Humayun, secondo imperatore moghul

E, dopo Babur, discendente di Tamerlano, quel condottiero turco mongolo che arrivò in India nel 1398, salì al trono suo figlio Humayun che regnò dal 1540 al 1556. Questo re moghul era tuttavia più interessato all’oppio e all’astrologia che al suo grande regno nelle mire dei suoi fratelli minori e dei generali afghani che avevano appoggiato il padre in battaglia. Tra questi ultimi, il più potente era Sher Khan Suri che conquistò il Bihar, il Bengala e poi Delhi. Nel 1540 Humayun fu infatti sconfitto a Kanauj, in quella terra che oggi è l’Uttar Pradesh e fu costretto a chiedere rifugio al fratello che governava in Afghanistan, su quel territorio che proprio lui gli aveva assegnato. La tradizione turco mongola prevedeva infatti che, alla morte del padre, il primogenito assegnasse possedimenti ai fratelli minori. Fu una vana richiesta, quella di Humayun, che dovette ripiegare in Persia, ad Herat, presso lo Shah Tahmap, di una dinastia safanide che impose lo sciismo come religione di Stato cui aderì anche Humayun stesso.
Delhi restò per ben 5 anni nelle mani di Sher Shah Suri che vi apportò diverse riforme
amministrative e tributarie che lo fanno ricordare come il più efficiente dei sultani afghani. Quando Humayun tornò in India nel 1555, a capo di un esercito di persiani, riconquistò il Punjab, Agra e il trono di Delhi che era in mano ai poco accorti eredi di Sher Shah Suri morto un anno prima in battaglia. Un anno dopo Humayun, forse in preda agli effetti dell’oppio, morì cadendo sulle scale di pietra del suo osservatorio astronomico. Arrivò quindi il tempo di Akbar, nipote di Babur, che, di tutt’altra pasta, salì al trono a 13 anni. Il suo nome, ben meritato, significa “grande”.
La salma di Humayun si trova ancora oggi nel mausoleo fatto costruire per lui a Delhi da sua moglie Hamida Banu Begum nel 1562, capolavoro intatto dell’arte islamica.

continua…

Testo by PassoinIndia

 

Babur, primo moghul in India

All’inizio del XVI° secolo, l’India era frammentata in vari domini. Il governatore di Lahore, Daulat Khan, chiese a Babur di togliergli dai piedi Ibrahim (1517-1526), l’ultimo Lodi, sultano di Delhi. I lodi erano un clan di afghani elevatisi al rango di nobili grazie al denaro guadagnato con l’allevamento dei cavalli; avevano ottenuto dai loro predecessori sul trono di Delhi il potere sul Punjab. Babur non vide l’ora, avendo da sempre sognato di mettere le mani su quella terra che all’ora si chiamava Hindustan. Lo chamavano “la tigre”, era di origine turco-mongola, discendente di Tamerlano da parte di padre e di Gengis Khan da parte di madre, a capo di un piccolo regno centro asiatico che invase l’Afghanistan. Ora era pronto anche per l’India. Il suo esercito di diecimila uomini turchi e afghani e cannoni a miccia, una volta in India, combatterono a Panipat per mezza giornata contro i cento uomini e i diecimila elefanti di Ibrahim che, alla fine, fuggì sconfitto. E’ così che, il 21 aprile del 1526, cominciò il potere dei Moghul in India. Babur depredò Delhi di tutti i suoi tesori e divise il bottino con i suoi guerrieri che, poco dopo, costeggiando la Yamuna, giusero fino ad Agra che sarebbe diventata in futuro capitale dell’impero Moghul. Ad Agra, Babur dovette presto affrontare Mahmud, fratello di Ibrahim, sopravvissuto allo scontro di Panipat, che aveva organizzato un grande esercito nel Bengala, appoggiato dalla confederazione Rajput fedele al sovrana Rana Sanga (1509-1528). Era il marzo del 1527. Questo esercito era molto più numeroso di quello di Babur che, accerchiato, cercò di sostenere i suoi uomini distribuendo loro i pezzi delle coppe d’oro destinate al vino e fece voto di non bere mai più. Nel frattempo, la confederazione si stava sgretolando a causa di rivalità di casta all’interno dell’esercito e perse così qualche alleato ma anche la guerra contro Babur. Due anni dopo, Babur conquistò anche il potere sulla regione oggi chiamata Uttar Pradesh, assicurandosi in pratica il dominio su tutta l’India settentrionale.

Babur morì a Delhi nel 1530. Gli successe il figlio, Humayun (regnò dal 1530 al 1540), che aprì le porte alla cultura persiana, il secondo di una grande dinastia, quella Moghul, tra cui si ricordano Akbar (1556-1605), promotore del dialogo tra religioni, Jahangir (1605-1627), mecenate dell’arte, Shah Jahan (1627-1658), comittente del celebre Taj Mahal, Aurangzeb (1658-1707),  intollerante e crudele.

 continua….

