Le buonissime SAMOSA (street food)

Questo popolare street food pare sia nato in Medio Oriente, ma grazie ad antichi scambi commerciali è diventato uno degli snack più apprezzati della cucina asiatica. I samosa di verdure sono una variante vegetariana fra le più comuni e diffuse: consistono essenzialmente in un fragrante guscio di pasta che viene fritto e farcito con un mix di patate e verdure estremamente personalizzabile, a cui possono essere aggiunti anche carne o legumi, a seconda della provenienza o della religione della famiglia che li prepara. Poiché non esiste una ricetta ufficiale, noi abbiamo deciso di proporvi una versione vegana del ripieno composta da patate, piselli, cipolle e anacardi, ma voi potete adattarla ai vostri gusti aggiungendo o togliendo gli ingredienti che più preferite!

PER 8 SAMOSA

PER LA PASTA farina 00 250 g / acqua 100 ml / olio di semi 50 ml / sale 1 pizzico,

PER IL RIPIENO patate 370 g / pisellini 107 g / anacardi 35 g / zenzero fresco 27 g / cipolla ½ / aglio 2 spicchi /  peperoncino fresco ½ /cumino ¼ cucchiaino /curcuma in polvere ¼ cucchiaino /peperoncino in polvere 1 pizzico / olio extravergine oliva 10 g /sale q.b.

Friggere in abbondante olio di semi (1 lt)

Per preparare i samosa, per prima cosa lavate e sbucciate le patate, poi mettetele a lessare in una pentola di acqua bollente per 35 minuti. Mentre le patate cuociono, potete occuparvi dell’impasto dei samosa: in una ciotola capiente, unite la farina, il sale e l’olio di semi e cominciate ad amalgamare gli ingredienti con la punta delle dita. Poi aggiungete l’acqua poco per volta, continuando a impastare con le mani, fino a che non otterrete una pallina di impasto piuttosto liscio ed elastico. Coprite la ciotola con un canovaccio e passate alla preparazione degli ingredienti per il ripieno: tagliate il peperoncino fresco a metà per il lungo, rimuovete i semi con la lama di un coltello e tagliatelo a pezzettini; sbucciate la cipolla e tagliatela a falde sottili, poi tritate grossolanamente gli anacardi con un coltello. Trascorsi i 35 minuti di cottura, scolate le patate e passate alla preparazione del ripieno. Scaldate l’olio d’oliva in una casseruola, aggiungete l’aglio schiacciato, lo zenzero grattugiato e il peperoncino fresco e fateli rosolare a fuoco medio per un paio di minuti, mescolando spesso. Ora unite la cipolla al soffritto, insieme al peperoncino in polvere e alla curcuma  e lasciateli rosolare per qualche minuto, mescolando spesso. A questo punto aggiungete le patate lessate intere e schiacciatele grossolanamente con il mestolo. Dopo 6-7 minuti unite i piselli e lasciateli cuocere per circa 3 minuti, poi spegnete il fuoco e aggiungete gli anacardi tritati e il cumino, mescolate bene e aggiustate di sale. Quando il ripieno è pronto, riprendete la pallina di impasto e dividetela in 4 parti uguali: stendete ognuna di esse con il mattarello fino a formare un cerchio del diametro di circa 20 cm. Tagliate il cerchio a metà, prendete uno dei 2 semicerchi ottenuti e posizionatelo davanti a voi con il lato diritto verso l’alto. Spennellate il lato superiore sinistro con dell’acqua, poi piegatelo e portatelo verso il centro del semicerchio.

Spennellate con l’acqua il bordo dell’impasto che ora si trova sulla metà del semicerchio, poi portate verso il centro anche l’estremità destra, facendo combaciare i due lati e premendo delicatamente per incollarli. In questo modo avrete formato un cono: sollevatelo con delicatezza e sistematelo nell’incavo della vostra mano, poi riempitelo con il ripieno fino a un paio di cm dal bordo. Premete i bordi con le dita per sigillare l’apertura, poi ripiegate il bordo su se stesso e premete ancora una volta per sigillarlo ulteriormente.

