La memoria perduta. Patan, Nepal.

Il terremoto in Nepal, insieme alla vita delle persone, ha distrutto anche la loro antica storia. Patan, la magnifica città nella parte centro meridionale della valle di Kathmandu, ed una delle principali del Paese, che da tempo sogno di visitare, è stata profondamente segnata nella sua bellezza di citta antichissima, ricchissima di templi indu e buddisti, di palazzi in legno finemente decorati, di ingegnosi serbatoi e condotti di acqua, di bellissime statue e di variegato artigianato.

patan

L’altro nome di Patan, Lalitpur, deriva da quello di un contadino che dall’Assam, in India, trasportò sin lì il dio della pioggia Rato Machhindranath, venerato da induisti e buddisti nepalesi, affinché portasse acqua contro la siccità. A questo Dio è dedicato l’omonimo splendido tempio dove ogni maggio, in occasione del festival del Bunga Dyah, un grande carro trasporta in processione la sua immagine. Gli studiosi non sono concordi riguardo alle origini di Patan; alcuni la le fanno risalire al 299dC ad opera del re Veer Deva, altri le attribuiscono ai governanti Kirat ma quel che è certo è che Patan ha origini che si perdono nel tempo. Ai quattro angoli di Patan si trova uno stupa, in rappresentanza del simbolo buddista del Dharma Chakra;  questi stupa vennero eretti dal grande re Ashoka nel 250 a.C. (vedi articolo su questo blog  https://passoinindia.wordpress.com/2013/02/17/il-governo-buddista-di-ashoka/).

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Nel 1979 ben sette zone della valle di Kathmandu sono state dichiarate Patrimonio Mondiale dell’Umanità e l’area momumentale della Piazza Durbar di Patan è una di queste, tra l’altro fantastica testimonianza della architettura Newa, dal nome dei suoi costruttori, i Newari, popoli indigeni della valle, di etnia indo-ariana e tibeto-birmano che, sin dalla preistoria, hanno fondato le basi della sua storia. Il loro contributo all’arte, alla cultura, alla musica, alla letteratura, al commercio, all’agricoltura, all’industria, alla cucina è visibile in tutta l’Asia centrale.

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Dopo il terremoto Patan non è più la stessa come non lo sarà più la vita dei sopravvissuti a questo evento perché, oltre ai loro affetti, è stata portata via la loro memoria.

Bhaktapur temple  Bhaktapur templ

                                                                             
                                              

testo by PASSOININDIA

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Le immagini di confronto sono state tratte dal sito

http://allday.com/post/3439-nepals-lost-heritage-before-and-after-the-earthquake/

quella di copertina da wikipedia.

Il governo buddista di Ashoka

Re Ashoka (che in sanscrito vuol dire “senza dolore”), il terzo monarca della dinastia indiana Mauryan (268-232 a.c.), nato intorno al 304 a.c., fu un re crudele e spietato che si convertì al buddismo e divenne così un re virtuoso. Il suo regno ha coperto la maggior parte dell’India e della Persia, l’Asia del Sud, il Bengala e Mysore. fino all’attuale Afghanistan. La sua ammirevole politica è testimoniata dagli editti che egli scrisse su rocce e colonne che nel XIX secolo furono trovati in India, Nepal, Pakistan e Afghanistan. Con questi editti Ashoka intendeva trasferire ai posteri i principi del suo governo e quindi, dalle incisioni sulla pietra, è stato possibile conoscere i suoi principi morali che informarono le sue riforme e guidarono la creazione di una società giusta e umana. Dagli studi di questi scritti emerge la figura di un sovrano potente e in grado di stabilire un impero fondato sulla giustizia e sul benessere morale e spirituale dei suoi sudditi. Egli assunse il titolo  di “Devanampiya Piyadassi” che significa “amato dagli dei, colui che guarda con affetto.”La sua conversione a questi principi ebbe origine da  due anni di guerra di successione in cui  fu  ucciso almeno uno dei suoi fratelli. Nel 262 a.c., infatti, otto anni dopo la sua incoronazione, l’esercito di Ashoka attaccò e conquistò Kalinga (territorio corrispondente all’attuale Orissa). L’enorme perdita di vite umane e la grande disperazione che ne derivò, determinò un cambiamento completo nella sua personalità. Così egli cominciò ad applicare i principi buddisti per la gestione del suo vasto impero che diffuse sia in India che all’estero tanto che, si ritiene, furono opera sua i primi  monumenti buddisti (stupa, nonasteri ecc.).

