Bellezza e sacrificio. L’offerta dei capelli agli dei

Quanto sono belli, lucidi e fluidi i capelli delle donne indiane! Quale donna non ha mai desiderato averli sulla propria testa? E’ noto che chi non ne è naturalmente dotata può ricorrere a parrucche od extension, l’allungamento artificiale dei propri con altri artificiali o naturali. Alcune si saranno anche domandate da dove arrivino.

Le donne indiane sanno di possedere sotto questo aspetto un dono naturale di bellezza, li curano moltissimo, li adornano, ne fanno cornice preziosa dei loro stupendi abiti e sono probabilmente proprio i capelli a conferire loro quella innata eleganza e femminilità che non fa distinzione di casta.

Ebbene, c’è un luogo (a dire il vero più di uno ma questo è il più famoso), in India, dove le donne si privano della propria chioma per offrirla alla divinità, secondo una antica tradizione che si chiama Mokku. Succede, fin dai tempi antichi, al tempio di Tirupati Balaji, in Andra Pradesh, anche chiamato Bhuloka Vaikuntham, che significa “dimora di Vishnu sulla terra”.

Qui, ogni giorno, migliaia di persone donano i propri capelli. La divinità del tempio è Lord Venkateswara, un avatar (incarnazione) del Dio Vishnu.

Il tempio, la cui costruzione è probabilmente iniziata nel 300 d.C. ,è il più ricco dell’India grazie alla rivendita di capelli e alle donazioni, anche in oro e gioielli, fatte dai devoti alla divinità. Per gli induisti, queste donazioni consentono a Vishnu di ripagare il debito contratto nei confronti di Kubera ed infatti, come sempre, vi è una lunga storia, al proposito, nelle scritture indu. La mitologia racconta (qui, in breve, perché la storia è davvero molto più lunga) che quando Vishnu nacque sulla terra per cercare la sua Lakshmi che lo aveva lasciato, si incarnò in una donna di nome Vakula Devi assumendo il nome di Lord Srinivasa; egli, che viveva in un formicaio, incontrò un giorno Padmavati, figlia di un re Chola nonché reincarnazione sulla terra della dea Lakshmi, di cui, ricambiato, si innamorò. Ottenne il consenso per il matrimonio dagli dei e i denari per la cerimonia da Kubera, il dio della ricchezza che gli concesse un prestito da rimborsare con tanto di interessi entro la fine del Kaliyuga (nell’induismo per Yuga si intende un’era e la Kaliyuga è un’era oscura, di grande decadenza)

I pellegrini, quindi, aiutano il Dio a rientrare dal proprio debito con le loro preziose offerte, capelli compresi. Secondo stime, ogni anno il tempio rivende 75 tonnellate di capelli, per un giro di affari di circa 140 milioni di euro all’anno, il cui utile dovrà essere devoluto in opere di assistenza e beneficienza.

Le donne lasciano così la propria vanità facendosi operare la tonsura, secondo quel rituale che un tempo, ed ora abolito, era anche proprio della cristianità e consisteva nel taglio di cinque ciocche di capelli effettuato dal vescovo, a simboleggiare la rinuncia al mondo da parte del chierico novizio.

Tutto, nell’edificio e locali annessi, è ben organizzato ai fini della tonsura (gratuita): le prenotazioni tramite i gettoni generati dai computer, le sale, le file, il darshan (l’incontro faccia a faccia con la divinità), i moltissimi rasatori (più di mille), gli antisettici per la disinfezione delle chiome, la fornitura di acqua calda per i risciacqui e le strutture ricettive.

Ci sono tagli e capelli di tutti i tipi, fino alla rasatura completa della testa. I capelli più pregiati sono i capelli cosidetti Remy, i migliori perchè raccolti tra loro dal lato della radice e mantenuti tali durante tutta la lavorazione. Se cercate “capelli Remy” in internet, Amazon ve ne offre in gran varietà (!).

Anche la lavorazione dei capelli segue regole precise e anche in questa fase sono molti gli addetti che si occupano di lavare e confezionare una vera e propria montagna di capelli in attesa di essere rivenduti.

L’ingresso al tempio è riservato ai soli induisti ma anche solo l’esterno vale una visita. E’ uno di quei luoghi, come ce ne sono tanti in India, dove si respira una spiritualità autentica.

testo by PassoinIndia

Ram Setu, il ponte del mistero (con uno sguardo al Ramayana)

il “ponte” dall’alto

L’isola di Pamban nel Tamil Nadu, in India, è collegata all’isola di Mannar, nello Sri Lanka, da una “strada” particolare che fa discutere da sempre. E’ una striscia di terra, chiaramente visibile da una vista aerea, che attraversa lo stretto di Palk, cioè il mare. E’ chiamata Ram Setu, Rama’s Bridge, Adam’s Bridge, Nala Setu e Setu Banda. Ognuno dei suoi nomi la collega ad una storia diversa che accompagna credenze differenti, religiose e scientifiche.

Gli indu infatti credono che si tratti del ponte di cui si parla nel grande poema epico di Vālmīki, il Ramayana (nucleo originario: VI – III secolo a.C.), che racconta di Lord Rama, avatar del dio Vishnu e principe ereditario del regno dei Kosala, che viene allontanato dal suo trono per ben 14 anni. Durante l’esilio nella foresta di Daṇḍaka, popolata dai demoni (rākṣasa), sua moglie Sita viene rapita da Ravana, re di Lanka, il demone con dieci teste e venti braccia. Così Rama, con il suo esercito di vanara (scimmie divine) e di guerrieri scimmia (tra cui Hanuman, il dio con la faccia di scimmia), vuole arrivare in Sri Lanka dove Ravana ha imprigionato Sita. Egli quindi, per attraversare il mare, invoca l’aiuto di Varuna, il dio dell’Oceano; poiché la sua richiesta rimane inevasa, Rama comincia a prosciugare il mare. Varuna, impaurito, gli suggerisce di farsi aiutare dal varana ingegnere Nala a costruire un ponte che attraversa l’oceano fino a Lanka. Così tutte le scimmie gettano in mare tronchi di alberi abbattuti e grandi massi galleggianti e, in cinque giorni, realizzano un ponte lungo molti chilometri. Rama ed il suo esercito riesce così arrivare a Lanka, dove affronta ed uccide in duello Ravana, tornando così vincitore ad Ayodhyā, capitale del suo regno, dove finalmente viene incoronato re.

Perciò il “ponte” è chiamato anche Ram Setu e Nala Setu.

scena del Ramayana

Il nome Adam’s Bridge deriva invece da alcuni antichi testi islamici che si riferiscono al Adam’s Peak in Sri Lanka, un picco dove si suppone che Adamo espulso dal giardino dell’Eden dopo aver mangiato il frutto proibito, sia caduto sulla terra; egli avrebbe cercato di raggiungere l’India attraverso il ponte (naturale) che oggi porta il suo nome.

