LE DONNE INDIANE

In questo continente riarso 
le donne non mostrano visi accigliati
sui muri di fango

Pazientemente siedono 
come brocche vuote
 
ai bordi del pozzo del villaggio
 
la speranza in ogni treccia dei loro lunghi capelli
 
guardando in profondità lo specchio dell’acqua
 
con i loro occhi umidi.

Con scarabocchi zodiacali sulla sabbia 
custodiscono cosce tatuate

in attesa del ritorno dei loro uomini 
finché anche le ombre
 
rimboccano i loro contorni e se ne vanno  oltre le colline.

Poesia di Shiv K. Kuman, poeta indiano

La poesia è dedicata all’infinita pazienza della donna indiane che spesso ancora oggi si occupa di lavori pesanti che la relega in cronici stati di povertà (la casa fatta con il fango) Il continente è quello indiano, arido, con la sua società altamente patriarcale, in cui molte donne sono ancora oppresse. Abituata a non mostrare sofferenza, la donna è fin da piccola educata a gestire passivamente le emozioni, anche quelle che le derivano dal comportamento ingiusto degli altri. Tra le mura della sua casa è destinataria passiva delle attenzioni dell’uomo che troppo spesso la considera una sua proprietà privata (il tatuaggio con il nome del marito che le donne custodiscono tra le cosce). La donna non ha il potere di arrabbiarsi con qualcuno, neppure in ambito familiare (i muri di fango).  La pazienza è la virtù più cara di queste donne. Anche quando riempiono i vasi con l’acqua raccolta dal pozzo, la donna percorre lunghe distanze per portare alla famiglia quell’acqua, attinta così in profondità, e che riflette la sua immagine con gli occhi pieni di lacrime. Durante la lunga attesa del suo turno al pozzo la donna, quasi sempre analfabeta, con la punta dei piede disegna nella sabbia figure zodiacali abbassando il suo sguardo timido e pensando al suo uomo lontano oltre le colline. Lei lo aspetta finché anche le ombre se ne vanno, anch’esse oltre le colline.

Mahatma Gandhi a Roma

Gandhi a Roma

Gandhi arrivò a Roma il 12 dicembre 1931. Egli desiderava, tra l’altro vedere il Papa, che però non lo ricevette, pare per il succinto abito che indossava. Invece si incontrò con Benito Mussolini . Dopo incontrò Mussolini che disse di Gandhi “È un santone, un genio, che, cosa rara, usa la bontà come arma”. A sua volta Gandhi di Mussolini disse “Mussolini è un enigma per me. Molte delle riforme che ha fatto mi attirano. Sembra aver fatto molto per i contadini. In verità, il guanto di ferro c’è. Ma poiché la forza è la base della società occidentale, le riforme di Mussolini sono degne di uno studio imparziale. La sua attenzione per i poveri, la sua opposizione alla superurbanizzazione, il suo sforzo per attuare una coordinazione tra il capitale e il lavoro, mi sembrano richiedere un’attenzione speciale. […] Il mio dubbio fondamentale riguarda il fatto che queste riforme sono attuate mediante la costrizione. Ma accade anche nelle istituzioni democratiche. Ciò che mi colpisce è che, dietro l’implacabilità di Mussolini, c’è il disegno di servire il proprio popolo. Anche dietro i suoi discorsi enfatici c’è un nocciolo di sincerità e di amore appassionato per il suo popolo. Mi sembra anche che la massa degli italiani ami il governo di ferro di Mussolini”.

Gandhi in Rome

Alberi

images

Alcuni alberi sono come figli miei.
Alcuni, come madri.
Alcuni sono figlie, spose,
Alcuni altri come fratelli.

Alcuni sono come mio nonno,
con poca chioma,
Alcuni, come mia nonna
che gettava choori ai corvi.
Alcuni alberi sono come gli amici
Li abbracciavo e li baciavo
Uno è come la mia amata,
Dolce e dolorosa.

Ci sono alberi che vorrei
portare per gioco sulla mia spalla.

Ci sono alberi che vorrei
baciare e poi morire.
Gli alberi ondeggiano insieme
quando i venti soffiano forti.
Vorrei poter rendere
il loro verde, il linguaggio delle foglie.

Mi auguro che tornerò
come un albero
E se si vuole ascoltare la mia canzone
Vorrei cantare tra gli alberi.

Gli alberi sono come mia madre,
La loro ombra vivrà per sempre.

