Piplantri, gli alberi delle bambine

Ogni cultura ha le sue tradizioni che circondano la nascita di un bambino.

Nel villaggio indiano di Piplantri, nello Stato del Rajasthan, è usanza piantare ben 111 alberi ogni volta che nasce una bambina! Non è cosa da poco considerato come, in gran parte dell’India, la nascita di una figlia è da sempre considerata un peso per una famiglia. Essa infatti dovrà provvedere alla sua dote, propedeutica al suo matrimonio, che in India è quasi sempre combinato e costoso. La sposa andrà vivere nella famiglia dello sposo mentre il maschio, dopo l’unione, resterà con la famiglia di origine continuando a contribuire al suo sostentamento. Nei villaggi rurali era usanza fino a poco tempo fa sposare le figlie anche prima della maggiore età senza quindi dare loro una educazione completa. Insomma, in India le donne non hanno e non danno vita facile. A Piplantri si va controcorrente e si continua a seguire un’ usanza che Shyam Sundar Paliwal, ex leader del villaggio, cominciò in onore della figlia morta prematuramente. A Piplantri, quando nasce una bambina, i membri del villaggio si riuniscono per onorarla e offrono denaro. I genitori contribuiscono per un terzo della somma di 31.000 rupie, equivalenti a $ 500, e il denaro viene accantonato in un fondo ventennale per la ragazza. Ciò garantisce che la neonata, anche quando sarà adulta, non sarà mai considerata un onere finanziario per i suoi genitori. Essi, in cambio, sottoscrivono un accordo legale impegnandosi a maritare la figlia solo dopo la maggiore età e dopo un’istruzione adeguata e a prendersi cura dei 111 alberi piantati in suo onore.

Nel corso degli ultimi sei anni, a Piplantri sono stati piantati un quarto di milione di alberi. Gli abitanti del villaggio vivono nell’armonia che questa tradizione ha portato alla loro comunità. La criminalità è diminuita, la comunità si garantisce il sostentamento e le bambine sono amate.

Passoinindia.

Il calcio in India

Un interessante articolo  (e immagine) tratto da http://romanzosportivo.altervista.org/calcio-incastrato-calcio-india/

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Chi ha incastrato il calcio in India?
Tra le molte nazionali che non si sono qualificate ai Mondiali, tra cui la nostra povera Italia, c’è una squadra che non è stata e non sarà nemmeno considerata: l’India. E ciò è un peccato perché l’involuzione calcistica (ma anche sociale, politica ed economica come vedremo tra poco) merita un’attenta analisi che seguirà due direttrici principali: da una parte bisogna prestare attenzione al campionato Nazionale indiano, dall’altra occorre ripercorrere la storia della Nazionale con i suoi molti fallimenti ed i suoi rarissimi successi. Ma ci vuole un’introduzione socio-politica per provare a comprendere meglio un paese misterioso. Pronti?


Un Paese incomprensibile.
Il subcontinente indiano può contare su più di un miliardo di abitanti e su un sistema democratico consolidato che fa diventare la “perla della corona” (come veniva chiamata quando c’era ancora l’impero Britannico) la più grande erede del modello politico fondato ad Atene. Nei primi anni 2000 tutti gli economisti si aspettavano un’esplosione positiva dei due giganti asiatici, la Cina e l’India. La prima ha tenuta fede alle pretese e si è elevata a rango di superpotenza, la seconda ha tradito le attese per un difetto-pregio che l’India possiede: è visceralmente attaccata alle proprie tradizioni. In un Paese che è abituato ad andare ad un ritmo tutto suo e che, per fare un esempio, crede ciecamente nel sistema delle caste, una crescita economica poderosa come quella della vicina Cina è praticamente impossibile. In questo contesto generale è inserito il sistema calcistico, una novità che l’India, paese tra i più contraddittori ed anche tra i più tradizionalisti, non era disponibile ad accettare.

Il monopolio del cricket ed un campionato che non decolla.
Per analizzare il calcio indiano bisogna cominciare da una verità incontrovertibile: il cricket è, di gran lunga, lo sport più seguito ed anche quello che caratterizza questa Nazione. Centinaia di milioni di persone seguono le partite dello sport nazionale ed i migliori giocatori sono venerati come semi-dei. In questo contesto di monopolio assoluto, hanno cercato di introdurre il calcio. “Hanno” perché la nuova lega indiana, nata nel 2014, è inserita nel progetto di espansione iniziato da Blatter e portato avanti da Infantino (si veda la riforma per l’ampliamento del Mondiale a 48 squadre). L’Italia ha avuto un ruolo tanto importante quanto breve in questa avventura. Del Piero e Materazzi hanno militato ed allenato in questo campionato, e la Fiorentina ha acquistato una squadra per esplorare un mercato potenzialmente ricchissimo. Nell’estate del 2014 i titoloni sui giornali in Italia erano entusiasti e sembravano aver scoperto il nuovo mondo calcistico che aveva trovato nel Subcontinente una frontiera inesplorata.  L’euforia è durata troppo poco, investimenti sempre più radi ed interesse internazionale precipitato. Poi c’è l’eterna rivalità con la Cina. Il campionato cinese di calcio ha superato quello indiano ma la sconfitta dell’India si è estesa su tutti i fronti. L’esplosione economica non è avvenuta ed i vecchi problemi (stupri e divisioni in caste su tutti) non sono stati risolti e ciò si ricollega allo spirito tradizionalista di un Paese unico nel suo genere. Così si arriva al 2017, adesso qualcuno sente parlare dell’Indian Super League?