Quando tutti i samosa saranno assemblati, riscaldate l’olio di semi in un pentolino fino a raggiungere la temperatura di 170°, poi friggete un pezzo per volta (o al massimo 2, per evitare che la temperatura dell’olio si abbassi) per circa 3 minuti girandolo su entrambi i lati. Quando il samosa avrà assunto una bella colorazione dorata, scolatelo con una schiumarola e trasferitelo su della carta assorbente per assorbire l’olio in eccesso. Una volta fritti, i vostri samosa sono pronti per essere serviti e gustati ben caldi!

Non esiste una ricetta ufficiale dei samosa! Lo spuntino indiano più amato può essere personalizzato nei modi più vari, sia per quanto riguarda la composizione dell’impasto che del ripieno, a partire dal mix di spezie, che può includere comunemente anche il coriandolo, la cannella o il garam masala, per finire con l’ingrediente principale: se preferite rimanere su una versione vegana, potete arricchire la nostra proposta di ripieno con dei legumi già cotti, come i ceci o le lenticchie, funghi o altra frutta secca; per una versione non vegetariana, invece, potete utilizzare la carne d’agnello, piuttosto comune nella cucina indiana, oppure della carne di manzo o della salsiccia! Se avete bisogno di velocizzare i tempi di preparazione, potete sostituire l’impasto con della pasta fillo già pronta oppure della pasta sfoglia.

Buon appetito! E se andate in India, non dimenticate di assaggiarle!

vuoi viaggiare con noi? http://www.passoinindia.com

 

La ricetta è stata tratta da “Giallo zafferano”

https://ricette.giallozafferano.it/Samosa.html

 

 

Chandni Chowk, il grande mercato di Delhi.

Quando vado a Chandni Chowk con i turisti, che accompagno per lavoro (sono una guida indiana), mi diverte il loro stupore.

IMG-20150904-WA0005La zona ospita uno dei mercati più antichi, tra i più importanti dell’India, nel cuore della vecchia Delhi che viene chiamato anche Shahjahanabad. Fu infatti il grande imperatore dell’India Shah Jahan (che ideò il bellissimo Taj Mahal di Agra) a farlo realizzare per desiderio e su progetto della figlia Jahan Ara, nell’era dei Moghul, 17° secolo; il nome Chandni Chowk significa “piazza al chiaro di luna”, perché quel luogo era un tempo diviso da un canale per la fornitura dell’acqua che rifletteva appunto la luna.

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Ciò che appaga chiunque visiti questo posto è la sua capacità di portare indietro in quel passato tempo ormai rimpiazzato troppo spesso dai magazzini della grande distribuzione.

Chandni Chowk è un dedalo di strade strette e affollate con negozi e bancarelle che vendono davvero di tutto, dai libri all’abbigliamento, dalle calzature ai prodotti elettronici, dall’oro all’argento, dal pellame ai gioielli, dagli arazzi agli oggetti di antiquariato, ai vestiti per le nozze… e tutto quant’altro vi possa venire in mente, persino animali come pecore, capre, galline vive che poi…

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Ci sono anche barbieri e pulitori d’orecchi.

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Il colpo d’occhio, che cade anche sulle variopinte piramidi di spezie di ogni genere, quello che esalta i turisti, è un congestionato scenario pieno dei colori delle sete svolazzanti che fanno da anticamera a piccoli e grandi negozi dove i commessi, prevalentemente uomini, dispiegano, con una capacità da sbandieratori provetti, metrature di setose e scintillanti stoffe, e le donne, seriamente immerse nell’affare, scelgono la più congeniale per il loro prossimo abito.

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E’ davvero tanta la gente a Chandni Chowk, di tutti i tipi e sfumature e i turbanti pastello sembrano camminare da soli in mezzo a tutta quella folla. I miei clienti si divertono sui richshaw (un carro trainato da un uomo a piedi o in bicicletta), facendo centinaia di foto alle scene del commercio quotidiano mentre io devo badare che non si perdano! Anche l’olfatto ha il suo da fare, perché il profumo è quello della autentica cucina indiana, con le sue prelibatezze e i suoi dolci.