Testo PassoinIndia

Il Qutub Minar di Delhi

Il Qutub Minar di Delhi è patrimonio mondiale dell’Unesco. L’alto minareto fu fatto costruire nel 1199, in circa 20 anni, da Qutab-ud-din Aibak, fondatore del sultanato di Delhi, per celebrare l’avvento della dominazione musulmana a Delhi e la vittoria del sultano sui governatori Rajput, venne completato nel 1396 d.c. dal suo successore Iltutmish.  L’altissima torre conica è un esempio straordinario di arte Moghul indo-islamica dell’architettura afghana. Copre un’ altezza di circa 72.5 metri e raggiunge 379 scalini. Ha cinque diversi piani ognuno segnato da un balcone sporgente che ne demarca il limite e si restringe da un diametro di 15 metri alla base fino ad arrivare ad un diametro di 2.5 metri alla sommità. I primi tre livelli sono realizzati in arenaria rossa mentre il quarto e il quinto sono rispettivamente di marmo e arenaria. A fianco del minareto si trova la moschea Quwwar-ul-islam, una tra le prime ad essere realizzata in India. Un’iscrizione provocatoria sull’entrata orientale avverte i visitatori che fu fatta costruire con il materiale ottenuto dalla demolizione di 27 templi hindu. Una colonna di ferro alta 7 metri si erge nella corte della moschea, fu fatta costruire durante la dominazione della dinastia Gupta in memoria di Chandragupta II. All’estrema sommità della colonna appare l’immagine del Dio Hindu Garuda. Un fatto eccezionale è che la colonna, di quasi 1600 anni, seppure rivestita per il 98% di ferro, non ha un accenno di ruggine.  Si dice che circumnavigare la colonna con le spalle rivolte contro di essa, faccia avverare i desideri espressi.

Le origini del Qutub Minar sono coperte di mistero, alcuni credono sia simbolo della vittoria dei musulmani e dell’inizio della loro dominazione in India, altri ritengono che servisse per richiamare I fedeli alla preghiera, altri che venisse usata come torre di avvistamento.

Nonostante fu colpito da un fulmine e danneggiato, poi riparato in seguito, questo monumento ha superato in maniera straodinaria I segni del tempo. È inoltre circondato da un verde giardino che lo rende il luogo adatto per passare piacevoli pomeriggi all’ombra dei suoi alberi e allo stesso tempo per godere dell’abilità artistica e della memoria storica di cui è un grande esempio.

Ognuno dei piani del minareto ha una decorazione differente: alla base il primo piano presenta dei solchi angolari e circolari, il secondo è circolare, il terzo ha solchi angolari, mentre i balconi ne accrescono notevolmente la bellezza. I versi che decorano la colonna, incisi sull’arenaria sono ripresi dal libro sacro del Corano. Ci sono rivendicazioni sull’evidenza che il Qutub Minar fu costruito molto prima da imperatori Hindu e che in seguito Kuttubuddin abbia sostituito le scritte sulla pietra. Le pietre hanno divinità hindu da una parte e dall’altra riportano iscrizioni coraniche.

Alcune pietre che sono state  rimosse dal minareto e che hanno divinità hindu da una parte e dall’altra scritte coraniche, sono oggi conservate al museo, questo a testimonianza che gli invasori erano soliti rimuovere le pietre dedicate alle divinità hindu, capovolgerle sotto sopra e nascondere le immagini per aggiungere al loro posto scritte  sacre sulla parte frontale.

Molte sono state nel corso degli anni le scosse e I colpi subiti da fenomeni geotemporali, nonostante tutto però si è sempre pensato ad apportare riparazioni affinchè questa straordinaria opera d’arte mantenesse intatto il suo slendore.

La Jama Masjid a Delhi.

Vagando nella zona di Chandni Chowk, uno dei bazaar della vecchia Delhi, ebbra di profumi speziati e di quotidianità, la Jama Masijd mi appare all’improvviso, imponente in tutta la sua santità islamica. A volerla, tra il 1644 e il 1656 fu Shah Jahan (1628-1658), l’imperatore moghul che anche dobbiamo ringraziare per il magnifico Taj Mahal di Agra. Durante il suo regno, infatti, la capitale di quell’impero che già dominava l’India settentrionale da più di cento anni, fu trasferita da Agra a Delhi, nuovo centro del potere musulmano, che lo rimase dal 1649 al 1857. Qui Shah Jahan, a nord dell’antico insediamento, costruì, tra il 1638 e il 1649, una nuova città murata chiamata Shahjahanabad (la città di Shah Jahan), che divenne una delle 12 province dell’impero e che oggi è conosciuta come “Old Delhi”. Delhi, con tutti gli onori di nuova capitale, fu abbellita da palazzi reali e nobiliari, giardini, piazze ed altri edifici all’insegna del buon gusto moghul del sovrano, come la bella moschea e il Forte Rosso che, come il Taj Mahal di Agra, si stende sul fiume Yamuna e che da qui ben si ammira.

La splendida moschea accoglie il devoto con l’abbraccio della sua lunga scalinata in arenaria rossa che conduce ad uno dei tre grandi portali d’accesso. Prima di percorrerla e di lasciare fuori le mie scarpe impure, osservo con stupore le tre cupole a bulbo, le quattro torri agli angoli alte 40 metri e i due minareti in arenaria rossa e marmo sormontate da chaatris (baldacchini).

