Maitreya, il Buddha del futuro.

Durante un viaggio in Ladakh, nel nord India, rimasi sorpresa da una grande statua di Buddha posta proprio sopra una collinetta antistante il monastero di DISKIT, che dominava il panorama mozzafiato della VALLE DI NUBRA, a 3048 metri slm. I suoi colori, dalle prevalenti tonalità rosso, rosa e giallo, sposavano un cielo immenso, a corona delle grandi montagne.

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Ci girai attorno, incontrando qua e là qualche monaco, guardai in su e mi dissi che era davvero altissima, la più grande che avessi mai visto, stante i suoi ben 32 metri che mi rendevano formica. Mi colpì la sua maestosità, in quella terra già maestosa e maestra di suo. Regnava imponentemente su quel territorio, con le mani giunte, a pregare per l’Umanità intera. Era rassicurante stare lì sotto, coccolata da quel silenzio himalaiano e dalla protezione del Buddha. Scoprii presto che quei grandi piedi appartenevano a MAITREYA, in onore del quale la statua è stata eretta. Maitreya è considerato il Buddha del futuro, il Buddha che ancora deve arrivare, successore di GAUTAMA BUDDHA, quello che comunemente conosciamo come SIDDHARTA e che visse presumibilmente tra il 566 a.C. e il 486 a.C. (avete letto il libro di Hermann Hesse?).

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Le varie correnti buddiste, che lo venerano all’unisono, ne aspettano la venuta essendo così scritto nei testi sacri ed avendo lo stesso Buddha predetto di non essere l’ultimo. Maitreya, che significa gentilezza amorevole, otterrà l’illuminazione e avrà compassione e buona disposizione d’animo verso tutti. Come in altre sue simbologie, Maitreya, è seduto su un trono, con i piedi per terra, pronto ad alzarsi e a venire sulla Terra quando sarà l’ora; quindi gli oceani si ritireranno, Maitreya lì attraverserà e farà cessare guerre, carestie ed epidemie e, in sette giorni, otterrà l’illuminazione, la Bodhi (la mèta del percorso religioso, quella che per gli induisti si chiama moksa, l’uscita dal ciclo delle reincarnazioni),grazie alle sue molte vite spese per diventare Bodhisattva. Egli svelerà il nuovo DHARMA (gli insegnamenti del Buddha e la via verso l’Illuminazione, simboleggiata da una ruota, il dharmachakra) all’umanità, fondando un nuovo mondo e ponendo fine ad un’era di decadenza. In altre rappresentazioni, Maitreya è raffigurato in piedi, come sospeso in aria, libero dal samsara (il ciclo delle rinascite). La statua che ho davanti lo raffigura con le mani giunte ma in altre immagini questo Buddha  tiene in mano la kalaśa, una fialetta di amrta, il nettare dell’immortalità che rappresenta il nirvāṇa (il fine ultimo della vita, lo stato in cui si ottiene la liberazione dal dolore), e altre volte regge il chakra, la ruota poggiata su un loto a significare che egli rimetterà in moto la Ruota del Dharma che si era ormai fermata sulla Terra. Maitreya è venerato anche nell’Induismo, considerato un avatar (cioè la discesa sulla terra della divinità per ristabilire il dharma) di amore e compassione, per portare un nuovo insegnamento basato sui principi di giustizia, libertà e condivisione.

Una brezza leggera mi sfiorò, alzai il capo, colpita dal bagliore del sole riflesso sulla statua del Buddha.

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foto PASSOININDIA

testo PASSOININDIA con l’ausilio di Wikipedia

 

 

Dalit. (parte 2)

(Continua da “Dalit – Parte 1)

Il filmato che propongo e che trovate qui

(http://www.youtube.com/watch?v=uM85zVt6xCU)

India Untouched: Darker Side of India: 1 (HQ)

vale la pena, a mio parere, di essere visto. L’autore del video è Stalin K (http://en.wikipedia.org/wiki/Stalin_K), un attivista dei diritti umani e documentarista di fama mondiale che, con un lavoro accurato di anni, ha raccolto testimonianze e fatti sulla esclusione e la segregazione degli “intoccabili“.