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E’ l’odore invitante del cibo di strada, dei tanti tipi di pane che, per forma e ingredienti, hanno nomi diversi come il chapati, il roti, il naan, solo per citare i più popolari; è l’odore delle parathas (una sorta di focaccia tonda) fritte con puro ghee in pentole di ghisa, servite con chutney (salse) di gusti vari come menta, banana, tamarindo e con verdure sottaceto oppure ripiene di patate, cavolfiore, piselli, lenticchie, carote, fieno greco, ravanello oppure farcite con paneer (formaggio fresco), menta, limone, peperoncino, frutta secca, anacardi, uvetta, mandorle, karela (chiamato anche melone amaro ma con l’aspetto di un cetriolo).

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E’ l’odore delle papad (cialde croccanti molto saporite), del rabdi (un dolce fatto con yoghurt e farina), del khurchan (una zuppa a base di paneer, pomodoro e spezie), dei jalebis fritti in puro ghee, del pao bhaji cucinato con verdure, patate e coriandolo (simile al nostro prezzemolo ma di gusto diverso). 

I venditori di dolci (halwais), quelli di salatini, (namkeenwallahs) e di pane (paranthewallahs) sorridono allo straniero invitandolo all’assaggio delle kachoris, polpette fritte ripiene di patate e piselli, dei gobhi-matar, fatti con cavolo e piselli, delle samosa, inconfondibili per la loro forma triangolare, fritte e ripiene di carne o verdure, delle matar paneer tikki, a base di spezie e verdure.

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E’ il sapore dei chaats, un mix di snack piccanti, speziati e salati come il gol gappe, il dahi vada, il dahi bhallaun, un gnocco fritto con cagliata, cioccolato nero, chutney di tamarindo e semi di melograno, oppure fatti con la frutta.

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E’ il sapore delle kachori, di solito ripiene di legumi e servite con patate al curry e delle aloo tikki ripiene di patate e piselli. Il tutto gustato con il chai, il tipico thè indiano con latte e spezie.

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Una vera esplosione di sapori. Tutta la vecchia Delhi è famosa per la sua prelibatissima cucina.

Alcuni tra i ristoranti più frequentati si trovano proprio qui. Persino il gelato si può trovare nella vecchia Delhi; il rabdi faluda, che va servito freddo, è molto simile quando arricchito con crema di vaniglia; il kulfi è un dessert gelato al latte di vari gusti tra cui rosa, mango, melograno, litchi.

Sul versante musulmano, di fronte alla moschea Masjid, l’aroma del cibo di strada aleggia nell’Urdu Bazaar che significa “mercato dell’accampamento imperiale” e la lingua urdu (lingua nazionale del Pakistan e lingua ufficiale dell’amministrazione indiana insieme con hindi e inglese) significa proprio accampamento. E’ l’odore del pesce, degli spiedini aromatici e del pollo fritto. Qui si vendono sopratutto kebab, stufati di montone e tikkas (con carne di bufalo) avvolti in rumali roti (sottile carta di pane).

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Chandni Chowk è anche un meltin pot religioso; persone di tutte le religioni lo frequentano o lo attraversano, anche per ragioni di fede. I gaininsti si dirigono verso il tempio Jain Digamber, il più antico tempio Jain nella capitale, originariamente costruito nel 1656, alla foce di Chandni Chowk, proprio di fronte al Forte Rosso. Gli induisti raggiungono il vicino tempio di Gauri Shanker da 800 anni dedicato al culto di Shiva. A pochi passi si trova la chiesa Battista centrale istituita nel 1814 e il Gurudwara Sikh Sis Ganj Sahib, costruito nel 1783, in onore del nono Guru Sikh Teg Bahadur e di alcuni suoi seguaci giustiziati dai Moghul in quel luogo nel 1675 d.C. 

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Ma è il Red Fort (o Lal Qila di Delhi ) che si fa notare, proprio davanti al Chandni Chowk, costruito in nove anni da Shah Jahan come palazzo ufficiale dei Moghul. Di fronte ad esso, la splendida Jama Masjid, l’ altro edificio che Shah Jahan costruì in 6 anni, una delle più grandi moschee di Delhi.

Questa è Chandni Chowk, con anche i suoi palazzi a volte fatiscenti, con gli intrecci penzolanti dei fili della luce, con i sadhu, i poveri  e i mendicanti ma un vero spaccato di India autentica. Lascio i turisti soddisfatti con, negli occhi, i colori di Chandni Chowk.

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Testo e photo by PASSOININDIA

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