(By Shiv Kumar Batalvi)

Questa poesia è un inno alla Natura. Ogni albero ricorda all’autore i suoi affetti. E’ una natura non ostile, generosa e rassicurante. Sono alberi che sfamano gli animali così come la nonna dava pane ai corvi. E’ una natura protagonista che non è soggetta all’uomo e che si esprime liberamente. L’autore ama questi alberi al punto di sperare in una reincarnazione sotto loro forma. Esprimendo fortemente la sua passione, l’autore esterna l’immortale legame con la madre, eterna come la loro ombra.

Shiv Kumar Batalvi (23 luglio 1936-6 maggio 1973) è stato un poeta di lingua punjabi, conosciuto per le sue poesie romantiche. Fu il più giovane vincitore del Sahitya Akademi Award nel 1967, premio conferito dalla Accademia Nazionale di lettere indiana.

TREES

Some trees look like sons to me.

Some like mothers.

Some are daughters, brides,

A few like brothers.

Some are like my grandfather,

Sparsely leafed.

Some like my grandmother

Who threw choori to the crows.

Some trees are like the friends

I used to kiss and embrace.

One is my beloved

Sweet. Painful.

There are trees I would like

To throw on my shoulder playfully,

There are trees I would like

To kiss and then die.

The trees sway together

When strong winds blow.

I wish I could render

Their verdant, leafy language.

I wish that I could

Return as a tree

And if you wanted to listen to my song

I would sing it in the trees.

The trees are like my mother,

May their shade live forever.

Natale in India (Rudyard Kipling)

Con questa poesia, ritenuta da alcuni sardonica e da altri sentimentale, Kipling racconta del Natale in India, lontano da casa, in un clima alieno, in una atmosfera molto diversa rispetto alle gelate tradizionali del nord, all’agrifoglio e ai caminetti a legna di un Natale a casa, nel Regno Unito.

britain raj                                                   raj britannico

Natale in India
di Rudyard Kipling

Alba opaca dietro le tamerici, giallo zafferano il cielo
mentre le donne al villaggio macinano il grano
e i pappagalli cercano la riva, tra loro annunciandosi che è sorto il dì, l’abbagliante giorno d’Oriente.
Oh, la bianca polvere sulla strada! Il tanfo sui sentieri!
Oh, la viscida foschia che incombe sulla terra!
E a Casa festeggiano sotto le bacche d’agrifoglio – c’è posto nella loro allegria per noi esuli in India?
Giorno pieno dietro le tamerici, abbaglio d’azzurro il cielo –
mentre i buoi arrancano sotto il giogo, conducono lungo il sentiero chi è oltre speranze e affanni,
verso il ghat  sotto intrecciate ghirlande di fumo.
Invocate Rama, andando piano, nell’umile trasporto del  fratello –
invocate Rama – potrebbe udire, forse, la vostra voce!
Noi, coi nostri libri di inni e salmi, ci appelliamo ad altri altari, e auguriamo oggi che «gioiscano i buoni Cristiani!».
Alto mezzodì dietro le tamerici, ardente il sole su di noi –
mentre a Casa il Natale si disfa.
Al pranzo brinderanno a noi – essi che dicono d’amarci tanto, e ci dimenticano finché non sia passato un altro anno!
Oh, il lavoro che non conosce pause! Oh, la Heimweh acuta, incessante!
Oh, il nero mare che ci separa e la pianura aliena!
Giovinezza era a buon prezzo – e la vendemmo. Bello l’òro.
Speravamo d’averne tanto.
E oggi contiamo tutto il nostro guadagno!
Grigio crepuscolo dietro le tamerici, pappagalli volano a stormi – mentre a Casa il sole declina lento.
e il suo estremo raggio si beffa delle nostre pastoie che ci rimandano indietro quanto più avanziamo.
Duro il servizio, scarso il compenso -e lei, nei suoi vecchi cenci – l’India, la torva matrigna della nostra stirpe.
Se un anno le doniamo di noi se si entra nel santuario del tempio, la porta si richiude – e non si  può guardare indietro.
Notte nera dietro le tamerici, i gufi iniziano il coro –
mentre le absidi del tempio risuonano di voci e di grida.
Con vani anni alle spalle e disperati anni innanzi a noi,
onoriamo, fratelli, il gran Giorno del Natale!
Invochiamo una tregua, dunque, alle pene – festeggiamo con amici e vicini,
e stiamo in allegria, come s’usa nella nostra casta;
perché se «il riso è debole e forzato», e se tristezza lo segue,
ci saremo solo arricchiti di un altro beffardo Natale.