Per la scienza si tratta invece di un ponte naturale antichissimo (ma non c’è univocità sull’epoca di formazione) costituito naturalmente da secche calcaree e barriere coralline. Per alcuni le rocce avrebbero 7.000 anni e il banco di sabbia inferiore costituitosi successivamente, 4.000 anni. Il motivo per cui i massi fluttuerebbero sarebbe riposto nella loro composizione, la pomice.

dal satellite

Per alcuni il ponte è artificiale, creato dall’uomo. Per altri, come il geologo indiano N. Ramanujan, sarebbe il risultato di un processo di sedimentazione: lo Stretto di Palk e il Golfo di Mannar appartenevano allo stesso bacino, ma si separarono gradualmente a causa dell’assottigliamento della crosta terrestre. Ciò ha portato allo sviluppo di una cresta, che ha aumentato la crescita dei coralli nella zona. Questi coralli hanno poi continuato a intrappolare la sabbia che quindi è più giovane.

Quel che è certo è che esso è da sempre un ostacolo alla navigazione attraverso lo stretto di Palk, perché le navi più grandi provenienti da ovest, per raggiungere l’India orientale, hanno sempre dovuto circumnavigare lo Sri Lanka.

Oggi il Setu Samudram Project si propone di costruire un vero e proprio ponte sullo stretto di Palk, ritenuto un sacrilegio per gli indu ed un danno naturalistico per gli ambientalisti.

testo by PassoinIndia

India, la festa dei serpenti (Naga Panchami)

Naga Panchami conosciuto come “Nag Chaturthi” o “Nagul Chavithi” è una festività molto particolare, almeno per l’Occidente dove il serpente (naga) non ha un ruolo proprio accattivante nella cultura popolare. Ed invece in India e in altri luoghi del mondo di fede indu c’è una festa che cade nel mese lunare di Shavran, il quinto ed il più sacro del calendario indu, molto importante per i devoti di Shiva (da cui il nome) con cui si ritiene sia imparentato il serpente.

In tale occasione il Naga è visto come una divinità cui mostrare devozione con rituali e gesti che variano di zona in zona, per domandare benessere alla famiglia. protezione dal morso dell’animale ed anche fertilità. Si offrono ai serpenti, finti o vivi, molto spesso cobra, bagni di latte, la sostanza che in India è simbolo della purificazione ed anche miele, latte, ricotta, burro chiarificato (quando tutti questi elementi sono mischiati insieme si ottiene la panchamrita): ed ancora, fiori, riso, olio di sesamo, acqua di rose, pasta di sandalo, nutrizione dei brahmini, digiuni, mantra (preghiere). Un tempio speciale è quello di Nagachandreshwar a Ujjain nel Madhya Pradesh che apre le sue porte solo una volta all’anno e proprio in occasione del Naga Panchami.

tempio di Nagachandreshwar

In questo periodo i contadini non arano la terra per proteggere i serpenti, memori anche di uno dei tanti racconti popolari che narra di un contadino il cui figlio uccise tre serpenti durante l’aratura; la madre del serpente si vendicò nella stessa notte mordendo il contadino, sua moglie e due figli e morirono tutti; il giorno dopo l’unica figlia sopravvissuta del contadino supplicò, con offerta di latte, la madre del serpente di ridare loro la vita; il serpente li perdonò e riportò in vita la famigliola.

Altri miti legati ai serpenti sono scritti nei testi sacri indu ed uno di questi, nella Bhagavata Purana, racconta della mitica lotta tra il dio Krisha (una forma del dio Vishnu) ed il terribile serpente multiteste Kalia (o Kaliya) che viveva nel fiume Yamuna dove si rifugiò in seguito alla sua cacciata da parte di Garuda, l’uccello del mito che durante il volo canta i Veda ed è nemico di tutti i serpenti. Lì le acque nere del fiume ribollivano per il malvagio veleno di Kalia che teneva chiunque lontano. Un giorno, la palla con cui Krishna ed i suoi amici giocavano su quelle sponde, cadde in acqua. Krisha, contro il consiglio degli amici, si tuffò per recuperarla. Ma Kalia lo strinse nelle sue spire, affondando i denti nel suo corpo, trascinandolo in profondità e cercando di ucciderlo con il suo veleno. Krishna respinse il veleno con la sua mano e rese più grande il proprio corpo, tanto che il serpente dovette liberarlo. Krishna lo trascinò per la coda fino a riva e cominciò a suonare il suo flauto (con cui è solitamente raffigurato), danzando sulle teste della bestia che continuavano a riprodursi fintanto che questa non vomitò tutto il suo veleno e cominciò a morire. Ma le mogli di Kalia supplicarono Krishna di non ucciderlo. Lo stesso Kalia capì che Krishna non era uno qualunque ma una incarnazione del dio Vishnu ed allora chiese il perdono che ottenne promettendo di non fare più del male a nessuno. Da allora Krishna chiese ai devoti di offrire latte e preghiere ai serpenti affinché li liberino dai loro peccati. Ecco perché gli induisti chiedono la protezione del serpente. Le molte teste di Kalia distrutte da Krishna e che nella lotta si rigeneravano rappresentano anche i desideri umani che, pur soddisfatti, continuano a rinnovarsi. L’incidente è ricordato come la “Kalinga Nartana” nel sud dell’India.

Krishna e Kaliya

Un’altra storia da cui nasce l’usanza di dare il latte ai serpenti è il mito del Samudra-Manthan (termine sanscrito che significa “zangolatura dell’Oceano di Latte”) descritto nella Bhagavata Purana, nel Mahabaratha e nel Vishnu Purana, uno dei più belli dell’induismo. Prima della creazione del mondo i Devas (i semimortali dei celesti) su consiglio di Vishnu cercavano l’amrit, l’ambrosia che li avrebbe resi immortali; avevano quindi chiesto aiuto agli Asura (gli antidei) (rakshasa) con cui, per patto, avrebbero diviso quel nettare. Ma esplose dall’oceano il Kalakuta, un veleno mortale così potente che avrebbe potuto distruggere tutto il creato. Per salvarlo, Shiva bevve quel veleno (ecco perché egli è chiamato anche Neelkantha o Nilakanta cioè quello con la gola blu e così e spesso raffigurato) ma alcune goccioline caddero sulla terra e furono proprio i serpenti a consumarle diventando così velenosi insieme a tanti altri animali e piante). Per calmare gli effetti del veleno, i Devas eseguirono quindi il Ganga Abhishek, un particolare rituale in cui latte, miele, frutta ecc. vengono offerti alla dea Ganga (il fiume). Il termine Abhiṣeka o abhisheka in sanscrito significa “fare il bagno alla divinità che si adora” che quindi viene bagnata con queste offerte. Il Nag Panchami è proprio la rappresentazione simbolica di questo mito. Tra l’altro, nel mito della Zangolatura dell’Oceano di Latte, si descrive come fu determinante l’aiuto del re dei serpenti Vasuki (quello che vediamo raffigurato al collo di Shiva), che venne legato alla montagna cosmica (Mandara) collocata nell’oceano come un bastone affinché la facesse girare cosi da frullare l’oceano e far emergere la tanto agoniata ambrosia. In realtà la montagna affondò e fu grazie all’intervento di Vishnu, con il carapace dell’animale in cui si era trasformato, una tartaruga (Kurma, suo secondo avatar – la si vede nella raffigurazione che sostiene la montagna), che l’ampolla fu finalmente ottenuta. I demoni non ne ebbero neppure una goccia perché Vishnu prese le sembianze di una bella giovane, Mohini, e li incantò consegnando tutto il nettare agli dei che finalmente cacciarono i malvagi. Ma questa è un’altra storia e la potete leggere qui https://passoinindia.wordpress.com/2018/03/22/il-mito-indu-la-zangolatura-delloceano-di-latte/