Una nazionale insoddisfacente.
Il periodo d’oro della nazionale indiana è quello che va dal 1962 al 1970 ma la storia più incredibile è quella del Mondiale 1950. Siamo in Brasile, è il campionato del Maracanazo, e l’India è riuscita a qualificarsi. Ma rinuncia al Mondiale. Il perché di questo “gran rifiuto” è un mistero ma, a noi posteri, sono state tramandate due versioni. Una  “nazionalista” ed una più assurda ma più probabile. La prima versione afferma che l’India, dopo aver visto il girone in cui era presente anche e soprattutto l’Italia del blocco “Gran Torino”, abbia rinunciato temendo una debacle clamorosa. La seconda versione narra che i giocatori dell’India abbiano rinunciato perché la FIFA aveva intimato di giocare con le scarpe ai piedi, cosa insostenibile per i fieri indiani che erano orgogliosi del giocare scalzi. Quindi l’India si ritira dall’unico mondiale a cui si era qualificata. Ma, come già detto, il periodo d’oro sono quei otto anni tra il ’62 ed il ’70. L’apice è il quarto posto ai Giochi Olimpici del 1956, poi ci sono una medaglia d’oro ai Giochi Asiatici, un quarto ed un terzo posto (sempre in questa competizione)  tutto compreso tra 1962 ed il 1970. Dopo ciò un vuoto che ha fatto allontanare i tifosi indiani dalla passione per il calcio in concomitanza con un Medioevo calcistico che attende ancora un Rinascimento che tarda ad arrivare. I colpevoli sono parecchi: in primis un’organizzazione dei vivai inesistente, poi la presenza di allenatori “autoctoni” completamente impreparati ed il conseguente afflusso di allenatori stranieri che cercano solo di ottenere l’ingaggio più alto possibile. La stessa cosa vale per i giocatori “forestieri”, interessati solo all’ingaggio e subito pronti a fare le valigie. Parlando sempre di chi sta in campo, il livello medio degli indiani è bassissimo e non ci sono talenti in grado di prendere per mano una squadra depressa. Siamo ad un bivio, cosa vuole fare da grande l’India calcistica?

Può sembrare un’analisi  pessimista che sembra non lasciare spazio nemmeno ad un bagliore di luce. Ma la situazione è veramente così critica. L’argomento di questo articolo potrebbe sembrare fine a sé stesso ma l’involuzione dell’India trascende il calcio e si immerge in una riflessione più globale su cos’è l’India. Come già detto, l’India non si è elevata al rango delle superpotenze perché non ha superato le sue tradizioni. La Cina, ad esempio, ha sacrificato la sua tradizione contadina sull’altare della globalizzazione. L’India non ha voluto farlo e questa non è una sua colpa ma, al contrario, è un atto di coraggio che testimonia la fierezza di quel Paese che una volta era definito il gioiello della corona.

Interamente tratto da
http://romanzosportivo.altervista.org/calcio-incastrato-calcio-india/

 

Le buonissime SAMOSA (street food)

Questo popolare street food pare sia nato in Medio Oriente, ma grazie ad antichi scambi commerciali è diventato uno degli snack più apprezzati della cucina asiatica. I samosa di verdure sono una variante vegetariana fra le più comuni e diffuse: consistono essenzialmente in un fragrante guscio di pasta che viene fritto e farcito con un mix di patate e verdure estremamente personalizzabile, a cui possono essere aggiunti anche carne o legumi, a seconda della provenienza o della religione della famiglia che li prepara. Poiché non esiste una ricetta ufficiale, noi abbiamo deciso di proporvi una versione vegana del ripieno composta da patate, piselli, cipolle e anacardi, ma voi potete adattarla ai vostri gusti aggiungendo o togliendo gli ingredienti che più preferite!