Entrando, dalla porta nord, nel grande cortile lastricato di 408 metri quadrati, abbagliata non solo dal sole che picchia, comprendo perché questa è la moschea più grande di tutta l’Asia, che ha richiesto il lavoro di 5000 persone ed un milione di rupie.

In questo piazzale, che ospita al centro una vasca per le purificazioni con l’acqua, si accende, ogni venerdì, il fervore religioso di ben 25000 devoti per la “Jumu’a”, la “preghiera del venerdì” (da cui il nome “jama” – moschea del venerdi), quella preghiera comunitaria che i musulmani fanno dopo mezzogiorno quando il richiamo cantalenante del muezzin sul minareto li invita ad ascoltare la liturgia ed il sermone dell’imam, la loro guida spirituale.

L’imam della Jama Masjid, a cui viene dato il titolo onorifico di Shahi Imam, è da sempre considerato figura islamica di enorme rilievo. Egli, come tutti i suoi predecessori, discende infatti dal primo imam che fu designato dall’imperatore Shah Jahan in virtù della sua divina autorità.

In una “Old Delhi” che pare ferma nel tempo, la Jama Masjid, oggi come allora, è ancora lì nella sua maestà religiosa, traccia intatta dei uno dei più grandi imperatori dell’immenso regno, quello moghul che iniziò nel 1526 il dominio dell’ India sostenendolo fino al 1857 quando dovette, suo malgrado, lasciarlo agli inglesi.

racconto di viaggio tratto dal sito

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Chandni Chowk, il grande mercato di Delhi.

Quando vado a Chandni Chowk con i turisti, che accompagno per lavoro (sono una guida indiana), mi diverte il loro stupore.

IMG-20150904-WA0005La zona ospita uno dei mercati più antichi, tra i più importanti dell’India, nel cuore della vecchia Delhi che viene chiamato anche Shahjahanabad. Fu infatti il grande imperatore dell’India Shah Jahan (che ideò il bellissimo Taj Mahal di Agra) a farlo realizzare per desiderio e su progetto della figlia Jahan Ara, nell’era dei Moghul, 17° secolo; il nome Chandni Chowk significa “piazza al chiaro di luna”, perché quel luogo era un tempo diviso da un canale per la fornitura dell’acqua che rifletteva appunto la luna.

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Ciò che appaga chiunque visiti questo posto è la sua capacità di portare indietro in quel passato tempo ormai rimpiazzato troppo spesso dai magazzini della grande distribuzione.

Chandni Chowk è un dedalo di strade strette e affollate con negozi e bancarelle che vendono davvero di tutto, dai libri all’abbigliamento, dalle calzature ai prodotti elettronici, dall’oro all’argento, dal pellame ai gioielli, dagli arazzi agli oggetti di antiquariato, ai vestiti per le nozze… e tutto quant’altro vi possa venire in mente, persino animali come pecore, capre, galline vive che poi…

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Ci sono anche barbieri e pulitori d’orecchi.

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Il colpo d’occhio, che cade anche sulle variopinte piramidi di spezie di ogni genere, quello che esalta i turisti, è un congestionato scenario pieno dei colori delle sete svolazzanti che fanno da anticamera a piccoli e grandi negozi dove i commessi, prevalentemente uomini, dispiegano, con una capacità da sbandieratori provetti, metrature di setose e scintillanti stoffe, e le donne, seriamente immerse nell’affare, scelgono la più congeniale per il loro prossimo abito.

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E’ davvero tanta la gente a Chandni Chowk, di tutti i tipi e sfumature e i turbanti pastello sembrano camminare da soli in mezzo a tutta quella folla. I miei clienti si divertono sui richshaw (un carro trainato da un uomo a piedi o in bicicletta), facendo centinaia di foto alle scene del commercio quotidiano mentre io devo badare che non si perdano! Anche l’olfatto ha il suo da fare, perché il profumo è quello della autentica cucina indiana, con le sue prelibatezze e i suoi dolci.

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E’ l’odore invitante del cibo di strada, dei tanti tipi di pane che, per forma e ingredienti, hanno nomi diversi come il chapati, il roti, il naan, solo per citare i più popolari; è l’odore delle parathas (una sorta di focaccia tonda) fritte con puro ghee in pentole di ghisa, servite con chutney (salse) di gusti vari come menta, banana, tamarindo e con verdure sottaceto oppure ripiene di patate, cavolfiore, piselli, lenticchie, carote, fieno greco, ravanello oppure farcite con paneer (formaggio fresco), menta, limone, peperoncino, frutta secca, anacardi, uvetta, mandorle, karela (chiamato anche melone amaro ma con l’aspetto di un cetriolo).

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E’ l’odore delle papad (cialde croccanti molto saporite), del rabdi (un dolce fatto con yoghurt e farina), del khurchan (una zuppa a base di paneer, pomodoro e spezie), dei jalebis fritti in puro ghee, del pao bhaji cucinato con verdure, patate e coriandolo (simile al nostro prezzemolo ma di gusto diverso). 