Samudra Manthan

Un altro serpente noto nella mitologia indu è Adishesha chiamato anche Sheshanaga (il serpente Shesha) e che è il re dei naga. Nei Purana è considerato colui che tiene tutti i pianeti e l’universo sui suoi cappucci e canta le glorie di Vishnu che è spesso riposa su di lui. Nel Mahabaratha è descritto che Sesha vive sotto la Terra, le dà stabilità ed è al comando di Brahman, la divinità suprema, che ne apprezza la prodezza. Nacque dal saggio Kashyap e da sua moglie Kadru che generò migliaia di serpenti di cui Shesha era il maggiore. Il suo nome in sanscrito significa “ciò che resta”, perché, quando il mondo viene distrutto alla fine di Kalpa, il ciclo cosmico, Shesha rimane com’è.

Vishnu riposa su Shesha

testo by PassoinIndia (visita anche il nostro sito http://www.passoinindia.com o trovaci su facebook

video

i video che seguono non sono adatti a chi si impressiona per i serpenti.

Ufficialmente la professione degli incantatori di serpenti è vietata in India e tuttavia essi rimangono una presenza centrale all’interno dei riti di preghiera del Naga Panchami.

BRAHMA, IL CREATORE COSMICO

In India sentirete meno parlare di Brahma, molto più di Vishnu, Ganesh, Shiva, Kali eccetera. Eppure questo Dio, a capo del Pantheon induista, appartiene, insieme a Shiva e Vishnu, alla Trimurti, la triade delle divinità supreme che comprende gli dei a cui si deve la creazione del mondo e delle sue creature, appunto Brahma, la preservazione del mondo, competenza di Vishnu, e la distruzione del mondo al fine di ricrearlo, ruolo di Shiva, il tutto in un ciclo eterno senza inizio né fine che si realizza attraverso un susseguirsi incessante di eventi cosmici.

Brahma sprigionò le acque primordiali e le fecondò; egli si rivelò dall’uovo cosmico d’oro ove egli risiedeva; dalla parte superiore dell’uovo originò il mondo celeste e da quella inferiore si materializzò il mondo terreno. Si manifestarono così tutti gli elementi del cosmo.

Una teoria religiosa sostiene che i quattro gruppi sociali (da cui ebbero luogo le caste), siano derivati dagli organi del corpo di Brahma: dalla sua testa i Brahmini (i sacerdoti, sacrificatori e conoscitori dei testi religiosi), dalle sue braccia gli Kshatria (i guerrieri e i prinicipi), dalle sue gambe i Vaisia (gli agricoltori, i commercianti e gli artigiani) e dai suoi piedi gli Shudra, i servitori.

Nell’iconografia indu, Brahma è raffigurato vestito di bianco o rosso o rosa, con la barba, simbolo di vecchiaia e sapienza e quattro teste rivolte ai quattro punti cardinali ognuna delle quali recita i Veda, gli antichi testi sacri dell’Induismo che egli ha cantato con i Rishi, i cantori ispirati degli inni sacri. Con le sue teste può anche ammirare la sua timida e schiva sposa, Sarasvati, dea della conoscenza e delle arti.

Le sue quattro braccia tengono in mano un rosario fatto con semi del frutto dell’albero di rudraksham (mala), un kamandalu (brocca che nell’iconografia indù accompagna spesso le divinità legate all’ascetismo o all’acqua), i Veda e un fiore di loro (a volte vi è seduto sopra).

Anche se la letteratura vedica ne parla ampiamente, Brahma non è oggi così venerato. La mitologia indu fornisce diverse motivazioni a proposito di questa scarsa venerazione. Secondo una di queste, Brahma si era infatuato della bella Shatarupa, la donna da lui creata, affinché lo aiutasse nella creazione. La seguiva ovunque con lo sguardo creando un certo disagio alla timida Shatarupa ma, qualunque direzione lei prendesse, Brahma continuava ad osservarla così insistentemente che sviluppò ben quattro teste. Shatarupa, che non ne poteva di più, cercò di allora di saltellare per evitare di essere guardata; Brahma sviluppò quindi una quinta testa. Lord Shiva criticò Brahma per il suo comportamento e gli tranciò la quinta testa rivolgendogli una maledizione: siccome Brahma aveva distratto la sua mente dall’anima lasciandosi tentare da desideri carnali, le persone non avrebbero adorato Brahma. Pentendosi, Brahma cominciò quindi a recitare i quattro Veda.

Un’altra ragione sul perché Brahma non è adorato è da trovare nel suo ruolo che, in quanto creatore dell’Universo, sarebbe terminato. Vishnu continua invece a preservarlo e Shiva a distruggerlo per continuare il percorso di reincarnazione cosmica. O forse, ancora, perché lo status così elevato di Brahma lo coinvolge meno nei miti in cui gli dei assumono forma e carattere umano.

Tra i pochissimi templi dedicati a Brahma sono popolari quello di Pushkar, vicino ad Ajmer, nel Rajasthan, la cui età si fa risalire a circa 2000 anni e quello a Khedbrahma, vicino a Idar, nello Stato di Gujarat, che si suppone del 12° secolo circa. A proposito del primo, il mito racconta che la nascita di Pushkar si deve ad una lotta tra Lord Brahma e il demone Vajra Nabh. Brahma uccise il demone con l’ausilio di un fiore di loto e tre dei suoi petali caddero sulla terra, dando vita ai tre laghi di Pushkar. Secondo un’altra storia pare che invece siano state le lacrime di Brahma a creare i laghi della città dove ancora oggi Brahma è celebrato con una cerimonia annuale.

PUSKAR- BRAHMA- TEMPLE

Premesso che, nell’induismo, ogni divinità è associata ad un proprio animale, anch’essa creatura divina, che ne rispecchia una qualità essenziale e che questi animali sono detti “vahana”, “veicoli”, “cavalcature” (perché nelle immagini le divinità sono spesso raffigurate sedute su essi), il veicolo di Brahma è il cigno; infatti Brahma è il dio dell’elemento acqua, che rappresenta la coscienza e la mente che purifica e illumina con la conoscenza sacra e la saggezza.

