupta, una dinastia che regnò nell’India settentrionale a partire dal 320 d.C. fino al VII secolo d.C., sono frequentati dai devoti che operano puje e seguono riti codificati, compiono la pradakshina ovvero la circuambulazione del santuario entrando nell’area sacra da oriente (simbolo dell’inizio di ogni cammino) e, camminando, ripercorrono simbolicamente il ciclo solare. Molti altri sono di recente costruzione eppur mantengono le stesse regole strutturali di quelli antichi, senza tuttavia, a parer mio, emanare lo stesso fascino. (by PassoinIndia)

da sinistra:  templi in Madhya Pradesh, Kesava temple (Karnataka), Orissa, Tamil Nadu

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