Il filmato, che voglio commentare con voi, (e spero che la mia traduzione non tradisca il senso del contenuto) apre con l’immagine di alcuni bimbi che non si avvicinano alla casa della donna poco distante da loro per paura di venire contaminati; quella, infatti, è la casa di una Dalit. Però ne conoscono il nome: Lilaben. E’ la donna con la dupatta rosa accanto ai suoi figli, anche loro intoccabili per discendenza, i quali raccontano che gli altri bambini si avvicinano alla casa ma non entrano. Quando ai bambini di casta viene chiesto chi ha parlato loro della intoccabilità, rispondono “nessuno, lo sappiamo fin da quando eravamo piccoli!”. In sottofondo il canto degli uccelli ricorda che siamo in campagna e il loro suono melodioso sembra fare a pugni con una realtà tanto dura quanto accettata perché discendente dalla sacralità di antichi e inconfutabili principi social-religiosi.

Poi la scena si sposta su Benares e il suo Gange, con le sacre abluzioni. Chi parla è Batuprasad, sacerdote capo di un tempio induista e segretario generale dell’associazione scolastica in Varanasi; è un bramino, la casta più elevata in India. Batuprasad crede nel sistema delle caste e nella intoccabilità. “Secondo la legge di Manu (capitolo 1 verso 51)”, dice, “Dio (Brahma) creò dalla sua bocca i bramini, coloro che pregano, dalle sue braccia creò i guerrieri e i governanti, dal suo ventre i contadini, i commercianti e i pastori e dai suoi piedi i servi, le caste basse …. I Veda rivelano la teoria della creazione e danno la chiave della spiegazione perciò sarebbe sbagliato, a parer suo, utilizzare altre chiavi”. E’ la superba ostinazione di chi non vuole vedere oltre, forse a protezione dei privilegi, storici ed attuali, della casta prediletta? Sul Codice di Manu è scritto: “Ho spiegato a tutti voi quali sono i mezzi migliori per assicurare il bene supremo. Un bramino che non si discosti da loro ottiene lo stato più elevato” (12.116). E ancora: “Un bramino che si avvicina ad una donna intoccabile o ad altri di bassa casta, che mangia il loro cibo o ne accetta regali diventa un emarginato ma, se lo fa intenzionalmente, diventa loro pari.”

Ancora, altre scene di vita comune, il battere di un tamburo, l’incredibile sistema di viaggiare in India, la piantina delle 7 regioni a maggiore affluenza Dalit, Shiva (sembra) su un carro, un altare, templi, carri, donne che faticano, anche una stilizzata e bianchissima Pietà, strade, cartelli, sterrato …. un ragazzo in bicicletta …. siamo nell’India rurale del Tamil Nadu. Un uomo dalla pelle scura (probabilmente un Dalit) spiega che quando si entra in un villaggio si devono rispettare certe regole. Agli intoccabili non è permesso camminare con le scarpe (qui sono modeste ciabatte infradito) nelle aree riservate alle classi alte. Un giovane che sta entrando nel villaggio infatti se le toglie e continua scalzo perché è un Dalit. Una donna vestita in verde spiega che queste sono le regole ed è giusto che ogni casta debba seguire le proprie. Appena i Dalit lasciano il villaggio possono rimettersi le loro calzature. Sorprende come tutto avvenga in modo naturale.

In Gujarat le cose non sono diverse. Anche qui siamo in un villaggio cosparso delle pozzanghere residue della pioggia che ha reso fangosa la terra. Qui le persone si spostano in chakkadas, una specie di carro o mezzo carro a motore in cui si sta seduti o in piedi. “Ci sono molti intoccabili nel villaggio”, dice un ragazzo, “e a loro non è permesso usare questo mezzo. E se un Dalit salisse, gli altri “non Dalit” scenderebbero per non contaminarsi”. Vi informo che sul Manusmitri è scritto: “se un uomo di bassa casta cerca di sedersi sul sedile di un uomo di alta casta deve essere marchiato sul fianco e deve essere bandito (…)”

Poi torniamo in Tamil Nadu. Altro villaggio. Rurale. Ancora fango e infradito. E piedi nudi perché anche qui la tradizione non cambia. Il Dalit deve togliersi le scarpe se vuole entrare in un negozio a comprare e se non lo fa viene picchiato.

Ed ora l’Andra Pradesh. Un gruppo di uomini rifà il tetto di una “casa” (quasi una capanna) con poveri resti di legna. Un muratore racconta che quando è nel suo villaggio fa l’agricoltore. Ci sono, intorno, muretti a secco che sembrano improvvisati…e anche terra e fango, montagne di terra, forse l’avanzo di un dissesto. Quando il muratore lavora ad una casa altrui gli è concesso entrate per fare il lavoro ma quando la casa è pronta e dipinta ciò non gli è più permesso. Perché è un Dalit.