BRAHMA VEHICLE

Ecco perché il cigno che è agile in acqua e capace di separare le impurità dall’acqua rappresenta il suo veicolo ideale, talvolta rappresentato anche da un pavone o un’oca.

La vita di Brahma è lunghissima ma non eterna: la sua morte coincide con una “grande dissoluzione” dell’universo. Egli rinasce dal fiore di loto che fuoriesce dall’ombelico di Vishnu disteso in sonno yogico. E tutto ha di nuovo inizio.

TESTO BY PASSOININDIA

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Il mito indu: la zangolatura dell’Oceano di latte

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Il SAGARA MANTHAN o Samudra Manthan o Ksheera Sagara Manthan raccontato nel Bhagavata Purana, nel Vishnu Purana, e nel poema epico Mahabharata, è uno dei più famosi miti dell’induismo. La storia comincia con l’eterna lotta tra  i DEVA (dei) e gli ASURA (antidei) che agognano al dominio sui tre mondi. I deva, allora non immortali, quindi semidei, hanno bisogno, per vincere i demoni, dell’AMRITA, nettare dell’immortalità che si trova dentro il grande OCEANO DI LATTE. Per raccogliere questo nettare è necessario frullare l’oceano, impresa grandiosa che, come VISHNU suggerisce ai deva, può riuscire solo se essi chiedono aiuto agli asura. Così i deva seguono il consiglio di Vishnu e promettono agli asura che divideranno con loro il nettare. Per zangolare l’immensa distesa di acqua, intendono utilizzare il monte più alto dell’ universo, il MANDARA e, per staccarlo dalla sua sede, interviene GARUDA, l’aquila divina, veicolo e seconda incarnazione di Vishnu, che porta il monte al centro dell’Oceano. (Ogni divinità dell’induismo ha un proprio animale caratteristico, che rispecchia una sua qualità essenziale e che è chiamato vahana, “veicolo” o “cavalcatura”, perché le divinità sono spesso rappresentate sedute su di essi).

Avendo essi anche bisogno di una corda da avvolgere intorno al monte affinché questo, ruotando, smuova il mare, accorre VASUKI, il re dei serpenti. I deva tengono la coda del serpente, gli asura la sua testa (forse l’hanno preteso o forse gli è stato concesso, visto che  l’enorme testa di Vasuki è considerata la parte più nobile). Grazie al loro grande sforzo, la montagna inizia a ruotare sempre più velocemente finché Vasuki vomita buttando fuori il suo veleno (HALAHAL) che ora invade l’oceano e rischia di avvelenare tutto ciò che vi si trova. I deva chiedono quindi aiuto a SHIVA che beve il veleno ma, su raccomandazione della sua consorte PARVATI, lo trattiene nella sua gola che da allora diventa blu e lo resterà per sempre. La montagna sta affondando ma Vishnu, sotto forma di KURMA, la tartaruga, sostiene la montagna con il suo carapace. L’oceano di latte, frullato, è ora tutto schiuma e latte. Dopo mille anni e più di fatica qualcosa finalmente viene a galla. Sono i RATHA, i tesori del mare. Vi sono dee, tra cui LAKSHMI, la dea della salute, fortuna e prosperità che prende subito per mano Vishnu diventandone consorte; SURA, dea del vino che inebria ed altre ninfee divine.Vi sono 3 animali, KAMADHENU, il bue bianco che soddisfa i desideri e che Vishnu darà ai saggi affinché il burro (ghee) derivato dal suo latte venga utilizzato nei sacrifici, AIRAVATA ed altri elefanti, UCHHAISHRAVAS, il divino cavallo a sette teste, che verrà dato agli Asura. Dalle acque emergono anche tre oggetti che vediamo rappresentati nell’immagine di Vishnu, KAUSTUBHA, il gioiello più prezioso al mondo, l’ARCO, che ricorda la belligeranza degli asura, la CONCHIGLIA che procura un suono (Om) che atterrisce i demoni e li fa fuggire. E poi, ancora, il PARIJAT, l’albero divino dai fiori perenni, che gli dei porteranno all’ Indraloka, il paradiso di Indra, CHANDRA, la luna che adorna la testa di Shiva, DHANVANTARI, il  medico degli dei con la coppa che contiene il nettare dell’immortalità! Ora devi e asura litigano per l’Amrita che ognuno vuole per sé. Vishnu dunque interviene questa volta sotto forma di MOHINI, l’eterno femminino. Tutti d’accordo che sia lei a distribuire il nettare. Ma lei, ballando, da agli asura vino inebriante e ai deva il nettare dell immortalità.

 

Significato del mito.

Simbolicamente, questo mito rappresenta lo sforzo spirituale degli esseri umani per ottenere l’immortalità o la liberazione (Moksha) dal ciclo delle rinascite attraverso pratiche yogiche come la concentrazione, il ritiro dei sensi, l’autocontrollo, il distacco, le austerità e la rinuncia. Il corpo umano è un cosmo, proprio come l’oceano di latte, dove gli dei rappresentano gli organi di senso, la virtù e il principio del piacere, la purezza e l’intelligenza, mentre i demoni rappresentano l’illusione, le tendenze malvagie, il principio del dolore, l’oscurità e grossolanità del corpo. La zangolatura dell’oceano è il processo del cambiamento che richiede l’integrazione e lo sfruttamento di energie positive e negative, di corpi sottili e grossolani. Le negatività concorrono a rafforzare la determinazione e il carattere. L’oceano di latte (ksheer sagar) è la mente o la coscienza, nell’induismo sempre paragonata a un oceano (mano sagaram) mentre pensieri, emozioni, e proiezioni della mente sono assimilati alle movimento delle onde. L’oceano simboleggia anche il Samsara o il mondo fenomenico (samsara sagaram), un misto tra il bene e il male che partecipano alla continuazione del mondo e svolgono un ruolo importante nella liberazione degli esseri umani. Il veleno è la morte e il comportamento causato dal desiderio e dall’attaccamento che produce karma negativo. Il nome della montagna, Mandhara  è formato da due parole che significano uomo e linea (o punto) che quindi simboleggia una mente ferma in uno stato di concentrazione. La tartaruga qui sta per pratyahara, il ritiro in se stessi, essenziale per praticare la concentrazione (dharana) e la meditazione o la contemplazione (dhyana). Dio, il Sé o Vishnu, è il supporto per la mente in qualsiasi azione spirituale. La tartaruga ha un duro guscio e un corpo tenero tenere, come lo stato mentale di uno yogi, impenetrabile ma compassionevole qe pieno di devozione a Dio. La tartaruga simboleggia anche la testa umana. Il guscio è il cranio e le parti interne sono il cervello. La testa è il supporto di tutte le attività spirituali proprio come Vishnu è nella zangolatura dell’oceano.

