Auguri per un Anno migliore.

Non mi sono sentito di dire Buon Natale. Di fronte ad un mondo che alza muri più o meno alti, non può essere un Buon Natale. Se davvero il Buon Natale recuperasse il senso vero e proprio, quello più intimo di ogni cristiano, avulso dalla frenesia consumistica, allora avrei creduto in questo Natale, un Natale cristiano che implica l’amore per il prossimo, anche non conosciuto e non sempre lontano, che ha bisogno di noi. Gli Auguri per un Nuovo Anno guardano invece ad un momento in divenire che conduce ad un tempo che vorrei fosse migliore. Penso al prossimo anno, questo tempo delimitato dall’uomo che invece non ha soluzione di continuità, con la speranza di un mondo diverso dove un semplice grazie o un banale saluto recuperino il loro significato, un nuovo mondo dove l’incrocio di uno sguardo comporti un sorriso reciproco, dove la lentezza non sia una menomazione ma un’occasione per non perdere di vista noi stessi. Vorrei che gli uomini si parlassero e che la tecnologia diventasse funzionale all’uomo e non viceversa. Credo nell’uomo che si autocelebra per i buoni gesti, per dare il buon esempio, e non si immortala, senza sapere che eterno non è, in un anonimo scatto digitale che impedisce la percezione di un attimo che fugge via. Mi piacerebbe che gli uomini riprendessero a parlarsi guardandosi negli occhi, stringendosi le mani e scambiandosi parole vere, eludendo la freddezza di questi nuovi sistemi di comunicazione dove le frasi troppo spesso procedono dai tasti e non dal cuore, senza emozione, senza tono, senza attesa di risposta. Vorrei che fosse aperto a chi bussa alla porta, senza limiti e senza risvolti di convenienza anche morale; vorrei che fosse davvero sentito, come un impulso universale, il bisogno di aprire le braccia, di sentire come nostra la tragedia altrui, il bisogno di piangere. Voglio aspettarmi che il tempo che verrà porti con sé buone intenzioni, la voglia di imparare, di sapere, di istruirsi e di informarsi, resa più accessibile dalla lodabile rete affinché gli uomini imparino dal passato la lezione per il presente. Vorrei infine che la bellezza fosse cercata negli occhi, da sempre lo specchio dell’anima, sia di noi stessi che dell’altro, e non in un capo firmato o un qualunque altra ostentata manifestazione di superficiale benessere. Mi piacerebbe che fosse riscoperto il valore della semplicità, la percezione di cosa davvero serve all’uomo e del peso di ciò che è inutile. Vorrei che dell’acqua, del sole, del sale e del pane si rinnovasse quotidianamente il senso del loro prezioso apporto, e del passo verso casa si godesse appieno al crepuscolo, allegramente, dopo una giornata serena e costruttiva di lavoro.

Vorrei, vorrei vorrei…. Quante cose ancora vorrei. Il mondo naturale, così come qualche Dio lo ha creato, sarebbe perfetto. L’uomo lo ha alterato, rendendo più vulnerabile anche se stesso.

Aspetto, forse invano, un anno fatto di mari e di cieli blu di lapislazzuli, di alberi smeraldo e di montagne color dell’ocra. Mille colori, insomma, anche di uomini.

Tanti Auguri, allora, di Buon Anno a tutti.

(testo PassoinIndia)

Viaggio nel nord-est India. Le sette sorelle e le loro tribù.