I venditori di dolci (halwais), quelli di salatini, (namkeenwallahs) e di pane (paranthewallahs) sorridono allo straniero invitandolo all’assaggio delle kachoris, polpette fritte ripiene di patate e piselli, dei gobhi-matar, fatti con cavolo e piselli, delle samosa, inconfondibili per la loro forma triangolare, fritte e ripiene di carne o verdure, delle matar paneer tikki, a base di spezie e verdure.

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E’ il sapore dei chaats, un mix di snack piccanti, speziati e salati come il gol gappe, il dahi vada, il dahi bhallaun, un gnocco fritto con cagliata, cioccolato nero, chutney di tamarindo e semi di melograno, oppure fatti con la frutta.

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E’ il sapore delle kachori, di solito ripiene di legumi e servite con patate al curry e delle aloo tikki ripiene di patate e piselli. Il tutto gustato con il chai, il tipico thè indiano con latte e spezie.

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Una vera esplosione di sapori. Tutta la vecchia Delhi è famosa per la sua prelibatissima cucina.

Alcuni tra i ristoranti più frequentati si trovano proprio qui. Persino il gelato si può trovare nella vecchia Delhi; il rabdi faluda, che va servito freddo, è molto simile quando arricchito con crema di vaniglia; il kulfi è un dessert gelato al latte di vari gusti tra cui rosa, mango, melograno, litchi.

Sul versante musulmano, di fronte alla moschea Masjid, l’aroma del cibo di strada aleggia nell’Urdu Bazaar che significa “mercato dell’accampamento imperiale” e la lingua urdu (lingua nazionale del Pakistan e lingua ufficiale dell’amministrazione indiana insieme con hindi e inglese) significa proprio accampamento. E’ l’odore del pesce, degli spiedini aromatici e del pollo fritto. Qui si vendono sopratutto kebab, stufati di montone e tikkas (con carne di bufalo) avvolti in rumali roti (sottile carta di pane).

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Chandni Chowk è anche un meltin pot religioso; persone di tutte le religioni lo frequentano o lo attraversano, anche per ragioni di fede. I gaininsti si dirigono verso il tempio Jain Digamber, il più antico tempio Jain nella capitale, originariamente costruito nel 1656, alla foce di Chandni Chowk, proprio di fronte al Forte Rosso. Gli induisti raggiungono il vicino tempio di Gauri Shanker da 800 anni dedicato al culto di Shiva. A pochi passi si trova la chiesa Battista centrale istituita nel 1814 e il Gurudwara Sikh Sis Ganj Sahib, costruito nel 1783, in onore del nono Guru Sikh Teg Bahadur e di alcuni suoi seguaci giustiziati dai Moghul in quel luogo nel 1675 d.C. 

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Ma è il Red Fort (o Lal Qila di Delhi ) che si fa notare, proprio davanti al Chandni Chowk, costruito in nove anni da Shah Jahan come palazzo ufficiale dei Moghul. Di fronte ad esso, la splendida Jama Masjid, l’ altro edificio che Shah Jahan costruì in 6 anni, una delle più grandi moschee di Delhi.

Questa è Chandni Chowk, con anche i suoi palazzi a volte fatiscenti, con gli intrecci penzolanti dei fili della luce, con i sadhu, i poveri  e i mendicanti ma un vero spaccato di India autentica. Lascio i turisti soddisfatti con, negli occhi, i colori di Chandni Chowk.

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Testo e photo by PASSOININDIA

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Razia, la prima e ultima sultana di Delhi.

Sembra un romanzo, la storia di Razia, che l’Oriente ricorda come la sola donna musulmana che governò l’India. Razia apparteneva alla dinastia turca dei Mamelucchi che governarono su gran parte del Paese dal 1210 al 1526, conquistato qualche anno prima in una storica battaglia tra eserciti. Per la prima volta gli hindu erano diventati sudditi di genti straniere di fede diversa. In un’epoca in cui le donne musulmane vivevano velate e appartate nell’harem, Razia vestiva come un uomo e, a viso scoperto, cavalcava gli elefanti a capo del suo esercito. Le sue doti di donna saggia, coraggiosa e ottima amministratrice, oltre che bella, avevano condotto suo padre ltumish, che pur aveva altri due figli maschi, a sceglierla come suo successore. Anche la storia di Itumish è particolare perché, presumibilmente di origini nobili turche, era stato catturato, ridotto in schiavitù ed acquistato per la corte del sultano musulmano Maometto Ghùrì Sam che, proprio per le sue capacità, lo nominò suo assistente personale. Cominciò così la sua ascesa che lo portò a diventare un eccezionale statista e a fondare il sultanato di Delhi che, all’epoca, comprendeva gran parte del nord India e dell’attuale Pakistan. Durante il suo governo, dal 1211 al 1236, Itumish salvò l’India dall’attacco dei Mongoli; infatti, quando Gengis Khan scese sull’ Asia centrale nel 1219, Itumish riuscì a non farlo entrare in India salvando Delhi e Lahore dalle sue devastazioni. Itumish trasferì alla figlia Razia le sue capacità, educandola a dovere fino a farla diventare abile arciere e ottimo cavaliere che l’avrebbe spesso accompagnato nelle sue spedizioni militari. Itumish si rese conto delle capacità della figlia quando, occupato con l’assedio del forte di Gwalior, le affidò il sultanato di Delhi che lei, malgrado la diffidenza dei nobili, governò brillantemente e fu apprezzata dal popolo. I figli di Itumish non sarebbero stati all’altezza del compito. Iltumish disse: “I miei due figli si sono arresi al vino, donne, gioco d’azzardo e il culto di adulazione. Il governo è troppo pesante per le spalle da sopportare. Razia, anche se una donna, ha la testa e il cuore di un uomo ed è meglio di tali figli”. Quando Itumish morì, uno dei suoi figli, Rukn-ud-din Firuz occupò prepotentemente il trono governando Delhi per circa sette mesi ma, nel 1236, Razia, con il sostegno della gente di Delhi, sconfisse il fratello che venne assassinato insieme alla madre dopo che ella, all’assemblea della preghiera del Venerdì, raccontò degli eccessi del suo fratellastro e della sua dissolutezza.