Il grande serpente Vasuki rappresenta il desiderio o l’intenzione. Nel simbolismo indù, il desiderio è tradizionalmente paragonato a mille serpenti incappucciati.  Per ottenere la liberazione occorre intenzione e iniziazione alla spiritualità. I desideri sono anche le forze motrici delle nostre azioni o dei nostri sacrifici. Le azioni guidate dal desiderio sono responsabili del karma, mentre le azioni senza desideri, che sono eseguite per il benessere del mondo, come i sacrifici quotidiani, o come offerte sacrificali a Dio, portano alla liberazione. Sia gli dei che i demoni usano il desiderio come corda (mezzi). Tuttavia, le divinità agitano l’oceano secondo le istruzioni di Vishnu per il benessere dei mondi e per proteggerli dal male, mentre i demoni lo agitano unicamente con l’intenzione egoistica di usare l’Amrita per i propri fini. Per questo, alla fine, i demoni non riescono a raggiungere la liberazione.
Per agitare gli oceani, sia gli dei che i demoni tengono il serpente costantemente. Ciò simboleggia autocontrollo o controllo dei desideri nella pratica spirituale. La zangolatura (Manthan) è la trasformazione spirituale o la purificazione della mente e del corpo sul sentiero della liberazione. Quando il latte è sbollentato, il burro si separa dal latte. Nello zangolarsi spirituale,  “sattva”, la brillantezza mentale (medha) e la pura intelligenza, bianche come il burro, si separano dalle impurità proprio come fa il burro, il che consente di vedere le cose chiaramente e la mente si stabilizza nella contemplazione del Sé. Così come il burro funge da offerta in un sacrificio di fuoco (yajna), il sattva e l’intelligenza servono da offerte nel sacrificio interiore (antar yajna) della mente e del corpo. Quando il burro viene riscaldato sul fuoco, diventa burro chiarificato, che viene usato anche nei sacrifici come offerta. L’immortalità o la liberazione è il burro chiarificato o il prodotto finale nella pratica dello yoga, proprio come l’ Amrit è nella zangolatura degli oceani. L’Halahal, il veleno, rappresenta tutta la negatività che affiora nella nostra coscienza quando iniziamo la pratica spirituale. Rappresenta il dolore e la sofferenza, i cattivi pensieri, i sentimenti negativi e le emozioni come la rabbia, l’orgoglio, il dubbio, l’illusione o la disperazione che avviano l’esperienza all’inizio della pratica spirituale. L’intervento di Lord Shiva per risolvere il problema dell’halahal simboleggia l’importanza dello yoga o dell’ascetismo, della virtù e della purezza nella vita spirituale, l’importanza della grazia divina (anugraha) e della mediazione di un maestro spirituale (guru) nel processo della liberazione. Lord Shiva simboleggia uno yogi o un rinunciante (Sanyasi). Rappresenta i valori ascetici di rinuncia, equanimità, disciplina, virtù, conoscenza e autocontrollo. È puro, sincero, intelligente, propizio e interiormente distaccato. È in grado di consumare il veleno sorto dalla zangolatura dell’oceano perché è puro, forte e divino. Lord Shiva è anche il signore del respiro, prananath o praneshwar che, nel corpo, è purificatore e stabilizzatore. È il signore degli organi, che mantiene puri in mente e corpo rimuovendo le loro impurità e influenze maligne, negatività, irrequietezza, stress, paura e pigrizia. Gli yogi avanzati ottengono un grande controllo sul loro respiro, che molti possono anche trattenere per una lunga durata. Durante la meditazione imparano anche a mantenere le loro menti ferme e libere dalle impurità trattenendo il respiro in gola, vicino al palato. I vari oggetti che escono dall’oceano simboleggiano i poteri o le perfezioni psichiche, spirituali o soprannaturali (siddhi), che si manifestano quando uno yogi avanza sul sentiero dello yoga o della liberazione. Secondo la tradizione indù, bisogna stare attenti a tali poteri poiché possono seriamente interferire con il proprio progresso spirituale. Dovrebbero essere usati con grande cautela e discrezione per il benessere del mondo o di altri, piuttosto che per guadagni egoistici. Probabilmente è per questo che dèi e demoni distribuiscono prontamente quei poteri senza alcuna discussione, dal momento che non vogliono essere distratti dal loro obiettivo finale di raggiungere la liberazione. Lakshmi simboleggia la ricchezza materiale o l’abbondanza. Il simbolismo che sta alla base dell’atto di donarla a Vishnu è che, poiché tutta la ricchezza nell’universo appartiene a Dio o Brahman (Vishnu), è necessario restituirgli tutta la ricchezza che un devoto trova o guadagna nella sua vita. Il suo sacrificio lo terrà libero dal debito karmico e faciliterà i suoi progressi sul sentiero.
Come dichiara l’Isa Upanishad, Brahman è il vero abitante dell’universo e ogni cosa nell’universo appartiene a lui. Si dovrebbe quindi vivere disinteressatamente, compiendo tutte le azioni come offerta a Dio. Le Scritture come la Bhagavadgita suggeriscono anche che sul sentiero spirituale, quando la ricchezza si manifesta come il frutto delle proprie azioni, si dovrebbe rinunciare ad essa e offrirla a Dio come sacrificio.
Dhanvantari è il medico divino. Rappresenta la salute o il benessere fisico. Durante la zangolatura dell’oceano si manifesta alla fine con la brocca che contiene l’Amrit. Dhanvantari simboleggia il vigore fisico, l’energia e lo splendore mentale che derivano dalla lunga e ardua pratica dello yoga e dell’austerità e che, se prolungate portano alla liberazione e all’immortalità. Quindi, il corpo di un essere liberato (jivanmukta) non è solo sano ma anche divino come un vaso dell’immortalità.

Al momento della distribuzione dell’elisir, il Signore Vishnu si manifesta come Mohini, una bella fanciulla celestiale che assicura che l’Amrita venga distribuita agli dei piuttosto che ai demoni, compiendo così il suo dovere di sostenitore di Rta (ordine e regolarità), Karma e Dharma.
Gli Asura sono persone malvagie. Nessuno ha negato loro l’immortalità. Lo hanno negato a se stessi con le loro azioni e intenzioni crudeli e malvagie. Le azioni di Vishnu simboleggiano il ruolo di Dio nella creazione come sostenitore del Dharma. Suggerisce che non importa quanto sei bravo, o quanto buona possa essere la tua azione attuale, non puoi sfuggire ai peccati del tuo passato o al karma che hai subito come conseguenza delle tue azioni. Negando la distribuzione di Amrit ai demoni, salva il mondo dalla loro oppressione e protegge il Dharma.
Mohini simboleggia anche il potere di Maya, che illude i mondi e gli esseri dal perseguire la liberazione sottoponendoli a delusione, desiderio, dualità e ignoranza. A causa della loro natura malvagia e delle qualità demoniache, gli asura cadono facilmente sotto l’incantesimo di Maya perdendo la possibilità di diventare immortali. Gli dei sono intenzionati a ottenere l’immortalità. Quindi, sono concentrati su di essa e si mantengono quindi liberi dall’incantesimo.
C’è anche un messaggio importante in questo. La vita umana è preziosa perché solo gli umani possono praticare la spiritualità e ottenere la liberazione usando la loro intelligenza. Pertanto, le persone non dovrebbero buttare via la preziosa opportunità perseguendo desideri malvagi o impegnandosi in azioni egoistiche sotto l’incantesimo di Maya. Dovrebbero praticare lo yoga, coltivare le qualità divine e lavorare per la liberazione per diventare immortali, senza ilkudersi o distrarsi e senza perdere la concentrazione sulla liberazione. Questo è in breve il simbolismo nascosto nella storia di Sagar Manthan.