PER 8 SAMOSA

PER LA PASTA farina 00 250 g / acqua 100 ml / olio di semi 50 ml / sale 1 pizzico,

PER IL RIPIENO patate 370 g / pisellini 107 g / anacardi 35 g / zenzero fresco 27 g / cipolla ½ / aglio 2 spicchi /  peperoncino fresco ½ /cumino ¼ cucchiaino /curcuma in polvere ¼ cucchiaino /peperoncino in polvere 1 pizzico / olio extravergine oliva 10 g /sale q.b.

Friggere in abbondante olio di semi (1 lt)

Per preparare i samosa, per prima cosa lavate e sbucciate le patate, poi mettetele a lessare in una pentola di acqua bollente per 35 minuti. Mentre le patate cuociono, potete occuparvi dell’impasto dei samosa: in una ciotola capiente, unite la farina, il sale e l’olio di semi e cominciate ad amalgamare gli ingredienti con la punta delle dita. Poi aggiungete l’acqua poco per volta, continuando a impastare con le mani, fino a che non otterrete una pallina di impasto piuttosto liscio ed elastico. Coprite la ciotola con un canovaccio e passate alla preparazione degli ingredienti per il ripieno: tagliate il peperoncino fresco a metà per il lungo, rimuovete i semi con la lama di un coltello e tagliatelo a pezzettini; sbucciate la cipolla e tagliatela a falde sottili, poi tritate grossolanamente gli anacardi con un coltello. Trascorsi i 35 minuti di cottura, scolate le patate e passate alla preparazione del ripieno. Scaldate l’olio d’oliva in una casseruola, aggiungete l’aglio schiacciato, lo zenzero grattugiato e il peperoncino fresco e fateli rosolare a fuoco medio per un paio di minuti, mescolando spesso. Ora unite la cipolla al soffritto, insieme al peperoncino in polvere e alla curcuma  e lasciateli rosolare per qualche minuto, mescolando spesso. A questo punto aggiungete le patate lessate intere e schiacciatele grossolanamente con il mestolo. Dopo 6-7 minuti unite i piselli e lasciateli cuocere per circa 3 minuti, poi spegnete il fuoco e aggiungete gli anacardi tritati e il cumino, mescolate bene e aggiustate di sale. Quando il ripieno è pronto, riprendete la pallina di impasto e dividetela in 4 parti uguali: stendete ognuna di esse con il mattarello fino a formare un cerchio del diametro di circa 20 cm. Tagliate il cerchio a metà, prendete uno dei 2 semicerchi ottenuti e posizionatelo davanti a voi con il lato diritto verso l’alto. Spennellate il lato superiore sinistro con dell’acqua, poi piegatelo e portatelo verso il centro del semicerchio.

Spennellate con l’acqua il bordo dell’impasto che ora si trova sulla metà del semicerchio, poi portate verso il centro anche l’estremità destra, facendo combaciare i due lati e premendo delicatamente per incollarli. In questo modo avrete formato un cono: sollevatelo con delicatezza e sistematelo nell’incavo della vostra mano, poi riempitelo con il ripieno fino a un paio di cm dal bordo. Premete i bordi con le dita per sigillare l’apertura, poi ripiegate il bordo su se stesso e premete ancora una volta per sigillarlo ulteriormente.

Quando tutti i samosa saranno assemblati, riscaldate l’olio di semi in un pentolino fino a raggiungere la temperatura di 170°, poi friggete un pezzo per volta (o al massimo 2, per evitare che la temperatura dell’olio si abbassi) per circa 3 minuti girandolo su entrambi i lati. Quando il samosa avrà assunto una bella colorazione dorata, scolatelo con una schiumarola e trasferitelo su della carta assorbente per assorbire l’olio in eccesso. Una volta fritti, i vostri samosa sono pronti per essere serviti e gustati ben caldi!

Non esiste una ricetta ufficiale dei samosa! Lo spuntino indiano più amato può essere personalizzato nei modi più vari, sia per quanto riguarda la composizione dell’impasto che del ripieno, a partire dal mix di spezie, che può includere comunemente anche il coriandolo, la cannella o il garam masala, per finire con l’ingrediente principale: se preferite rimanere su una versione vegana, potete arricchire la nostra proposta di ripieno con dei legumi già cotti, come i ceci o le lenticchie, funghi o altra frutta secca; per una versione non vegetariana, invece, potete utilizzare la carne d’agnello, piuttosto comune nella cucina indiana, oppure della carne di manzo o della salsiccia! Se avete bisogno di velocizzare i tempi di preparazione, potete sostituire l’impasto con della pasta fillo già pronta oppure della pasta sfoglia.

Buon appetito! E se andate in India, non dimenticate di assaggiarle!

vuoi viaggiare con noi? http://www.passoinindia.com

 

La ricetta è stata tratta da “Giallo zafferano”

https://ricette.giallozafferano.it/Samosa.html