Così Razia, all’età di 31 anni, pur malvista dalla nobiltà del tempo, ascese al trono di Delhi che governò dal 1236 al 1240. Tuttavia, la sua autorità non era legittima fino a quando il califfo di Baghdad avrebbe accettato la sua investitura. Anche se aveva perso tutti i suoi domini in Asia a causa dei mongoli, il califfo era infatti rimasto il capo spirituale e titolare dell’islam sunnita e portava il titolo di “emiro ul Momineen” (il capo dei credenti). Solo lui poteva dare legittimità ad un sultano. Razia, sunnita, dichiarò la sua fedeltà al califfo che la riconobbe come la “Malika” di Delhi (1237), garantendosi anche un baluardo sunnita ad est di vasti territori ora controllati dai Mongoli che si stavano avvicinando a Baghdad.

Razia, durante i suoi quattro anni di regno, fece coniare monete d’argento con il titolo ufficiale di “Jalaluddin” (gloria della fede) e si riferì a se stessa come “lmadatun Niwan”, la grande donna. La sultana dotò il suo impero di leggi, migliorò le infrastrutture del paese, favorì il commercio, la costruzione di strade, e lo scavo di pozzi. Fondò scuole, accademie, centri di ricerca, e biblioteche pubbliche dove era possibile leggere le opere degli antichi filosofi oltre che il Corano e le tradizioni di Muhammad. Volle che arti, scienze, filosofia, astronomia, letteratura indù fossero studiati nelle scuole e nelle università. Sostenne artisti, poeti, pittori e musicisti. Razia aveva capito infatti che il sultanato lungi dall’essere visto dal popolo indiano come una ingerenza straniera, dovesse essere sostenuto appieno dalla gente. Fece tradurre in arabo i testi in sanscrito e promosse dibattiti tra religioni diverse, così come avrebbe fatto anni dopo il grande sovrano moghul Akbar (1542-1605) che si impegnò per far convivere le religioni maggioritarie del regno, come l’induismo e l’islam.

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Ma il destino di Razia cambiò quand’ella si innamorò del custode delle reali scuderie, Jamal-ud-Din Yaqut, uno schiavo etiope Siddi, suo confidente; questo amore, vissuto in sordina non era un segreto nella corte di Delhi. Per alcuni storici le voci su questo amore proibito furono invece messe in giro dalla nobiltà per screditare Razia. Fatto sta che Malik Ikhtiar-ud-Din Altunia, governatore di Bhatinda, ed amico di infanzia di Razia, contrario a tale rapporto, forse innamorato a sua volta, fece assassinare l’uomo, imprigionò Razia e la costrinse a sposarlo. Altunia aveva potuto contare sull’appoggio dei Kadis (nobili) turchi che accusavano Razia di aver violato le regole della Sharia, la legge dell’Islam. Così Razia marciò insieme al marito per riconquistare la città di Delhi, l’eredità di suo padre. In una società patriarcale la donna accettò il ruolo di moglie, per continuare a governare all’ombra del marito non politicamente abile. Della situazione frammentata e instabile del regno approfittò il fratello minore di Razia, Muizuddin Bahram Shah, che, nel 1240, al comando di un gruppo di uomini armati, usurpò la corona, uccidendo la coppia nel mese di ottobre dello stesso anno. Qualche storico racconta che furono giustiziati il giorno successivo, qualcun altro che morirono in battaglia, altri ancora che Razia fuggì e fu uccisa da una banda di briganti o si rifugiò nella capanna di un contadino che non la riconobbe e la uccise nel sonno per poi essere catturato mentre vendeva il prezioso oro rubatole. Altra leggenda racconta che invece quest’ultimo pianse quando si accorse dell’anello imperiale e la riconobbe. Non si conosce dove sia sepolta la sultana. Una fonte racconta che si trovi nella vecchia Delhi, vicino al marito, nel luogo raffigurato dalla foto che non porta alcun epitaffio o iscrizione. Il luogo della sepoltura rimane controverso. Ibn Batuta uno dei più grandi viaggiatori del mondo, che ha vissuto in India (1335-1340) un centinaio di anni dopo Razia e che nei suoi scritti ha raccontato la sua storia, disse che la sua tomba era diventata luogo di pellegrinaggio. Sulla sua tomba era infatti stato eretto un gran bel mausoleo.