In Bihar una donna cammina in un villaggio. La sua dupatta colorata risalta il colore ocra della terra. E’ un’ ostetrica. Sulla sua destra una cisterna in terracotta contiene la preziosa acqua che in quei posti scarseggia. Le case sono modestissime, pressoché mura coperte da tetti in paglia. Monocolori. Lei è scalza perché è Dalit. Lei fa nascere i bambini e si prende cura della donna che ha partorito. Libera il feto dalla placenta e pulisce la zona del parto. Fa il bagno al neonato e lo massaggia con l’olio per una settimana. Guadagna cento rupie (poco più di un euro). Racconta che quando lavora le viene offerto sempre qualcosa da bere e da mangiare. Ma non le è consentito mangiare dentro la casa della famiglia cui ha donato un figlio. Può farlo solo fuori della casa. E’ l’ostetrica del villaggio e tutti la conoscono, le concedono il dono di far nascere i figli ma non viene invitata a nessun matrimonio. Perché è Dalit. Finito il suo compito, deve tornare a casa sua. Nessuna relazione oltre. Lei è conscia di essere fonte di contaminazione per le caste superiori, lo accetta come una cosa scontata e predestinata. Intorno a lei ci sono bambini. Difficile che siano quelli che, nel tempo, lei ha fatto venire al mondo.

Siamo in Punjab. Alcune donne tra la polvere spazzano le strade con una grande scopa di saggina. Chiedono perché fare un video su di loro. Tutte Dalit. La polvere si alza senza meta, forse nata apposta per loro.

In Bihar, davanti ad un treno che sfreccia in distanza, le facce scure dei Dalit del luogo. Il loro lavoro è di rimuovere carcasse dai binari ferroviari. “Un treno veloce”, dicono, “spacca un corpo in mille pezzi”; loro raccolgono ogni pezzo, lo ricompongono e lo portano via. Poi vengono fatte delle foto al corpo per un esame post mortem. Trasportano sulle loro spalle organismi morti e dieci giorni dopo puzzano ancora dell’odore della decomposizione. Questa gente lavora sui binari ma non è dipendente delle Ferrovie; solamente raccoglie per loro corpi schiacciati di vacche, cani, gatti e, aggiungo io, forse anche umani. “Facciamo un lavoro sporco”, esclama un ragazzo arrabbiato, “raccogliamo anche la vostra merda. Nessuna casta alta farebbe un simile lavoro. L’Harjian è fatto per soffrire”.

Un intermezzo canta dei lavori faticosi e sporchi dei Dalit che spesso vengono accoltellati agli angoli delle strade. Le immagini non lasciano spazio alla fantasia.

La casta è la spina dorsale della religione induista. La casta non è un sistema discriminatorio sebbene si dica il contrario”, dice un uomo in kurta bianco. “E’ un sistema puramente scientifico e nell’interesse della società che conduce al miglioramento sociale”. Un altro, un santone in giallo, dice di poter meditare per 4 ore mentre per altri è difficile e così per lui risulta difficoltoso fare qualcosa che per altri risulta facile. Questo per dire che ognuno di noi è nato con compiti precisi. “Il sistema dei Varna (caste)”, spiega qualcuno, “è in uso da millenni e se si crede alla verità dei testi sacri come i Shatras, i Veda e le Upanishad, allora si deve credere al sistema castale. Una tradizione che va avanti da secoli entra nel sangue; ad esempio non occorre insegnare ad un pesce a nuotare e il figlio di un barbiere ha una innata capacità a tagliare i capelli”.

La legge di Manu (1000 A.C.) al capitolo 1 verso 91 afferma: il Signore ha assegnato solo un compito al servo: servire le altre classi senza risentimento.

Ecco perché il santone sostiene che anche l’intoccabilità appartiene alla tradizione e che l’andare contro il sistema porta massacri tra le persone.

Torniamo in una pianura attraversata da un treno. Ci sono bambini, scurissimi e piccolissimi, che lavorano. Con un lungo punteruolo scardinano il prato e la terra per estrarre e selezionare qualcosa (pietre?). Dicono di non andare a scuola. Sono Dalit.

