Ram Setu, il ponte del mistero (con uno sguardo al Ramayana)

il “ponte” dall’alto

L’isola di Pamban nel Tamil Nadu, in India, è collegata all’isola di Mannar, nello Sri Lanka, da una “strada” particolare che fa discutere da sempre. E’ una striscia di terra, chiaramente visibile da una vista aerea, che attraversa lo stretto di Palk, cioè il mare. E’ chiamata Ram Setu, Rama’s Bridge, Adam’s Bridge, Nala Setu e Setu Banda. Ognuno dei suoi nomi la collega ad una storia diversa che accompagna credenze differenti, religiose e scientifiche.

Gli indu infatti credono che si tratti del ponte di cui si parla nel grande poema epico di Vālmīki, il Ramayana (nucleo originario: VI – III secolo a.C.), che racconta di Lord Rama, avatar del dio Vishnu e principe ereditario del regno dei Kosala, che viene allontanato dal suo trono per ben 14 anni. Durante l’esilio nella foresta di Daṇḍaka, popolata dai demoni (rākṣasa), sua moglie Sita viene rapita da Ravana, re di Lanka, il demone con dieci teste e venti braccia. Così Rama, con il suo esercito di vanara (scimmie divine) e di guerrieri scimmia (tra cui Hanuman, il dio con la faccia di scimmia), vuole arrivare in Sri Lanka dove Ravana ha imprigionato Sita. Egli quindi, per attraversare il mare, invoca l’aiuto di Varuna, il dio dell’Oceano; poiché la sua richiesta rimane inevasa, Rama comincia a prosciugare il mare. Varuna, impaurito, gli suggerisce di farsi aiutare dal varana ingegnere Nala a costruire un ponte che attraversa l’oceano fino a Lanka. Così tutte le scimmie gettano in mare tronchi di alberi abbattuti e grandi massi galleggianti e, in cinque giorni, realizzano un ponte lungo molti chilometri. Rama ed il suo esercito riesce così arrivare a Lanka, dove affronta ed uccide in duello Ravana, tornando così vincitore ad Ayodhyā, capitale del suo regno, dove finalmente viene incoronato re.

Perciò il “ponte” è chiamato anche Ram Setu e Nala Setu.

scena del Ramayana

Il nome Adam’s Bridge deriva invece da alcuni antichi testi islamici che si riferiscono al Adam’s Peak in Sri Lanka, un picco dove si suppone che Adamo espulso dal giardino dell’Eden dopo aver mangiato il frutto proibito, sia caduto sulla terra; egli avrebbe cercato di raggiungere l’India attraverso il ponte (naturale) che oggi porta il suo nome.

Per la scienza si tratta invece di un ponte naturale antichissimo (ma non c’è univocità sull’epoca di formazione) costituito naturalmente da secche calcaree e barriere coralline. Per alcuni le rocce avrebbero 7.000 anni e il banco di sabbia inferiore costituitosi successivamente, 4.000 anni. Il motivo per cui i massi fluttuerebbero sarebbe riposto nella loro composizione, la pomice.

dal satellite

Per alcuni il ponte è artificiale, creato dall’uomo. Per altri, come il geologo indiano N. Ramanujan, sarebbe il risultato di un processo di sedimentazione: lo Stretto di Palk e il Golfo di Mannar appartenevano allo stesso bacino, ma si separarono gradualmente a causa dell’assottigliamento della crosta terrestre. Ciò ha portato allo sviluppo di una cresta, che ha aumentato la crescita dei coralli nella zona. Questi coralli hanno poi continuato a intrappolare la sabbia che quindi è più giovane.

Quel che è certo è che esso è da sempre un ostacolo alla navigazione attraverso lo stretto di Palk, perché le navi più grandi provenienti da ovest, per raggiungere l’India orientale, hanno sempre dovuto circumnavigare lo Sri Lanka.

Oggi il Setu Samudram Project si propone di costruire un vero e proprio ponte sullo stretto di Palk, ritenuto un sacrilegio per gli indu ed un danno naturalistico per gli ambientalisti.

testo by PassoinIndia

Tempio indu: devoti e devozione

Quando si visita un tempio indu è impossibile non rimanere affascinati da tutto quanto “gira” attorno alla sua figura, compreso l’interno che ospita la divinità principale. Come in altre religioni, la pulizia fisica è parte integrante del culto religioso e per questo i devoti entrano nel tempio dopo un bagno rituale al serbatoio della struttura o presso un fiume. Portano offerte e eseguono la pradakshina, una circoambulazione in senso orario (la parola infatti significa a destra) dell’edificio principale. Questo rito, conosciuto similarmente anche nel Buddismo, conduce simbolicamente i devoti attorno ad una miniatura del cosmo e viene praticato anche in luoghi dove non esiste un tempio se lì, secondo credenza, è presente la divinità, ad esempio su una collina, attorno a Agni, il fuoco sacro (come anche si fa durante una cerimonia nuziale indu), alla pianta sacra Tulsi e all’albero sacro Pipal. Gli induisti si muovono lentamente attorno al santuario, mostrando rispetto verso gli idoli installati lungo il percorso e alle figure nelle nicchie del tempio, tutte manifestazioni dell’immagine del dio che si trova all’interno. Le figure sul muro del tempio ricordano ai fedeli di essere state create per aiutarli nella preghiera, per offrire l’ immagine di un superiore, onnipotente, informe e non manifesto potere.