La festa del Dio Krisha, il Janmashtami.

Oggi in tutta l’India c’è la grande festa induista di Janmashtami che celebra il dio Krishna, conosciuto anche come Kanha o Govinda. Chiunque sia stato in India ha visto questa divinità celebrata in templi ed altari di strada o domestici ed ora vi racconto la sua storia.

Krishna è la divinità suprema e popolarissima per l’induismo, l’ottava incarnazione (avatar) di Lord Vishnu. E’ bella la storia di Krisha e anche un po’ familiare, se vista con gli occhi di un occidentale. I testi sacri indu Mahābhārata, Harivamsa, Bhagavata Purana e Vishnu Purana raccontano della nascita e della vita di Krishna, ambientata in nord India soprattutto negli attuali Stati di Uttar Pradesh, Bihar, Haryana, Delhi e Gujarat. Secondo storici e astrologi la data di nascita di Krishna, conosciuta appunto come Janmashtami, sarebbe riconducibile al 18 luglio del 3228 aC. Il suo nome, Krishna, deriva dal sanscrito che significa “nero”, “dark” o “blu scuro” e per questo spesso Krishna è raffigurato con la pelle nera o blu.

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Krishna fu figlio della principessa Devaki, sua madre e Vasudeva, suo padre. Krishna nacque quando Madre Terra, sconvolta dai peccati commessi sulla Terra, chiese aiuto al Dio Vishnu che andò a trovare sotto forma di mucca. Vishnu, accettando di aiutarla, le promise che lui, Vishnu, sarebbe nato sulla Terra. Intanto, sulla Terra, un principe di nome Kansa aveva mandato suo padre Ugrasena, re di Mathura in prigione per usurpargli il trono. Ma un giorno una gran voce dal cielo profetizzò che l’8° figlio della sorella di Kansa (Devaki, la futura madre di Krishna) avrebbe ucciso Kansa. Kansa allora mise Devaki e suo marito Vasudeva in prigione dove, in seguito, Vishnu apparve loro per dirgli che lui stesso sarebbe stato il loro ottavo figlio e avrebbe ucciso Kansa e distrutto il peccato del mondo. Krishna quindi, in qualità di Vishnu, produce il concepimento e diventa anche prole. Infatti a causa della sua simpatia per la Terra, il divino Vishnu stesso discese nel grembo di Devaki e nacque come suo figlio, cioè Krishna. Al momento del concepimento e della nascita di Krishna, Devaki e Vasudeva avevano già concepito 7 figli. I primi sei figli di Devaki furono uccisi da Kansa mentre il settimo sembrò perire in un aborto spontaneo ma in realtà il vero grembo che portò avanti la gravidanza segreta fu quello di un’altra donna, Rohini. Fu così che nacque Balarama, il fratello maggiore di Krishna. Krishna apparteneva al clan dei Yadava da Mathura (oggi quartiere dell’Uttar Pradesh), ed essendo proprio l’ottavo figlio, Vasudeva sapeva che la sua vita era in pericolo; per salvarlo, fece segretamente portare Krishna fuori della cella della prigione dai suoi genitori adottivi, Yasoda e Nanda.

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Questi erano di Gokula (oggi quartiere di Mathura) e Nanda era il capo di una comunità di vaccari e si stabilì a Vrindavana. Le storie dell’infanzia e della giovinezza di Krishna raccontano come sia diventato un mandriano, i suoi scherzi maliziosi quando ruba il burro e il suo ruolo di protettore del popolo di Vrindavana. Per questo egli è raffigurato spesso come un bimbo con il burro nelle mani o vicino a pecore e mucche.

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Infatti Krishna è conosciuto anche come Govinda, “il raccoglitore delle vacche” o Gopala, “Protettore delle mucche”, riferendosi proprio alla sua infanzia. Krishna fu protettore della sua gente, uccise i demoni Putana e Trinavarta, è domò il serpente Kaliya che aveva avvelenato le acque del fiume Yamuna provocando la morte dei butteri. Ecco perché nell’iconografia indu Krishna è spesso raffigurato mentre balla su Kaliya. Kaliya-Mardan1

Krishna protesse il suo popolo di Vrindavana dall’ira di Indra, re dei deva (divinità) e signore delle piogge e dei temporali che si arrabbiò quando Krishna aveva consigliato alla gente di Vrindavana di prendersi cura dei loro animali e del loro ambiente invece di adorare Indra ogni anno, spendendo le proprie risorse; come Krishna racconta nella Bhagavat Purana, Indra, furioso, si vendicò con l’invio di una grande tempesta; Krishna allora sollevò la collina di Govardhan e la tenne sopra le persone, proprio come un ombrello. La Rasa Lila o Rasa dance, descritta nella Bhagavata Purana e nella Gita Govinda, ad esempio, racconta le storie di gioco di Vishnu con le le gopi, le pastorelle di Vrindavana, soprattutto con Radha, divenuta sua consorte. 

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L’infanzia di Krishna è un’infanzia divertita, Krishna suona il suo flauto e le gopi arrivano subito introno a lui, sulle rive del fiume Yamuna, dove cantano e ballano. Infatti Krisha viene anche raffigurato come un giovane rilassato con il suo strumento musicale o visto come un amante perfetto. Anche quando combatte contro il serpente Kaliya, Krishna sembra giocare, non è in alcun pericolo reale. Questa idea di avere un dio giocoso è molto importante nell’induismo. La giocosità di Krishna ha ispirato molte celebrazioni, come il Rasa-lila e, appunto, la odierna festa di Janmashtami in cui si fanno piramidi umane per rompere vasi di terracotta (handis) sospesi in aria da cui si rovescia il latte su tutte le persone sottostanti. Ecco perché Janmashtami è una celebrazione divertente che unisce la gente. Alla fine, Krisha, ragazzo, tornò a Mathura e uccise suo zio materno, Kansa, ripristinando il vero re, padre di Kansa, Ugrasena, come il re del Yadava. Diventato un principe di corte, Krishna fece amicizia con Arjuna (il grande protagonista del racconto della Baghavat Gita) e altri principi suoi cugini. Più tardi, prese i suoi sudditi Yadava e li portò alla città di Dwaraka (nella moderna Gujarat), dove stabilì il suo regno. Krishna sposò Rukmini, principessa di Vidarbha, che gli aveva chiesto di salvarla dalla proposta di matrimonio di Shishupala. Oltre lei, Krishna sposò altre regine, Rukmini, Satyabhama, Jambavati, Kalindi, Mitravinda, Nagnajiti, Bhadra e Lakshmana e, successivamente, ben 16.000 fanciulle imprigionate dal demone Narakasura, che uccise, per salvare il loro onore. Secondo l’usanza sociale del tempo, infatti, tutte le donne prigioniere sotto il controllo di Narakasura furono degradate e non avrebbero più potuto sposarsi. Perciò Krishna le sposò per ripristinare il loro status nella società. Nella tradizione vaisnava (da Vishnu), una delle tre correnti principali dell’induismo, insieme a Shivaismo e Shaktismo, le mogli di Krishna sono forme della dea Lakshmi, consorte di Vishnu, o speciali anime che hanno raggiunto questa qualifica dopo molte vite di austerità, mentre le sue due regine, Rukmani e Satyabhama, sono espansioni di Lakshmi.

