Re Ashoka (che in sanscrito vuol dire “senza dolore”), il terzo monarca della dinastia indiana Mauryan (268-232 a.c.), nato intorno al 304 a.c., fu un re crudele e spietato che si convertì al buddismo e divenne così un re virtuoso. Il suo regno ha coperto la maggior parte dell’India e della Persia, l’Asia del Sud, il Bengala e Mysore. fino all’attuale Afghanistan. La sua ammirevole politica è testimoniata dagli editti che egli scrisse su rocce e colonne che nel XIX secolo furono trovati in India, Nepal, Pakistan e Afghanistan. Con questi editti Ashoka intendeva trasferire ai posteri i principi del suo governo e quindi, dalle incisioni sulla pietra, è stato possibile conoscere i suoi principi morali che informarono le sue riforme e guidarono la creazione di una società giusta e umana. Dagli studi di questi scritti emerge la figura di un sovrano potente e in grado di stabilire un impero fondato sulla giustizia e sul benessere morale e spirituale dei suoi sudditi. Egli assunse il titolo di “Devanampiya Piyadassi” che significa “amato dagli dei, colui che guarda con affetto.”La sua conversione a questi principi ebbe origine da due anni di guerra di successione in cui fu ucciso almeno uno dei suoi fratelli. Nel 262 a.c., infatti, otto anni dopo la sua incoronazione, l’esercito di Ashoka attaccò e conquistò Kalinga (territorio corrispondente all’attuale Orissa). L’enorme perdita di vite umane e la grande disperazione che ne derivò, determinò un cambiamento completo nella sua personalità. Così egli cominciò ad applicare i principi buddisti per la gestione del suo vasto impero che diffuse sia in India che all’estero tanto che, si ritiene, furono opera sua i primi monumenti buddisti (stupa, nonasteri ecc.).
Nei suoi editti Ashoka fa spesso riferimento alle opere buone che ha fatto e dice ai suoi sudditi, che egli considerava come suoi figli, che il loro benessere è la sua principale preoccupazione; Ashoka si scusa per la guerra di Kalinga e rassicura la gente oltre i confini del suo impero di non avere intenti di conquista dei loro territori. Ashoka infatti rinunciò alla politica estera predatoria che sino ad allora aveva dominato la politica del suo impero, sostituendolo con una politica di coesistenza pacifica. Egli sperava di infondere nei suoi sudditi la sua filosofia religiosa, pur divulgando principi di tolleranza, promozione e protezione, quale dovere di Stato, verso le altre religioni da cui il suo popolo avrebbe dovuto mutuare i buoni insegnamenti. Egli parla della morale di Stato e della moralità individuale, entrambe ispirate ai valori buddisti della compassione, della moderazione, della tolleranza e del rispetto per ogni forma di vita. Ashoka riformò il sistema giudiziario informandolo a principi di equità, sospendendo l’esecuzione ai condannati a morte e condonando le pene ai prigionieri; abolì la tortura e ogni forma di abuso. Egli, secondo gli insegnamenti del Buddha, bandì lo sperpero della spesa pubblica e utilizzò le risorse statali per utili opere pubbliche, tra cui l’importazione e la coltivazione di erbe mediche, la costruzione di case di riposo ed ospedali, lo scavo di pozzi lungo le strade principali e la coltivazione di frutta e alberi da ombra. Pose termine alle inutili cerimonie di buon auspicio sancendo che fosse più importante trattare correttamente le persone. Ashoka si avvicinò alla sua gente per comprenderne i bisogni e diede la sua piena disponibilità all’ascolto del popolo, qualunque faccenda lo tenesse occupato in quel momento. Lo Stato aveva la responsabilità non solo di proteggere e promuovere il benessere del suo popolo, ma anche la sua fauna. Vietò così la caccia di alcune specie di animali selvatici e la crudeltà verso tutti gli animali domestici e selvatici, bandendone il sacrificio nei rituali religiosi ed insegnando il rispetto per ogni forma di vita.
Con la moralità individuale Ashoka promosse il rispetto e la generosità verso i genitori, gli anziani, gli insegnanti, gli amici, i servi, gli asceti e i bramani, secondo il consiglio dato a Sigala dal Buddha, nonché verso i funzionari e i dipendenti. Per lui, moralità individuale significava anche cortesia, auto analisi, veridicità, gratitudine, purezza di cuore, entusiasmo, fedeltà, auto-controllo e amore per il Dharma. Promosse i pellegrinaggi e lui stesso andò sino a Lumbini e Bodh Gaya e inviò i suoi monaci a diffondere il grande messaggio buddista. Non si sa molto delle conseguenze delle sue riforme ma quel che è certo è che egli le sentì doverose in ottemperanza alla filosofia buddista che aveva pervaso la sua vita e che rappresentò un perenne esempio per tutti i monaci del mondo.
Così si legge in uno dei suoi editti_
“Sua Maestà il re santo e grazioso rispetta tutte le confessioni religiose, ma desidera che gli adepti di ciascuna di esse si astengano dal denigrarsi a vicenda. Tutte le confessioni religiose vanno rispettate per una ragione o per l’altra. Chi disprezza l’altrui credo, abbassa il proprio credendo d’esaltarlo”.
E ancora…
“In verità, ritengo che il benessere di tutti sia il mio dovere, e la radice di questo dovere sta nello sforzo e nella azione profusi per questo scopo. Non c’è lavoro migliore che promuovere il benessere di tutte le persone e intendo ripagare il debito nei confronti di tutti gli esseri umani per assicurare loro la felicità in questa vita e il raggiungimento del cielo nella prossima. Pertanto, questo editto Dhamma è stato scritto per durare a lungo affinché i miei figli, nipoti e pronipoti possano agire in conformità con esso per il bene del mondo.”.
Ashoka morì nel 232 a.C. nel trentottesimo anno del suo regno.
Ogni colonna riportante gli editti di Ashoka era stata originariamente ricoperto da un capitello, a volte un leone, un toro o un cavallo e quei pochi ancora rimasti sono capolavori dell’arte indiana.
Una delle colonne di Ashoka più famose è quella di Sarnath dove si trova ancora oggi (Sarnath è a 20 kn da Varanasi, dove il Buddha tenne il suo primo discorso da illuminato). Sulla colonna è scritto “Nessuno deve provocare divisioni nell’ordine dei monaci”. Il capitello, che in origine lo sovrastava, formato da quattro leoni che si danno le spalle, si trova attualmente nel Museo di Sarnath ed è stato adottato come emblema nazionale dell’India; il disegno della ruota a 24 raggi che, sul capitello, simboleggia il Chakra di Ashoka o ruota (o ciclo) della Giustizia (in sanscrito Dhamma o Dharma), dal 22 luglio 1947 è stato posto al centro della bandiera nazionale dell’India.
Gli editti di Ashoka vennero scritti in una lingua vicina al sanscrito ma un editto in Afghanistan è bilingue (greco ed aramaico).
un sito interessante a proposito:
http://www.cs.colostate.edu/~malaiya/ashoka.html
Un testo intressante: “Gli editti di Ashoka” Ediz. Adelphi.