Poi ancora il bramino di Benares. Lui, dice, non ha il diritto di guidare un aeroplano e, se insistesse nel farlo, qualcuno proverebbe ad abbatterlo. Cosi un Shudra (un servo) non ha diritti. Dio ha creato le caste e l’intero universo ed ha prescritto lavori precisi per ognuno. Un voce (l’intervistatore) ribatte “ci sono lavori che possiamo imparare a fare”… Ma l’altro non si fa convincere e ribadisce che questo è il risultato delle molte nascite di ognuno e per questo si nasce femmina o maschio, si ha la pelle bianca o nera. E’ il risultato del karma.

Giusto in due, forse troppo semplicistiche, parole, il Karma è la legge di causa effetto che regola l’azione umana ed è a base della teoria della reincarnazione, secondo cui è il comportamento che l’uomo ha tenuto sulla terra a determinare la condizione (e anche la casta) in cui la sua anima rinascerà.

Poi la scena va su cartelli di protesta: “Ritirate il sistema di riserva dei posti per i sottocasta (andate a casa e rispettate i bramini!)”. Le persone Non-Dalit sentono come una discriminazione nei loro confronti le quote, ad esempio nei lavori pubblici e nell’accesso all’università, che il governo riserva ai Dalit.

Quattro bambine si presentano. Camminano tra le pozzanghere proteggendo i modesti vestiti per non bagnarli. Vanno a scuola. Paiono fiere di essere riprese e c’è in loro quella eleganza innata delle donne indiane. Ma, raccontano, oltre a studiare devono anche fare i lavori, pulire tutt’intorno alla scuola. I loro compiti sono divisi per giorni. Dicono, con il sorriso, che i Non-Dalit non fanno lavori, non devono lavare non devono preparare il tè. Mostrano le classi. Sanno fare bene il te, ci vuole solo acqua, tè e zucchero cui va aggiunto il latte quando il resto bolle. Poi mostrano le toilets (latrine), divise tra maschi e femmine. Le conoscono bene perché puliscono anche quelle. Ogni giorno. Se non lo fanno vengono picchiate. Vanno con spazzole e secchi e lavano finché tutto è pulito. Devono versare venti secchi d’acqua ogni volta.

Uno studente Dalit ha dato il suo esame in una scuola cristiana ma il preside non lo ha promosso alla classe superiore. Non gli è stato permesso frequentare la scuola, racconta un uomo sotto una capanna. Sua madre ha chiesto a quest’uomo di incontrare il preside che però ha risposto che il ragazzo è stupido. Al ragazzo non piaceva andare a scuola perché non voleva pulire le latrine, dice la madre. Lei ha messo il figlio a scuola affinché non dovesse pulire i bagni come lei. Ma, dice, è esattamente quello che faceva. Cosi, si è rifiutato di andarci.

Un villaggio pieno di voci di bambini che corrono sorridenti con in mano i loro piatti per il pranzo. Gli scolari si dispongono seduti in fila per mangiare. Ma al bambino Dalit questo non è permesso. Lui non va mai al pranzo della scuola per non contaminare i suoi compagni Non-Dalit. Dovrebbe sedersi lontano da loro e, poiché si vergogna, preferisce non andare a mangiare. Se si siede con loro, dice, si alzano e se ne vanno.

Un gruppo di bimbi seduto per terra. Lontano dagli altri. Anche loro sono Dalit. “Siamo Dalit e fatti per sedere dietro agli altri”, dicono. E’ l’insegnate che li tratta come intoccabili. E’ lui a decidere che debbano stare dietro gli altri. Li chiama conciatori di pelli. Tra i bambini Dalit, aggregati accanto ad un muro, uno non lo è. L’insegnante, che afferma di non essere Dalit, dice di non praticare l’intoccabilità ma viene subito smentito dai ragazzi e dai genitori di alcuni di loro. “L’insegnante sta mentendo”, urlano. Forse quel bambino Non-Dalit non si trova lì per caso. Forse doveva essere la conferma che in quel luogo tutti sono uguali?

E poi un uomo, Dalit, intervistato a casa sua, sostiene che “quando a qualcuno fai il lavaggio del cervello fin dall’infanzia e gli dici che lui è inferiore e quelli sono superiori …. se ascolta questo per 25 anni, come si sviluppa la sua mente? Quando porto mio figlio a scuola mi chiedono la mia casta; ma io non la dico. Perché dovrei fare sentire mio figlio inferiore agli altri? Cosa ha il figlio di un bramino che mio figlio non ha?

Il bramino di Benares non si convince. Insiste nell’affermare che un fattorino non può diventare un giudice solo perché ha lavorato in tribunale per 40 anni. Non ha nessun diritto. Un fattorino rimarrà sempre un fattorino. E un shudra (servo) sarà sempre un servo.