C’è un’India nascosta e sconosciuta ai più, collegata al grande subcontinente dallo stretto corridoio di Siliguri nel Bengala occidentale, e ritenuta una delle zone al mondo con diversità culturali così varie e molteplici da richiamare, da sempre, l’interesse degli antropologi. Ci troviamo nel Nord Est indiano, al confine con Cina, Bhutan, Myanmar e Bangladesh, dove sette Stati, le “seven sisters”, Mizoram, Arunachal Pradesh, Assam, Manipur, Nagaland, Meghalaya e Tripura, in una bellezza naturale pre-himalayana di prim’ordine, custodiscono un patrimonio culturale pressochè intatto, quello delle comunità tribali (Adivasi, Adi=indigeno) che li abitano. La popolazione, complessivamente intesa, si concentra per il 70% nel solo Assam, tipicamente tropicale con palmeti da cocco, che, con le sue verdi valli, è anche il secondo Stato più esteso delle sette sorelle, il più accessibile al turismo e quello che, da solo, realizza il 65% della produzione totale di té in India. Qui si trovano due importanti parchi visitabili famosi per gli ultimi esemplari di rinoceronti unicorni indiani, Manas e Kaziranga, Patrimonio dell’Umanità. La fertilità di questi suoli, in parte attraversati dal fiume Brahamputra, che danno riso, la ricchezza delle foreste, che danno legname, e le risorse minerarie, che danno un po’ di petrolio, sono alla base dell’economia di questi luoghi.

 

Tutta l’India del nord-est è abitata da tantissime comunità tribali di ceppo mongolo, un vero tesoro di umanità, dalle variegate lingue, costumi, religioni e tradizioni secolari, che vivono di agricoltura e allevamento, producono tessuti in lana ed altro artigianato locale. Come un caleidoscopio di culture, le peculiarità di queste comunità tribali si riflettono nelle loro danze, canti, cibo, feste, arte ed altre occasioni sociali in cui esse manifestano la loro vivacità ed orgoglio. Sono tradizioni sopravvissute al tempo e alla modernità, finalmente riconosciute e presevate dal governo indiano che ha classificato questi Stati come “tribali”. La loro posizione strategica ed isolata, limitrofa a confini “caldi” come quelli cinesi e del Bangladesh e la loro interdizione al turismo sin dai tempi del governo post-coloniale di Nehru, ha contribuito a preservarne l’autenticità e la sopravvivenza. E’ a Khohima, la capitale del Nagaland che fu bloccata l’invasione giapponese durante la Seconda guerra mondiale. Attraversato dalla catena himalayana, il Nagaland è anche lo Stato meno esteso del Nord India, il meno popoloso e tuttavia quello che ospita la più ricca varietà etnica, ben 80 tribù e sottotribù di origine mongola. L’Arunachal Pradesh, circondato da Cina e Birmania, è l’ultimo Paese indiano verso est ed il suo nome significa “terre di montagne baciate dal sole nascente” perché il sole di ogni giorno lo illumina per primo insieme alle sue splendide orchidee.

Molti dei popoli tribali sono stati convertiti al Cristianesimo dai missionari britannici, altri seguono Induismo e Buddismo ed altri ancora hanno le loro credenze indigene e praticano l’animismo ossia il culto primordiale per cui in ogni realtà materiale, che sia un fiume, una pianta, la terra, l’acqua, un fulmine, il cambio delle stagioni ecc., vive un’anima.

Un incredibile concentrato di biodiversità sotto  tutti i punti di vista. Un viaggio bellissimo, quello negli Stati tribali del Nord est indiano, particolarmente adatto a chi vuole andare “fuori rotta”, dove uomini e natura si uniscono da sempre.

(testo PASSOININDIA TOURS)

vuoi visitare questi luoghi? Richiedi info al tour operator PassoinIndia Tours al sito http://www.passoinindia.com

Come arrivare:

In aereo: Assam (aeroporto di Lokpriya  Gopinath Bordoloi, aeroporto di Guwahati), Manipur (aeroporto di Imphal), Nagaland (aeroporto di Dimapur) e Tripura (aeroporto di Agartala) hanno voli diretti da altre città dell’India come Delhi e Calcutta.