Come i bambini in una casa, gli dei del tempio vengono svegliati ogni mattina, vestiti, alimentati con le offerte dai sacerdoti bramini. Ci sono sacerdoti ereditari designati secoli fa a mantenere il tempio, ai quali re e signori assegnarono terre e regali per la loro sussistenza. A seconda delle stagioni gli dei sono vestiti in abiti di differenti colori che simboleggiano la celebrazione festiva. In alcuni templi ricchi come a Tirupati (Andra Pradesh) i gioielli che adornano le principali divinità costano milioni di rupie, mentre nei poveri templi dei villaggi la divinità è adornata con semplici fili di perline. Una volta che la divinità è vestita vengono aperte le porte del tempio ed i devoti arrivano ad offrire frutta e fiori. Anche l’accensione delle luci nel tempio ha un grande significato simbolico perché rappresenta l’eliminazione dell’ignoranza e dell’oscurità e quindi del potere del maligno. La saggezza è evocata con l’accensione e lo sventolio delle lampade, spesso bellissime, e delle fiammelle delle candele affinché i fedeli ricevano il darshanIl gioco delle luci sulla divinità nella scura stanza della grabha griha esalta il concetto della divinità all’interno dell’individuo. Agli dei vengono fatte offerte simboliche dei cinque elementi della natura (simboleggianti anche i cinque sensi): l’acqua, da cui deriva la vita, i fiori, simbolo di crescita e prosperità, la frutta, l’emblema del compimento e ricompensa per il lavoro, l’incenso, che, con dolci fragranze, riempie l’aria che dà la vita, e lo scampanellio delle campane che sveglia gli dei e risuona in quello spazio comune in cui tutti coesistiamo. Ogni divinità ha le sue offerte preferite. Alcune divinità femminili amano l’odore del sangue e così in alcuni templi del Nepal e dell’ India vengono compiuti sacrifici. Ma, per fortuna, nella maggioranza dei casi il sangue di vittime sacrificali (animali) è stato sostituito da polvere rossa che viene spalmata sulla fronte delle divinità a significare il suo potere a riprodurre e sostenere la vita. Shiva ama le offerte di latte ed essere bagnato con l’acqua.

Nel tempio si medita, si recitano le scritture e i mantra, si cantano gli inni sacri ma soprattutto, anche più volte al giorno, nella scura garbha griha si fa la puja, un rituale di adorazione della divinità che viene lavata mentre le si offrono doni. Alla fine della celebrazione, ha luogo l’arati e il fuoco dei lumini illumina l’immagine della divinità. Il momento conclusivo, alto e personale, è il darshana, quando il fedele raggiunge la “visione” di Dio. Dopo la preghiera i bramini distribuiscono il prasad che simboleggia le benedizioni degli dei in forma di polvere rossa (se divinità femminili) o cenere (nel caso di Shiva) insieme ad altre cose come dolci o frutta che quindi ritornano ai devoti come simbolo di abbondante grazia della divinità. Quando i devoti ricevono le benedizioni essi possono fare offerte di gioielli o abiti per le divinità o offrire i loro servizi come cantare o suonare strumenti musicali durante le festività. Ma il tempio è soprattutto il principale luogo di aggregazione e scambio culturale per le comunità indu. Le donazioni contribuiscono a creare nuovi padiglioni o mandaps, ovvero delle strutture, parti integranti del tempio, realizzati solitamente su colonne, aperti o chiusi da pareti; essi conducono all’ingresso del tempio, anche se nei templi più grandi possono essere posti ai lati o staccati all’interno del complesso templare. Gli antichi templi dell’Orissa e del sud India hanno un nat o un mandap per le danze, un bhoga mandap per la distrubuzione di cibo, un kalyana mandap per condurre la cerimonia di matrimonio degli dei e altri festival per i quali il tempio è famoso. Dentro il perimetro templare possono trovarsi altri piccoli templi dedicati a divinità correlate a quella principale (ad esempio in un tempo shivaista, le principali divinità correlate sono Parvati, sua moglie, Ganesh e Kartikkeya, i suoi figli.) 

struttura-del-tempio-indu

A volte, posto su una colonna di fronte al santuario, come nei templi della valle di Kathmandu, si trova la figura del vahana, altre volte ospitato in un tempio separato, come è stata pratica comune in zone del sud India. Il vahana (letteralmente “ciò che trasporta, ciò che tira”) è l’animale che viene associato ad una divinità come suo veicolo che essa cavalca oppure lo affianca oppure ne possiede un simbolo.

Nel sud India dal XIII° secolo il tempio diventò il cuore della città, dove anche si commerciavano i prodotti portati dai villaggi vicini; ovviamente, tutto intorno vennero installate le sistemazioni per i brahmini, i sacerdoti. Nelle città tempio come Kanchipuram e Thanjavur in Tamil Nadu, ogni cosa è disponibile lungo i confini del tempio: abiti, utensili, fiori, cibo, sete, ceramiche, articoli artigianali e tanto altro. I templi relativamente più piccoli sono comunque un fulcro attorno al quale gira la vita quotidiana, quella stessa che l’induismo ha fatto innanzitutto una filosofia di vita.

by PassoinIndia

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