India, la festa dei serpenti (Naga Panchami)

Naga Panchami conosciuto come “Nag Chaturthi” o “Nagul Chavithi” è una festività molto particolare, almeno per l’Occidente dove il serpente (naga) non ha un ruolo proprio accattivante nella cultura popolare. Ed invece in India e in altri luoghi del mondo di fede indu c’è una festa che cade nel mese lunare di Shavran, il quinto ed il più sacro del calendario indu, molto importante per i devoti di Shiva (da cui il nome) con cui si ritiene sia imparentato il serpente.

In tale occasione il Naga è visto come una divinità cui mostrare devozione con rituali e gesti che variano di zona in zona, per domandare benessere alla famiglia. protezione dal morso dell’animale ed anche fertilità. Si offrono ai serpenti, finti o vivi, molto spesso cobra, bagni di latte, la sostanza che in India è simbolo della purificazione ed anche miele, latte, ricotta, burro chiarificato (quando tutti questi elementi sono mischiati insieme si ottiene la panchamrita): ed ancora, fiori, riso, olio di sesamo, acqua di rose, pasta di sandalo, nutrizione dei brahmini, digiuni, mantra (preghiere). Un tempio speciale è quello di Nagachandreshwar a Ujjain nel Madhya Pradesh che apre le sue porte solo una volta all’anno e proprio in occasione del Naga Panchami.

tempio di Nagachandreshwar

In questo periodo i contadini non arano la terra per proteggere i serpenti, memori anche di uno dei tanti racconti popolari che narra di un contadino il cui figlio uccise tre serpenti durante l’aratura; la madre del serpente si vendicò nella stessa notte mordendo il contadino, sua moglie e due figli e morirono tutti; il giorno dopo l’unica figlia sopravvissuta del contadino supplicò, con offerta di latte, la madre del serpente di ridare loro la vita; il serpente li perdonò e riportò in vita la famigliola.

Altri miti legati ai serpenti sono scritti nei testi sacri indu ed uno di questi, nella Bhagavata Purana, racconta della mitica lotta tra il dio Krisha (una forma del dio Vishnu) ed il terribile serpente multiteste Kalia (o Kaliya) che viveva nel fiume Yamuna dove si rifugiò in seguito alla sua cacciata da parte di Garuda, l’uccello del mito che durante il volo canta i Veda ed è nemico di tutti i serpenti. Lì le acque nere del fiume ribollivano per il malvagio veleno di Kalia che teneva chiunque lontano. Un giorno, la palla con cui Krishna ed i suoi amici giocavano su quelle sponde, cadde in acqua. Krisha, contro il consiglio degli amici, si tuffò per recuperarla. Ma Kalia lo strinse nelle sue spire, affondando i denti nel suo corpo, trascinandolo in profondità e cercando di ucciderlo con il suo veleno. Krishna respinse il veleno con la sua mano e rese più grande il proprio corpo, tanto che il serpente dovette liberarlo. Krishna lo trascinò per la coda fino a riva e cominciò a suonare il suo flauto (con cui è solitamente raffigurato), danzando sulle teste della bestia che continuavano a riprodursi fintanto che questa non vomitò tutto il suo veleno e cominciò a morire. Ma le mogli di Kalia supplicarono Krishna di non ucciderlo. Lo stesso Kalia capì che Krishna non era uno qualunque ma una incarnazione del dio Vishnu ed allora chiese il perdono che ottenne promettendo di non fare più del male a nessuno. Da allora Krishna chiese ai devoti di offrire latte e preghiere ai serpenti affinché li liberino dai loro peccati. Ecco perché gli induisti chiedono la protezione del serpente. Le molte teste di Kalia distrutte da Krishna e che nella lotta si rigeneravano rappresentano anche i desideri umani che, pur soddisfatti, continuano a rinnovarsi. L’incidente è ricordato come la “Kalinga Nartana” nel sud dell’India.

Krishna e Kaliya

Un’altra storia da cui nasce l’usanza di dare il latte ai serpenti è il mito del Samudra-Manthan (termine sanscrito che significa “zangolatura dell’Oceano di Latte”) descritto nella Bhagavata Purana, nel Mahabaratha e nel Vishnu Purana, uno dei più belli dell’induismo. Prima della creazione del mondo i Devas (i semimortali dei celesti) su consiglio di Vishnu cercavano l’amrit, l’ambrosia che li avrebbe resi immortali; avevano quindi chiesto aiuto agli Asura (gli antidei) (rakshasa) con cui, per patto, avrebbero diviso quel nettare. Ma esplose dall’oceano il Kalakuta, un veleno mortale così potente che avrebbe potuto distruggere tutto il creato. Per salvarlo, Shiva bevve quel veleno (ecco perché egli è chiamato anche Neelkantha o Nilakanta cioè quello con la gola blu e così e spesso raffigurato) ma alcune goccioline caddero sulla terra e furono proprio i serpenti a consumarle diventando così velenosi insieme a tanti altri animali e piante). Per calmare gli effetti del veleno, i Devas eseguirono quindi il Ganga Abhishek, un particolare rituale in cui latte, miele, frutta ecc. vengono offerti alla dea Ganga (il fiume). Il termine Abhiṣeka o abhisheka in sanscrito significa “fare il bagno alla divinità che si adora” che quindi viene bagnata con queste offerte. Il Nag Panchami è proprio la rappresentazione simbolica di questo mito. Tra l’altro, nel mito della Zangolatura dell’Oceano di Latte, si descrive come fu determinante l’aiuto del re dei serpenti Vasuki (quello che vediamo raffigurato al collo di Shiva), che venne legato alla montagna cosmica (Mandara) collocata nell’oceano come un bastone affinché la facesse girare cosi da frullare l’oceano e far emergere la tanto agoniata ambrosia. In realtà la montagna affondò e fu grazie all’intervento di Vishnu, con il carapace dell’animale in cui si era trasformato, una tartaruga (Kurma, suo secondo avatar – la si vede nella raffigurazione che sostiene la montagna), che l’ampolla fu finalmente ottenuta. I demoni non ne ebbero neppure una goccia perché Vishnu prese le sembianze di una bella giovane, Mohini, e li incantò consegnando tutto il nettare agli dei che finalmente cacciarono i malvagi. Ma questa è un’altra storia e la potete leggere qui https://passoinindia.wordpress.com/2018/03/22/il-mito-indu-la-zangolatura-delloceano-di-latte/

Samudra Manthan

Un altro serpente noto nella mitologia indu è Adishesha chiamato anche Sheshanaga (il serpente Shesha) e che è il re dei naga. Nei Purana è considerato colui che tiene tutti i pianeti e l’universo sui suoi cappucci e canta le glorie di Vishnu che è spesso riposa su di lui. Nel Mahabaratha è descritto che Sesha vive sotto la Terra, le dà stabilità ed è al comando di Brahman, la divinità suprema, che ne apprezza la prodezza. Nacque dal saggio Kashyap e da sua moglie Kadru che generò migliaia di serpenti di cui Shesha era il maggiore. Il suo nome in sanscrito significa “ciò che resta”, perché, quando il mondo viene distrutto alla fine di Kalpa, il ciclo cosmico, Shesha rimane com’è.

Vishnu riposa su Shesha

testo by PassoinIndia (visita anche il nostro sito http://www.passoinindia.com o trovaci su facebook

video

i video che seguono non sono adatti a chi si impressiona per i serpenti.

Ufficialmente la professione degli incantatori di serpenti è vietata in India e tuttavia essi rimangono una presenza centrale all’interno dei riti di preghiera del Naga Panchami.