La tradizione induista e i testi sacri sono ricchi di storie su Krishna, così come è ricca la sua iconografia. Nei templi lo troviamo anche raffigurato come un uomo in piedi in posizione formale, solo o associato ad altre figure come suo fratello Balarama e sua sorella Subhadra, o con le sue regine come Rukmini o con la sua consorte gopi Radha. La sua scomparsa segna la fine del Dvapara Yuga e l’inizio del Kali Yuga (l’attuale età), che è datata febbraio 17/18, 3102 aC.

Nella festa di Janmashtam i devoti di Sri Krishna lo adorano, vegliano tutta la notte ascoltando i suoi racconti e le sue imprese, recitando gli inni della Gita, e cantando canti devozionali, tra cui il mantra Om namo Bhagavate Vasudevaya.

Oggi, a Dwaraka, il regno di Krishna, il tempio Dwarkadhish è affollato più del solito. I fedeli arrivano numerosi per avere il Darshan, la visione sacra. Il signore Krishna è lavato e decorato con preziosi ornamenti e i fedeli gli fanno continue offerte di cibo, soprattutto prodotti lattiero-caseari. Dopo mezzanotte, celebrando il Janmashtami, con la frase “Nand Gher Anand Bhaio, Jay Kaanha Laal Ki“, i devoti accolgono il Signore supremo Krishna fino alle 2 e mezza della mattina quando il tempio viene chiuso.

Anche a Vrindavan questa occasione viene celebrata con grande sfarzo e spettacolo. Raslilas o drammi religiosi vengono eseguiti per ricreare le storie della vita di Krishna e per commemorare il suo amore per Radha. Si canta e si danza. A mezzanotte, la statua del bambino Krishna è bagnata e messa in una culla, che viene cullata, tra il soffio di conchiglie e il suono delle campane.

Più ad ovest, a Mumbai, il Dahi Handi è il modo più popolare di celebrare Janmashtami o Krishnashtami.

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Il Dahi Handi è una pentola di terracotta sospesa in aria e piena di burro e yogurt. I fedeli formando una piramide umana, che simboleggia l’armonia del gruppo, devono consentire a chi è in alto alla pila di romperla con un oggetto duro, ad esempio una noce di cocco, affinché il burro possa cadere su di loro.

Le persone coinvolte in questa performance sono noti come Govinda Pathak; tutto avviene al ritmo del Govinda Ala Re“, un enorme applauso costantemente cantato durante la performance. Il Dahi Handi viene celebrata con estrema devozione e aggiunge grande fervore per le strade di Mumbai.

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Mentre le celebrazioni al tempio di Dwarkadhish rivelano il lato spirituale di Krishna, il festival Dahi Handi evidenzia la sua natura maligna. Janmashtami viene ovviamente celebrata anche a Mathura similarmente a come avviene a Dwaraka.

La festa di Janmashtami sarebbe anche proprizia per la fertilità della coppia che, allo scopo, è tenuta a seguire un preciso rituale che comprende l’adorazione di Krishna in forma di bambino a cui, oltre alla puja, ovvero la preghiera, vengono offerti bastoncini di incenso, lampade, foglie di basilico, pasta di sandalo e Bhog (cibo sacro) di burro.

Non è bellisssima, la storia di Krishna?

Il nome di Krishna compare nei testi buddisti come Kanha che, foneticamente equivalente a Krishna. Anche i fedeli bahá’i  credono che Krishna fosse una una manifestazione di Dio.

(per i baha’i guarda qui https://passoinindia.wordpress.com/tag/bahaullah/

Testo by PASSOININDIA

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RAKSHA BANDHAN. La festa dei fratelli e delle sorelle.