In treno: Venendo dall’India il  principale punto di accesso per qualsiasi stato nord-orientale è l’Assam. Buoni collegamenti ferroviari dalla maggior parte delle principali città indiane con l’ Assam, l’unico stato della regione con con linee ferroviarie (salvo Nagaland con una stazione, Dimapur). Le stazioni più importanti in Assam sono Guwahati, Bongaigaon, Lumding, Tinsukia e Dibrugarh. La linea non è elettrica e la corsia è unica perciò i ritardi sono normali.

Su strada: tutti gli stati hanno una buona rete di strade nelle aree urbane. Si consiglia di non guidare da soli.

Ormai il visto speciale di ingresso a questi Paesi, rilasciato dal Ministero degli Affari Esteri, è richiesto solo per entrare in Arunachal Pradesh ma, per gli altri Stati, è possibile che si debba comunque registrare l’arrivo e la partenza. Ad ogni modo conviene sempre verificare gli aggiornamenti sul sito del ministero degli affari esteri o su quello ufficiale dei singoli Stati.

Un gruppo che visita questi Paesi deve essere sponsorizzato da un’agenzia di viaggi e turismo approvata dal governo.

Il giardino dei cinque sensi (Delhi).

Se ti trovi a Delhi e hai un po’ di tempo libero da spendere al di fuori delle visite ai bei monumenti della città, allora recati al Giardino dei cinque sensi. Si tratta di uno spledido parco realizzato nella parte nuova della città,  per rispondere alla necessità di creare uno spazio verde all’interno del tessuto urbano della grande metropoli. Il giardino, costruito in tre anni, è il risultato di un progetto dell’architetto indiano Pradeep Sachdeva, finanziato dal Tourism Delhi e dal Trasport Development Corporation, ad un costo di Rs 10,5 crore (1.400.000,00 euro circa). Il sito, di venti acri, che si trova nel villaggio Said-Ul-Azaib, vicino alla zona del patrimonio Mehrauli a Nuova Delhi (per capirci, dove si trova il famoso Qutub Minar), è stato inaugurato nel 2003.

Si è deciso di farlo qui, in un luogo che già la sola natura ha reso, con maestose rocce, così particolare. Il giardino, progettato per stimolare risposte sensoriali, è una fusione di colori, profumi, suoni. La maggior parte delle opere d’arte sono dinamiche, il che lo rende interattivo per i visitatori. All’ingresso, vi accolgono uccelli in acciaio montati su pilastri rivestiti di ardesia. All’interno, un percorso punteggiato da bellissimi fiori e oltre duecento varietà di piante, circa 25 sculture, statue, passerelle, campi di bambù, orti, campanelli eolici e parchi di energia solare.

Il giardino è suddiviso in varie aree distinte. Su un lato della passerella a spirale c’è il Khas Bagh, un giardino modellato sulle linee di quelli Moghul con cascate d’acqua, stagni e canali esattamente come quelli del Paradiso descritti nel Corano. L’asse centrale porta ad una serie di fontane, alcune illuminate con sistemi a fibre ottiche. Appartato, lontano dal cuore del giardino, sull’altro lato della passerella, c’è la zona del ristoro e dello shopping.  Potete percorrere il Trail of Fragrance, il sentiero che vi conduce lungo un costone roccioso dove una scultura in acciaio ruota e balla in gioioso abbandono, e passeggiare lungo i sentieri tortuosi per Neel Bagh, una piscina di ninfee circondate da pergolati ricoperti di piante rampicanti di diversi colori. Poi, per riposarvi, recatevi all’anfiteatro in blocchi di arenaria, prima di visitare il laboratorio artistico e lo spazio espositivo per l’arte. Il giardino è anche il rifugio di coppie indiane che, appartate, si scambiano le effusioni non concesse dalla tradizionale comunità indiana.

Può dunque valere la pena, in qualunque giorno dell’anno, visitare il Five Senses Garden, che è una tra le più grandi collezioni di arte pubblica nel Paese.

(testo PASSOININDIA)