flag rudyard-kipling

la bandiera del Raj britannico e Kipling

Rudyard Kipling (1865 -1936), nato a Bombay, nell’India britannica, fu un poeta inglese, scrittore di racconti, e romanziere ed è ricordato soprattutto per aver descritto e celebrato l’imperialismo britannico in India, oltre che per i suoi racconti per bambini, come il famoso Libro della Giungla. Ricevette il Premio Nobel per la Letteratura nel 1907. Dopo la sua cremazione fu seppellito nell’Abbazia di Westminster. 

Kipling appartenne alla comunità degli inglesi trapiantati nelle colonie, trascorse la prima infanzia in India e poi fu mandato a studiare in Inghilterra all’età di otto anni. Il periodo inglese è definito, dallo scrittore stesso, di oscurità e dolore, vissuto lontano dalla famiglia, dal caldo e dall’ambiente esotico a cui si era affezionato dalla nascita. Il ritorno nel subcontinente, nel 1882, lo portò a lavorare come giornalista a Lahore, presso la Civil & Military Gazette; un incarico del genere gli permise di esplorare la realtà circostante, gli avvenimenti mondani, i fatti di cronaca, le feste e le sommosse indigene, l’amministrazione imperiale al pieno delle sue funzioni.

Salman Rushdie dichiara apertamente che nessuno scrittore occidentale ha mai conosciuto l’India al pari di Rudyard Kipling ed è proprio questa particolare conoscenza dei luoghi e dei dettagli che innalza i racconti dello scrittore anglo-indiano ad un innegabile valore artistico.

 

Kiplinghouse

La casa in cui nacque Rudyard Kipling, in India, è stata trasformata in un museo, ma l’autore è stato lasciato fuori dalla storia, non menzionato in tutto l’edificio a causa delle sue “sensibilità politiche”.

 

(penultimo e terzultimo periodo tratti dal sito http://www.griseldaonline.it/temi/l-altro/contaminazioni-paranoia-racconti-kipling-zullo.html

 

Lone fox dancing

Mentre tornavo a casa ieri sera
Ho visto una volpe che ballava solitaria
Alla luce della luna fredda.

Rimasi a guardare. Poi
Presi un’ altra strada, sapendo che
La notte era sua di diritto.

A volte, quando le parole suonano vere,
Sono come una volpe che balla solitaria
Nella rugiada del mattino.

 

liberamente tradotta da poesia di Ruskin Bond  “Lone fox dancing”

 

foto da sito National Geographic (racconta il tuo parco)

Happy Gurpurab, Guru Nanak

Oggi, 17 novembre, la comunità SIKH, stanziata in tutto il mondo, festeggia il compleanno del suo primo guru (in sanscrito significa “discepolo” o “allievo” e in lingua punjabi vuol dire “rivelatore”, “profeta”),GURU NANAK.

NANAK nasce, nel 1469, a Tolevandi (ora Nankana Sahib), vicino a Lahore (che dal 1947, anno della spartizione inglese, appartiene al Punjab pakistano).

Guru Nanak è il fondatore del Sikhismo, religione nata alla fine del XV secolo nel Punjab indiano. Nanak, di estrazione indu, sposato e con due figli, conoscitore anche del persiano e dell’arabo, dedica la sua vita alla diffusione del messaggio ricevuto da Dio e pertanto viaggia per 25 anni sino a raggiungere Tibet, Sri Lanka, La Mecca e Afghanistan, visitando la maggior parte di diversi centri di culto induisti, musulmani, gianisti e così via.

Nel 1496 Nanak, ottenuta l’illuminazione, comincia a predicare principi nuovi e rivoluzionari rispetto all’assetto sociale, culturale e religioso di quel tempo. In una società rigidamente suddivisa in caste, classi e sessi, egli sancisce la fratellanza e la incondizionata uguaglianza di tutti gli uomini davanti a Dio e davanti agli uomini. Egli sfida moralmente la povertà istituendo i Langar (mense comuni vicino al tempio dove chiunque può ottenere cibo gratuitamente e tutt’oggi diffuse in India), demolendo così anche la secolare idea di contaminazione del cibo dovuta alla mera presenza di un intoccabile (si veda su questo blog “Il sistema castale”). La condivisione con i bisognosi del reddito eccedente le esigenze della famiglia costituisce, da allora, uno dei fondamenti della religione Sikh.