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Certo è che le donne, nel corso dei secoli, avrebbero invocato il nome di Razia in difesa dei loro diritti. Razia, la regina che aveva rifiutato il titolo di Sultana e pretendeva di essere chiamata Sultan. Nella cultura indiana, filmografia e letteratura incluse, ci sono leggende che raccontano di lei, la prima ed ultima sovrana donna islamica del grande sultanato di Delhi.

By PASSOININDIA

Seconda foto: tratta dal film per la tv indiana “Razia Sultan”

Terza foto: possibile tomba di Razia a Delhi

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La storia della regina Padmini di Chittor

Rani Padmani

Chittoarh Fort è la più grande fortezza in India ed è patrimonio dell’UNESCO. Il forte si trova a Chittor, antica capitale del Mewar, una regione del Rajastan. Questa fortezza ha visto il susseguirsi di una serie di dinastie che nel tempo dominarono la zona, fino a quando fu definitivamente abbandonato nel 1568. Si estende maestosamente su una collina  ed è costituito da palazzi storici, porte, templi e torri.

Ma c’è una storia che voglio raccontarvi su questo bel forte che ha come protagonista Padmini, che morì nel 1303 d.C., ed  era la Regina di Chittor e moglie del re rajput Rawal Ratan Singh nonché figlia di un re del tempo.  Suo padre organizzò la swayambar, una pratica di scelta del marito per Padmini tra un lista di pretendenti, usanza allora praticata; egli quindi invitò tutti i re e i Rajput indù per chiedere la sua mano. Il  Re Rawal Ratan Singh di Chittor, che già aveva una moglie, la regina Nagmati, si propose e riuscì a sposare Padmini, portandosi così via la ragazza a Chittor.

Siamo nel 12 ° secolo ed Delhi, oltre che gran parte dell’India era dominato dal Sultano, musulmano, Alauddin Khilji, che  stava crescendo in potenza. Egli venne a sapere della bellissima donna di Chittor. La lussuria di Alauddin lo portò quindi a partire con il suo esercito per marciare verso Chittor e prendere per il suo harem quella donna tanto bella. Ma il forte di Chittor era difeso. Nel disperato tentativo di posare lo sguardo sulla leggendaria bellezza di Padmini, mandò a dire al re Ratan Singh che egli considerava Padmini sua sorella e voleva incontrarla. Sentendo questo, il disperato Ratan Singh vide la possibilità di sfuggire alla furia dell’imperatore e conservare il suo regno. Perciò accettò di mostrare sua moglie all’imperatore, anche se un atto di questo tipo era altamente vergognoso e disonorevole. Rani Padmini, persuasa da suo marito, acconsentì a permettere ad Alauddin di vedere il suo riflesso nello specchio. Vedendo l’immagine di Padmini, Alauddin Khilji decise di avere Padmini solo per se stesso. Mentre tornava al suo campo, Alauddin venne accompagnato dal re Ratan Singh ma Alauddin Khilji approfittò per arrestarlo. I generali di Rathan Singh decisero di battere il Sultano al suo stesso gioco e gli dissero che gli avrebbero consegnato Padmini la mattina seguente. Il giorno dopo, alle prime luci dell’alba, centocinquanta palanchini (una seduta rivestita in stoffa pregiata protetta da tende sulla quale le signore reali si sedevano e venivano trasportate sulle spalle di quattro persone) lasciarono il forte e giunsero davanti alla tenda dove re Ratan Singh era tenuto prigioniero. Vedendo quei palanchini il re fu mortificato, ma con sua grande sorpresa dalle portantine uscirono i suoi soldati armati di tutto punto che rapidamente liberarono Ratan Singh che galoppò via verso Chittor sui cavalli presi dalle scuderie di Alauddin. Sentendo che i suoi progetti erano venuti meno, il sultano si infuriò e ordinò al suo esercito di prendere d’assalto Chittor. Alauddin attaccò il forte strenuamente protetto. L’assedio durò un anno. Poi, la resistenza scemò e Re Ratan Singh decise di aprire le porte per combattere fino alla morte con le truppe assedianti. Padmini ascoltò questa decisione, e poichè sapeva che la lotta sarebbe stata impari di fronte alla potenza militare del Sultano Alauddin a cui certamente avrebbero dovuto soccombere, riferì alle donne del forte. Esse decisero allora di suicidarsi  eseguendo la Jauhar. Così venne accesa un’ enorme pira e tutte le donne di Chittor saltarono dentro le sue fiamme dopo la loro regina,  privando quindi il nemico della loro disonorevole conquista. Morte le loro donne, gli uomini di Chittor non ebbero più alcuna ragione per cui vivere e decisero di morire combattendo. Ogni soldato si vestì con abiti Kesari e turbanti. Essi lottarono strenuamente con i soldati del sultano fino a quando tutti loro perirono. Le truppe del sultano entrarono  nella fortezza ma trovarono solo cenere e ossa bruciate.

Quelle donne sono ricordate ancora oggi attraverso canzoni e scritti che glorificano il loro atto.