New Delhi, la capitale, moderna. Una ragazza Dalit dice di avere un’amica bramina di cui si è presa cura durante la scuola. Ma quando l’altra conosce che lei è Dalit, la accusa di aver contaminato il suo Dharma con le sue cure.

In un’India che cresce vorticosamente qualcosa (non poco) non ce la fa a superare il muro della tradizione.

Testo PASSOININDIA

questo articolo è pubblicato anche sulla rivista mensile on line dal 2003  www.operaincerta.it che vi invito a visitare.

L’immagine di apertura è tratta dal sito http://archive.marcusperkins.com/page1

Dalit. (parte 1)

Dall’ultimo censimento indiano del 2001, i Dalit (che dal sanscrito significa “schiacciato”, “a pezzi”) risultano essere circa 167 milioni, oltre il 16 per cento della popolazione totale. I Dalit sono persone (dico persone) che appartengono a varie etnie (anche aborigene), religioni (ma prevalentemente induisti) e lingue. Sono coloro che svolgono lavori considerati impuri, quali, ad esempio, la conciatura di pelli, lo scavo di tombe, la rimozione di carcasse di animali e di rifiuti, la pulizia di strade, latrine e fogne, ed, in generale, qualunque lavoro che venga a contratto con liquidi e residui umani e animali.

Va premesso che, in India, il tipo di casta cui si appartiene determina lo status sociale e le relazioni tra le persone (quando si combina un matrimonio lo si fa accuratamente tra sposi della stessa casta). Ma i Dalit non sono “classificabili” in nessuna delle quattro caste ufficiali in cui si divide la società indiana (la casta più bassa è quella dei servi o shudra) (per approfondire rimando all’articolo sul blog PASSOININDIA (https://passoinindia.wordpress.com/2012/11/10/il-sistema-delle-caste-in-india-caste-system-in-india/).

Per questo sono chiamati “i fuori casta” o “quinta casta”.

Li chiamano anche “intoccabilì” perché ritenuti contagiosi, non per la salute, ma per il Dharma collettivo ed individuale, inteso come l’insieme delle norme che sostengono l’armonia dell’Universo. Infatti, “l’essere umano che adempie al Dharma, così come esposto dal canone rivelato e dalla tradizione, ottiene fama in questo mondo e incomparabile felicità dopo la morte”, così come è scritto sul Manusmitri. (II, 9). Questo antico testo indu che significa “Codice di Manu” (Manu è figlio del supremo Dio Brahma e capostipite dell’Umamità), databile (ma non è certo) tra il II° secolo a.C. e il II° secolo d.C., definisce le classi sociali nell’induismo e ne stabilisce le regole proprie. Nel Codice, gli Shudra che pure appartengono ad una casta, la più bassa, la quarta, sono definiti come “disprezzabili” e loro stessi “intoccabili”. La discriminazione dei Dalit, che non appartengono ad alcuna casta, è a maggior ragione supportata dai precetti che ivi sono dettati e che di fatto legittimano l’esclusione e la disuguaglianza come principio conduttore nelle relazioni sociali basate sul sistema castale. Questi “intoccabili” sono quindi tenuti in disparte dalla vita sociale e addirittura isolati in abitazioni lontane dal villaggio principale; a loro è impedita l’entrata al tempio, la frequenza delle scuole e l’utilizzo di sorgenti di acqua e di altri servizi pubblici. Ogni contatto fisico con le persone di casta è accuratamente evitato. Secondo il Manusmitri: “Gli uomini delle caste superiori che, nella loro follia, sposano una Shudra, presto degraderanno le loro famiglie allo stato di Shudra”. Nelle zone urbane qualcosa oggi è cambiato e la convivenza tra caste e fuori casta sembra risultare meno problematica. Grazie ad interventi legislativi i Dalit ricoprono anche cariche importanti a livello governativo e politico (circa l’8% dei seggi nei parlamenti nazionali e statali è riservato a loro), hanno diritto all’assistenza sanitaria e all’istruzione; possono accedere a concorsi pubblici e a corsi universitari grazie a quote loro riservate. Il che non è particolarmente gradito alle persone di casta che ravvisano in queste “riserve” una discriminazione al contrario. Del resto, la Costituzione indiana del 1951 vieta la discriminazione per intoccabilità dei Dalit ed ha disposto misure dirette al loro miglioramento sociale ed economico. Ambedkar, uno degli interventisti nella formazione della Costituzione, Dalit anche lui, prima di morire e convertirsi al buddismo, rinnegò la sua prima religione, l’induismo, secondo lui colpevole di aver incoraggiato le disuguaglianze per casta. Eppure, la storia insegna che l’emarginazione dei Dalit non finisce, anche se si convertono ad un’altra religione diversa dall’induismo perché, anche in quel caso, le regole della casta superano il dogma religioso e le caste dominanti non esitano a far valere la loro supremazia. Basti pensare che per i Dalit cristiani e per i Non-Dalit cristiani sono previsti cimiteri separati.