Nanak condanna la pura idolatria e le credenze pseudo religiose lontane dalla vera elevazione spirituale (il sikhismo non adora idoli e non ha un clero precostituito ed organizzato) e sancisce la sacralità della vita terrena (lungi da ogni forma di ascetismo ed isolamento dalla vita sociale che non hanno alcuna vocazione produttiva); la vita umana non è un fardello da sopportare in attesa di una vita eterna ma è gioia e privilegio da onorare come mezzo di formazione spirituale. Così la vita morale diventa il solo mezzo di progresso spirituale che si realizzadentro la vita sociale e familiare, attraverso la preghiera e il lavoro praticato sia per il sostentamento familiare che per servire la comunità (il sikhismo professa di guadagnare lavorando onestamente e di condividerne con gli altri il risultato). Viene contestualmente condannata ogni forma di corruzione ed avidità castale (particolarmente quella sacerdotale, secolarmente privilegiata).

NANAK ha professato un messaggio d’ amore per tutti in lingua locale (e non in sanscrito, conosciuto  da pochi), ha scritto inni religiosi,inneggiato alla bellezza della vita e della natura in quanto doni divini.

Al termine dei suoi viaggi missionari, duranti i quali ha studiato ed avvicinato le più diverse religioni diffondendo il suo Sikhismo,  si ritira a Kartarpur, un piccolo villaggio nel Punjab, conducendo la vita di contadino e continuando da lì la sua missione.

Poco prima di morire NANAK nomina il suo successore, ANGAD, suo discepolo. Da allora, per ancora cento anni, ogni guru designato dal precedente avrebbe nominato il suo successore, fino a GURU GOBIND SINGH, il decimo ed ultimo guru che non ravvisò la necessità di un nuovo profeta, deponendo l’incarico di guru immortale al Sacro Libro dei Sikh, il Guru Grant Sahib ( Adi Granth), negli anni alimentato dai messaggi illuminanti dei guru ed oggi composto di 1430 pagine e 5.930 versi di preghiere, per ricordare il Creatore in ogni momento (altro principio fondamentale del Sikhismo).

GURU NANAK muore il 7 settembre 1539 a Kartarpur, nel Punjab indiano.

La vita di Guru Nanak è raccontata nella raccolta Janam Sakhis.

Oggi i Sikh rappresentano il 2% della popolazione indiana, concentrati soprattutto nel Punjab indiano, nel nord – ovest dell’India, ai confini con il Pakistan. Essi professano il loro culto nei Gurudwara (templi dove si entra a piedi nudi e capo coperto), rigorosamente forniti di langar, la mensa aperta a tutti. Il tempio  è aperto anche alle donne ritenute, nella società sikh, al pari dell’uomo. In ogni Gurudwara viene letto ed accudito, avvolto nella seta e tenuto sotto un baldacchino,  il Libro Sacro e cantati i Gurbani, gli inni sacri. Il Gurudwara più importante si trova ad Amritsar dove, nel Golden Temple, milioni di pellegrini venerano il Libro sacro. Dopo l’ardas, la preghiera conclusiva, i fedeli si dividono la karah prasad, un’offerta di cibo a base di semolino dolce, acqua e burro.

Il Sikhismo, monoteista, non nega la credenza nella reincarnazione e degli effetti delle azioni sulle vite successive, cioè il Karma. Lo scopo ambito è di interrompere il ciclo delle nascite allo scopo di una congiunzione con il Creatore, Unico ed Indivisibile.

Testo by PASSOININDIA

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Preghiera

Dammi il supremo coraggio dell’amore.
Questa è la mia preghiera:
coraggio di parlare, di agire, di soffrire,
di lasciare tutte le cose, o di essere lasciato solo.
Temprami con incarichi rischiosi,
onorami con il dolore,
e aiutami ad alzarmi ogni volta che cadrò.Dammi la suprema certezza dell’amore.
Questa è la mia preghiera:
la certezza che appartiene alla vita nella morte,
alla vittoria nella sconfitta,
alla potenza nascosta nella più fragile bellezza,
a quella dignità nel dolore,
che accetta l’offesa,
ma disdegna di ripagarla con l’offesa.
Dammi la forza di amare
sempre e ad ogni costo.
(Rabindranath Tagore)