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India, IL MONDO DELLE TIGRI (Parchi Nazionali indiani, tutti visitabili, a due passi dalle classiche mete turistiche)

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RANTHAMBORE NATIONAL PARK

Nel Nord India, al confine orientale del Rajasthan, tra il deserto del Thar e gli Aravalli, é uno dei parchi che più attirano turisti. Un tempo riserva delle battute di caccia dei sovrani, dal 1972 è stato dichiarato parco nazionale sotto la protezione del Project Tiger, perché nella riserva vivono allo stato brado una trentina di tigri indiane oltre ad altre specie animali (antilopi azzurre, leopardi, iene, cervi, orsi, leopardi, gatti della jungla, una varietà di uccelli e così via). La fortuna del Parco è anche dovuta alla sua posizione prossima al Triangolo d’Oro come viene chiamato l’itinerario che comprende Delhi, Agra e Jaipur (da cui dista 150 Km.). Il parco nazionale, disseminato di Banyan, i grandi alberi indiani dalla grande ombra, è circondato da due fiumi, il Banas e il Chambal ed è bagnato da lago Talao Padam. Un altro ospite di Rathambore è il Forte del X secolo, su una roccia all’ingresso del Parco, costruito nel 944 che accoglie all’interno vari templi tra cui quello dedicato a Ganesh, tra i più belli del Rajasthan. Chiuso da luglio a metà settembre. Tra novembre e maggio il clima è piacevole ma anche nella stagione secca (ottobre – marzo) sono probabili gli avvistamenti in quanto gli animali escono dalla foresta per abbeverarsi al lago. 

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KANHA NATIONAL PARK

Il Kanha National Park, nel Madhya Pradesh, uno dei più grandi dell’India (1940 Kmq.- tre ingressi di cui i due principali, agli estremi opposti del parco, distano tra loro 4 ore di guida – altitudine 600-900 mt- s.l.m.) è conosciuto per la comunità di tigri indiane, circa 250, che lo abita stabilmente. Costituito nel 1955 da una legge speciale, si sviluppa in vasti prati erbosi, picchi rocciosi, foreste di teak, bambù ed altri tipi di alberi, in numerosi laghi ricchi di piante acquatiche, ed in grandi praterie abitate da diverse specie di cervi, tra cui la rara specie di cervo Barasingha, dalle “dodici corna”. Il parco ospita una vasta fauna selvatica, tra cui bufali selvatici, cani selvatici, pitoni, orsi (ben circa 150), leopardi (ben circa 80), sambar, e molti altri. E’ in in questo parco che lo scrittore Rudyard Kipling ha immaginato le storie raccontate nel famoso romanzo “Il libro della giungla”. Il parco rimane chiuso dal 1 luglio al 15 Ottobre. La stagione migliore per visitarlo va da febbraio a giugno. I mesi di dicembre, gennaio e marzo sono i mesi di massimo affollamento. Da marzo a giugno il caldo è intenso ma aumentano le probabilità di avvistare gli animali che si avvicinano ai corsi d’acqua per bere. 

Keoladeo

KEOLADEO NATIONAL PARK

Se il vostro itinerario prevede una visita di Agra, la città che ospita il celeberrimo Taj Mahal, allora siete sulla strada giusta per arrivare al Parco Nazionale di Keoladeo, in Rajastan, a soli 50 Km. da questa città. Il Rajasthan, già grande attrattiva per i turisti che visitano questo Stato per le sue magnifiche testimonianze storiche, continua a dare il meglio di sé anche con questa riserva naturale patrimonio mondiale dell’UNESCO dal 1985. Anch’ esso antica riserva per la caccia alle anatre dei maharaja Jat, dichiarato Parco Nazionale nel 1981, oggi è la principale riserva ornitologica dell’India, santuario di molti uccelli stabili e migratori, anche di rara specie, provenienti persino da Cina, Siberia, Europa e Tibet che qui arrivano ad abitare laghi e paludi dove si riproducono. Dopo le grandi piogge, anche gli uccelli acquatici come le gru, le oche, i fenicotteri rosa, le cicogne, i pellicani e tanti altri trovano in Keoladeo il loro rifugio prediletto. Conviventi di questo meravigliosi volatili sono alcuni mammiferi tra cui le antilopi cervicapra, le antilopi azzurre, i cinghiali, i chital, i sambar e persino i pitoni. Il Parco, esteso per 29 Kmq., si trova a Bharatpur (150 Km. Da Jaipur e 18 Km da Fatehpur Sikri), già interessante di per sé per i suoi templi, mercati, palazzi ed altri monumenti. Il Parco è aperto tutti i giorni con orari diversi secondo i periodi. Potete visitare il Parco, particolarmente affascinante la sera e la mattina, a piedi, in bicicletta, in rickshaw.


