Di tutto si può dire dell’India ma non che non sorprenda ogni volta. Sapete, vicino a Bikaner, in Rajasthan, c’è un posto dove i topi scorrazzano avanti e indietro, grassi e felici, chi può dire se per l’abbondante cibo che viene loro offerto o se per la devozione prestata loro dai fedeli.

Ora, per un momento, lasciate fuori la comune ripugnanza verso questi piccoli esseri ed ascoltate questa storia. Nel famoso tempio dedicato a Karni Mata, l’incarnazione della divinità, da cui esso prende il nome, ci sono all’incirca 20.000 topolini (Kabbas) che regalano al sito il nome di “tempio dei ratti”. Questi animaletti sono considerati sacri e attirano quindi, oltre che turisti, moltissimi pellegrini indu che offrono loro di tutto, in prevalenza latte, ghee, il burro chiarificato, e prasad, un composto commestibile solitamente fatto con semolino, zucchero, ghee, cardamomo e uvetta, associato al rituale religioso, un po’ come l’ostia cristiana; se guardi bene qualcuno offre loro persino vino ed è per questo che talvolta si vede l’animaletto barcollare!

Ora, è vero che in India gli animali in genere sono sacri, scimmie, vacche e quant’altro sappiamo, ma che si adorino addirittura i topi… non è affatto frequente. Tutto questo origina da una leggenda; sarebbe infatti tutto merito di Yama, il dio della morte, implorato da Karni Mata, una fanciulla indu, affinché riportasse in vita il suo figliastro Laxman annegato in uno stagno; Yama esaudì la preghiera di Karni Mata consentendo a Laxman e agli altri suo figli di reincarnarsi come topi. Tra le migliaia di topini marroncini, ci sono, in giro, pochissimi topini bianchi ritenuti particolarmente santi in quanto manifestazione di Karni Mata e dei suoi figli. Un’altra storia racconta che Karni Mata volle punire dei soldati che disertarono una battaglia e ai quali risparmiò la vita trasformandoli in ratti; perciò, ancora oggi, quegli uomini-topolini servono in eterno Karni Mata. Ora, non fatevi impressionare, provate a immaginare che quei topolini in fondo sono domestici, affettuosi, curati e non provenienti dall’esterno… I devoti non provano alcuna avversione e condividono con loro il cibo, mangiando ciò che è stato da questi rosicchiato perché bene augurante. Già dall’ingresso se ne vedono a gruppetti, fuori, nel cortile esterno del tempio e i pellegrini si comportano come in qualsiasi altro tempio, pii e scalzi. I turisti, solitamente, tengono i loro calzini perché questo, come in ogni tempio, è permesso.

Quando, alle 4 della mattina, il Karni Mata Temple apre le sue porte, comincia l’Aarti, il un rituale religioso indù, parte della puja (preghiera), in cui i devoti offorno alla murti (l’icona sacra della divinità) la luce ottenuta dall’accensione di stoppini imbevuti di ghee o canfora; contestualmente, hanno luogo le offerte di cibo (bhog) ai ratti.

Il tempio, in stile Moghul e Rajput, risale al XV° secolo ma è stato trasformato nel tempo, per mano di Ganga Singh, il Maharaja di Bikaner, e poi nel 1999, fino alla sua forma attuale.
I topi incisi sull’argento delle massicce finestre della costruzione in marmo antistante il tempio ricordano che quello è il loro tempio sacro; dentro, altre porte e pannelli riportano scene raffiguranti la dea e sui quadroni del marmo bianco e nero dove si prostrano i fedeli, slittano i topolini che realizzano perfetti schemi composti intorno a grandi ciotole di metallo piene di latte.

Se solo uno di essi viene ucciso, deve essere sostituito con uno fatto di argento massiccio.
(Testo by Passoinindia)
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(foto dell’aarty, courtesy wikipedia)