I Dalit, secondo le regioni in cui abitano, assumono nomi diversi, Paria, Harjian’s (figli di Dio), ecc.

Il 37 % dei Dalit vive ben al di sotto della soglia di povertà. Più del 54 % dei bambini dalit sono denutriti. Il 45 % dei Dalit non sa leggere o scrivere. 1/3 delle famiglie dalit non dispone dei servizi di base. Gli operatori sanitari pubblici si rifiutano di visitare case Dalit. Nel 27,6 % dei villaggi ai Dalit è impedito di entrare stazioni di polizia. Nel 37,8 % delle scuole governative i bambini Dalit devono sedersi separatamente anche mentre si mangia. Nel 23,5 % dei villaggi in India, i Dalit non ottengono in consegna la posta. Nel 48,4 % dei villaggi Dalit è stato negato l’accesso alle risorse idriche perché sono “intoccabili”.(fonte:http://www.salem-news.com/articles/january042013/india-raped-sw.php)

TESTO PASSOININDIA  (anche con l’ausilio di info sul web)

QUESTO ARTICOLO E’ PUBBLICATO ANCHE SU “OPERAINCERTA” RIVISTA MENSILE ON LINE fondata nel 2003                                        

http://www.operaincerta.it/archivio/105/archindex.html

che vi invito a visitare. 

Staffetta nr. 3

Carla http://ladimoradelpensiero.wordpress.com/ ha iniziato La staffetta dell’Affetto, per chi crede nella forza dell’amicizia, nominando Marco http://ipensierielepoesie.wordpress.com come staffettista n.2 di questa maratona. Questo il dono di Carla a Marco:A te, che giorno dopo mi fai conoscere la spiritualità profonda dell’India, dedico una profonda amicizia, augurandomi che questa corsa attraversi tutti i continenti di questo bellissimo luogo di passaggio che è la Terra”.

Marco ha consegnato a me PASSOININDIA la “Staffetta” al NR.3 “Passoinindia https://passoinindia.wordpress.com allegando un abbraccio e un sorriso:A te, che giorno dopo mi fai conoscere la spiritualità profonda dell’India, dedico una profonda amicizia, augurandomi che questa corsa attraversi tutti i continenti di questo bellissimo luogo di passaggio che è la Terra”.

PASSOININDIA  passa il testimone a BORTOCAL

http://bortocal.wordpress.com

 che diventa il numero 4. “A te, uomo d’altri tempi, fuori dal comune ma pienamente dentro la vita. Uomo saggio, un poco brontolone, che merita ascolto perché ha molto  da donare”.

Borto, passa il testimone. grazie, le regole sono queste:

Le regole per partecipare sono le seguenti:

  • menzionare chi lo ha consegnato

  • indicare il nr. Progressivo

  • dedicare un pensiero affettuoso, a scelta, a chi, spero, vorrà proseguire la “corsa”

  • avvisarlo

RAGPICKER

 Dallo scrigno di POESIE  dell’amico Marco

(http://ipensierielepoesie.wordpress.com/)

ho tratto questa bellissima poesia.

Ringrazio Marco di averla scritta.

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RAGPICKER

Giovani anime derelitte

nei loro sguardi la serietà di un vecchio

giovinezza bruciata tra montagne di rifiuti

nelle discariche che la vita ci regala.

 

Persi sono i loro anni migliori

per uno sputo di sopravvivenza

umiliati nel cuore

da disprezzabili genti.

 

Tutto il giorno a sbattersi

per poche rupie

per un misero pasto

che non riempirà la loro magrezza

ma sazierà la loro dignità.

(Fantuzzi Marco)

***

per saperne di più leggi

“RASHMI CHE RACCOGLIE RIFIUTI”

https://passoinindia.wordpress.com/2014/03/04/rashmi-che-raccoglie-rifiuti/