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SARISKA TIGER RESERVE

Incluso nell’ambito del Project Tiger questo parco del Rajasthan proprio nelle colline Aravalli, riserva naturale protetta dal 1955 ed antica riserva di caccia dei sovrani dello Stato, è ricco di fauna selvatica su una superficie di circa 500 Kmq. Le città più vicine sono due delle città del Triangolo d’Oro, Jaipur , da cui dista circa 2 ore di auto, 140 Km.), e Delhi (da cui dista circa 4 ore di auto, 170 Km.). Coloro che visitano il Parco hanno qualcosa in comune, vedere la tigre reale che abita questa riserva e che vive allo stato selvatico. Questo bell’animale è comunque in compagnia di altri splendidi esemplari di bisonti indiani, volpi, iene, e così via, oltre ad una miriade di uccelli tra cui le aquile e gli avvoltoi, per citarne alcuni. Il tutto su uno sfondo ambientale di notevole bellezza. Ma poiché la storia, anche quando non è protagonista, si fa comunque avanti, ecco allora spuntare dalla folta vegetazione le rovine di antichi templi indu dell’epoca medievale dedicati a Shiva, e lo splendido palazzo del maharaja di Alwar, oggi albergo di lusso. Il Sariska Tiger Reserve è aperto dal 1 ottobre al 30 giugno per tutti i sette giorni della settimana rimanendo quindi chiuso nel periodo dei monsoni da luglio a metà settembre .

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BHANDHAVGARH NATIONAL PARK

Il Bhandhavgarh National Park, 450 kmq (mt. 800 s.l.m.), nel Madhya Pradesh, (Km. 270 – 6 ore circa da Khajuraho che è anche l’aeroporto più vicino) ha acquisito il suo status di area protetta nel 1968, dopo la sua lunga storia di zona di caccia dei reali Rewa ed è noto perché tigri, anche la tigre bianca, ed altri animali come uccelli, volpi, cervi, sciacalli, bisonti indiani, gazzelle, cervi, chital, leopardi, cervi pomellati, antilopi azzurre, gatti selvatici, iene e rettili, oltre a molti altri, abitano le sue fitte foreste. L’area di Bandhavgarh ha quindi una grande biodiversità, ed è il luogo dove vi è la più alta densità di tigri in India. Bandhavgarh National Park ospita anche una variegata vegetazione da praterie a foreste di Sal diventando quindi l’habitat perfetto per molte specie di animali. Un modo divertente per visitare il Parco è farlo a dorso di elefante, oltre che in jeep. Dentro al Parco, anche templi ed i resti di un antico Forte. Il Parco è aperto dal 16 ottobre al 30 giugno ma il periodo migliore per visitarlo è durante i mesi caldi, fra febbraio e giugno, quando gli animali lasciano la foresta per abbeverarsi presso i corsi d’acqua del Parco.

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PARCO NAZIONALE JIM CORBETT
Situato nell’Uttaranchal (Nord India), nei pressi di Ramanagar (Km. 250 da Delhi) è una parco di grande rilevanza perché il primo in assoluto a diventare riserva protetta nel 1936 quando fu fondato da Jim Corbett. E’ un un ambiente di rara bellezza himalayana di monti, pianure e foreste, esteso per 1288 Kmq., ad un’altitudine variabile tra i 385 e i 1100 metri s.l.m. Dove il clima varia mediamente tra 4°C in inverno e 42°C in estate. In questo splendido luogo convive una grande varietà di fauna selvatica, tra cui la tigre, gli elefanti, i coccodrilli, oltre a cinghiali, cervi, scimmie, rettili, l’aquila pescatrice e molti altri. Il Parco è aperto dal 15 novembre al 15 giugno.

 

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PANNA VICINO KHAJURAHO

Nel Madhya Pradesh, a circa 60 km dalla splendida Khajurao, che potrebbe costituire una delle tappe del vostro itinerario, c’è il “Panna National Park”, 550 Kmq., creato nel 1981, e posto sotto il Tiger Project nel 1994. In un ambiente, a clima prevalentemente tropicale, ex riserva di caccia dei principi di Panna, Chhatarpur e Bijawar, animali come tigri, leopardi, gatti selvatici, cervi, gazzelle, antilopi, cani selvatici, orsi, lupi, caracal, sambar, iene tra le molte specie presenti, ma anche rettili e tantissime specie di uccelli. La riserva non ha alcun mezzo di trasporto per i visitatori. E’ aperto dal 16 ottobre al 30 giugno. Il periodo migliore per visitarlo va da dicembre a marzo.

immagini: wikipedia

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PERIODO: APRILE PROSSIMO

DURATA: 16 GIORNI

SISTEMAZIONE: sempre in hotel di qualità e una notte in campo tendato attrezzato in Ladakh

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PREZZO: circa € 1.070 (a testa) per due partecipanti. Il prezzo include la sistemazione in camera standard in pensione completa durante tutto il tour (eccetto a Delhi, Agra, and Jaipur – solo colazione), autovettura con autista, ingressi ai monumenti, giro in elefante ad Amber Fort, servizi di guida locale parlante inglese per i giri turistici, assistenza all’aeroporto in arrivo e partenza.

Possibilità di avere una guida parlante italiano per tutto il tour.

 Sono esclusi il volo che costa mediamente tra i 500 e i 700 Euro in classe economy e il volo interno Delhi -Leh il cui costo è variabile e da verificare al momento della prenotazione.

Se il numero di partecipanti aumenta il prezzo scende.

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