Nei suoi editti Ashoka fa spesso riferimento alle opere buone che ha fatto e dice ai suoi sudditi, che egli considerava come suoi figli, che il loro benessere è la sua principale preoccupazione; Ashoka si scusa per la guerra di Kalinga e rassicura la gente oltre i confini del suo impero di non avere intenti di conquista dei loro territori. Ashoka infatti  rinunciò alla politica estera predatoria che sino ad allora aveva dominato la politica del suo impero, sostituendolo con una politica di coesistenza pacifica. Egli sperava di infondere nei suoi sudditi la sua filosofia religiosa, pur divulgando principi di tolleranza, promozione e protezione, quale dovere di Stato,  verso le altre religioni da cui il suo popolo avrebbe dovuto mutuare i buoni insegnamenti. Egli parla della morale di Stato e della moralità individuale, entrambe ispirate  ai  valori buddisti della compassione, della moderazione, della tolleranza e del rispetto per ogni forma di vita.  Ashoka riformò il sistema giudiziario informandolo a principi di equità, sospendendo l’esecuzione ai condannati a morte e condonando le pene ai prigionieri; abolì la tortura e ogni forma di abuso. Egli, secondo gli insegnamenti del Buddha, bandì lo sperpero della spesa pubblica e utilizzò le risorse statali per utili opere pubbliche, tra cui l’importazione e la coltivazione di erbe mediche, la costruzione di case di riposo ed ospedali, lo scavo di pozzi lungo le strade principali e la coltivazione di frutta e alberi da ombra. Pose termine alle inutili cerimonie di buon auspicio  sancendo che fosse più importante trattare correttamente le persone. Ashoka si avvicinò alla sua gente per comprenderne i bisogni e diede la sua piena disponibilità all’ascolto del popolo, qualunque faccenda lo tenesse occupato in quel momento. Lo Stato aveva la responsabilità non solo di proteggere e promuovere il benessere del suo popolo, ma anche la sua fauna. Vietò così la caccia  di alcune specie di animali selvatici e la crudeltà verso tutti gli animali domestici e selvatici, bandendone il sacrificio nei rituali religiosi ed insegnando il rispetto per ogni forma di vita.

Con la moralità individuale Ashoka promosse il rispetto e la generosità verso i genitori, gli anziani, gli insegnanti, gli amici, i servi, gli asceti e i bramani,  secondo il consiglio dato a Sigala dal Buddha, nonché verso i funzionari e i dipendenti. Per lui, moralità individuale significava anche  cortesia, auto analisi, veridicità, gratitudine, purezza di cuore, entusiasmo, fedeltà, auto-controllo e amore per il Dharma. Promosse  i pellegrinaggi e lui stesso andò sino a Lumbini e Bodh Gaya e inviò i suoi monaci a diffondere il grande messaggio buddista. Non si sa molto delle conseguenze delle sue riforme ma quel che è certo è che egli le sentì doverose in ottemperanza alla filosofia  buddista che aveva pervaso la sua vita e che rappresentò un perenne esempio per tutti i monaci del mondo.

Così si legge in uno dei suoi editti_

Sua Maestà il re santo e grazioso rispetta tutte le confessioni religiose, ma desidera che gli adepti di ciascuna di esse si astengano dal denigrarsi a vicenda. Tutte le confessioni religiose vanno rispettate per una ragione o per l’altra. Chi disprezza l’altrui credo, abbassa il proprio credendo d’esaltarlo”.

E ancora…

In verità, ritengo che il benessere di tutti sia il mio dovere, e la radice di questo dovere sta nello sforzo e nella azione profusi per questo scopo. Non c’è lavoro migliore che promuovere il benessere di tutte le persone e intendo ripagare il debito nei confronti di tutti gli esseri umani per assicurare loro la felicità in questa vita e il raggiungimento del cielo nella prossima. Pertanto, questo editto Dhamma è stato scritto per durare a lungo affinché i miei figli, nipoti e pronipoti possano agire in conformità con esso per il bene del mondo.”.

Ashoka morì nel 232 a.C. nel trentottesimo anno del suo regno.

Ogni colonna riportante gli editti di Ashoka era stata originariamente ricoperto da un capitello, a volte un leone, un toro o un cavallo e quei pochi ancora rimasti  sono capolavori dell’arte indiana.

Una delle colonne di Ashoka più famose è quella di Sarnath dove si trova ancora oggi (Sarnath è a 20 kn da Varanasi, dove il Buddha tenne il suo primo discorso da illuminato). Sulla colonna è scritto “Nessuno deve provocare divisioni nell’ordine dei monaci”. Il capitello, che in origine lo sovrastava, formato da quattro leoni che si danno le spalle, si trova  attualmente  nel Museo di  Sarnath ed è stato adottato come emblema nazionale dell’India; il disegno della ruota a 24 raggi che, sul capitello, simboleggia il Chakra di Ashoka o ruota (o ciclo) della Giustizia (in sanscrito Dhamma o Dharma), dal 22 luglio 1947 è stato posto al centro della bandiera nazionale dell’India.

Gli editti di Ashoka vennero scritti in una lingua vicina al sanscrito  ma un editto in Afghanistan è bilingue (greco ed aramaico).

un sito interessante a proposito:

http://www.cs.colostate.edu/~malaiya/ashoka.html

Un testo intressante: “Gli editti di Ashoka” Ediz. Adelphi.