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Il 10 agosto in India (data non ricorrente ogni anno) si è festeggiato il Raksha Bandhan, la festa dell’amore e dei doveri tra fratelli e sorelle; questa festa è celebrata dagli induisti, ma anche da giainisti e sikh. Le sorelle legano un filo sacro detto Rakhi (dal sanscrito “nodo di protezione”) sul polso del fratello, pregando per il suo benessere e il fratello promette di prendersi cura della propria sorella in ogni evenienza. Così le donne cercano nei negozi i migliori Raksi, generalmente un filo di tessuto colorato magari impreziosito da qualche perlina o amuleto o lo fanno con le proprie mani. Nei tempi moderni può persino trattarsi di un orologio da polso. Così, nel giorno del Raksha Bandhan, il fratello e la sorella (non necessariamente parenti, può trattarsi anche di una stretta amicizia) si riuniscono formalmente in presenza di genitori e parenti e, se uno dei due è lontano da casa, l’augurio può correre via mail. Il rituale avviene solitamente davanti ad una lampada accesa (Diya) o ad una candela (a rappresentare la divinità del fuoco) a volte situate su un vassoio che lei fa ruotare attorno al volto di lui, legando quindi il Rakhi al polso del fratello (che egli indosserà tutto il giorno), recitando una preghiera per la sua felicità. Poi la sorella pone laTilak, un segno colorato sulla fronte del fratello che si impegna quindi a prendersene cura. Poi lei lo alimenta con le mani avvicinando alla sua bocca dolciumi o altre bontà. Il fratello le dona quindi un regalo che può essere ad esempio un vestito o del denaro e anche lui le pone alla bocca dolci, frutta secca etc. in segno di nutrizione. Infine si abbracciano e tutti si congratulano l’un l’altro. E’ un rituale antichissimo che si legge già nel Vishnu Purana quando Yasoda lega un Raksha Bandhan al polso di Krishna. Ma molte sono le sacre scritture antiche (Bhavishya Purana, Bhagavata Purana ecc.) oltre che i poemi epici come il Mahabaratha in cui si legge di questo braccialetto. Le antiche scritture indu sono ricche di storie che narrano di questo braccialetto. Per citarne una, nella Bhagavata Purana e Vishnu Purana dopo che Vishnu sconfisse il demone Bali, vincendo i tre mondi, su richiesta di Bali, andò a vivere nel suo palazzo. Ma alla moglie di Vishnu, la dea Lakshmi non piaceva il palazzo né la sua nuova amicizia con Bali, e preferiva tornare con suo marito a Vaikunta. Così legò al polso di Bali, un Rakhi in segno di fratellanza. Bali le chiese che regalo desiderasse e lei rispose di liberare Vishnu dalla promessa di vivere nel suo palazzo. Bali acconsentì, accettandola come sorella. e poi ci sono leggende storiche che vi fanno riferimento. Ma anche le leggende storiche citano il Rakhi. Infatti, secondo un racconto leggendario, quando Alessandro il Grande invase l’India nel 326 aC, Roxana (o Roshanak, sua moglie) inviò un filo sacro al re Poro, suo nemico, chiedendogli di non danneggiare il marito in battaglia. In accordo con la tradizione, Poro, rispettò la richiesta. Sul campo di battaglia, quindi, quando egli stava per sferrare un colpo finale ad Alessandro, vide il Rakhi sul suo polso e si trattenne dall’attaccarlo personalmente. Ci sono poi le storie dei giorni nostri. Accadde infatti che Rabindranath Tagore, l’indiano Premio Nobel per la letteratura, invocò il Raksha Bandhan e il Rakhi, come fonti di amore, rispetto e voto di protezione reciproca tra indù e musulmani durante il periodo coloniale in India. Nel 1905, l’impero britannico, sulla base delle differenti religioni, aveva diviso il Bengala, una provincia dell’India britannica. Tagore organizzò quindi una cerimonia per celebrare il Raksha Bandhan e rafforzare il legame di amore e di solidarietà tra indù e musulmani del Bengala esortandoli a protestare insieme contro l’impero britannico. Nel 1911, l’impero coloniale britannico annullò la partizione e unificò il Bengala, una unificazione cui non si opposero i musulmani del Bengala. Il tentativo di Tagore non ebbe quindi successo. Il Bengala, diviso durante l’era coloniale, da una parte è diventato il moderno Bangladesh, a prevalenza musulmana, dall’altro divenne lo Stato indiano del Bengala occidentale a prevalenza induista. Grazie al tentativo di Rabindranath Tagore, ancora oggi, in alcune parti del Bengala occidentale, la tradizione del Raksha Bandhan è molto sentita e continua ancora oggi.

con l’ausilio di WIKIPEDIA (traduzione dall’inglese).

I colori della Holi salutano l’inverno.

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La Holi è celebrata alla fine della stagione invernale, l’ultimo giorno di luna piena del mese lunare di Phalguna, secondo il calendario indu, che di solito cade nel mese di febbraio o marzo di ogni anno e tutti gli indiani la festeggiano.

Questa ricorrenza è conosciuta anche come Dhuli, in sanscrito, o Dhulheti, Dhulandi o Dhulendi o festa dei colori. Il festival, che rappresenta un saluto alla primavera, la stagione simbolo di amore e fertilità, ha vari scopi tra cui, anticamente, quello di commemorare i buoni raccolti. Ma la sua finalità è soprattutto religiosa, legata alla mitologia indù, anche se celebrata in un modo particolare e distante dai rituali religiosi che caratterizzano altre festività.

Durante questo evento, i partecipanti si gettano addosso polvere, di origine naturale, di tutti i colori,  anche utilizzando palloncini e pistole d’acqua colorata e insomma, qualunque altro strumento che consenta di “arrivare a segno”.

La Holi abbassa per quel momento di festa la severità delle norme sociali, perché in quel giorno sembrano non esserci differenze tra persone di casta diversa, tra uomini e donne e tra ricchi e poveri che, tutti insieme, si lasciano andare al divertimento e alla gioia. Nessuno si aspetta un comportamento educato, di conseguenza, l’atmosfera è piena di emozioni e spontaneità.

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La più popolare mitologia da cui deriva il nome HOLI è legata alla uccisione di Holika.  Si racconta che Hiranyakashipu, il grande re dei demoni, a seguito di una lunga penitenza, ebbe in dono dal dio Brahma l’immunità dalla morte;   egli infatti chiese di non poter mai essere ucciso “durante il giorno o di notte, all’interno della casa o fuori, non sulla terra o in cielo, né da un uomo né da un animale, né da Astra (spada) né Shastra (lancia)”.  Questo re crebbe quindi arrogante e avverso ai Cieli e alla Terra. Egli chiese che la gente smettesse di adorare dèi e iniziasse ad adorare lui. Il figlio di Hiranyakashipu,   Prahlada, continuò, nonostante le minacce di suo padre, a venerare il suo Dio Vishnu. Così Hiranyakashipu, infuriato, tentò di avvelenarlo ma il veleno diventò nettare nella bocca di Prahlada che ugualmente rimase illeso quando venne calpestato dagli elefanti che gli scatenò addosso suo padre e quando, sempre ad opera del suo genitore, venne rinchiuso in una stanza con affamati serpenti velenosi. Tutti i tentativi di Hiranyakashipu di uccidere suo figlio non andarono a buon fine. Alla fine Hiranyakashipu ordinò a Prahlada di sedersi su un rogo in braccio a sua zia Holika, sorella demone di Hiranyakashipu, il quale ben sapeva che ella era immune dall’essere bruciata dal fuoco. Prahlada, ignaro, prontamente accettò gli ordini di suo padre e pregò il Signore Vishnu perché nulla accadesse a se stesso.  Quando il fuoco divampò,  Holika, tra gli sguardi stupiti dei presenti, cominciò a bruciare a morte mentre Prahlada rimase illeso ancora una volta. La salvezza di Prahlada e la combustione di Holika sono celebrato come Holi. Per questo i falò vengono accesi alla vigilia della festa, nota anche come Holika Dahan (combustione di Holika) o Chhoti Holi (piccola Holi).

Holi, The Festival of Colors, India

Non ci sono dati completi per conoscere le origini della festa. Tuttavia, la Holi come la vediamo oggi, si crede abbia avuto origine nel Bengala. Anche in Mathura, altra zona dell’India, dove Krishna è cresciuto, il festival viene celebrato in onore dell’amore divino tra Radha e Krishna e dura 16 giorni.

Il giorno della Holi, come tutti gli anni, non andrò a lavorare e, dalla finestra della mia casa, stretta tra tante altre case, in altrettante strette viuzze, posso godere del divertimento della gente che si sporca a vicenda di acqua colorata, tanto in India, in questa stagione, non è freddo e quel giorno lo è ancora meno perché è vivo il calore delle persone che, dimenticando per un giorno la loro casta e il loro sesso, si sentono, almeno per un attimo, tutti uguali. Scenderò le mie scale e andrò in strada, sapendo che qualcuno, uno sconosciuto, si avvicinerà a me e colorerà la mia faccia e i miei vestiti. Come a Carnevale in Occidente, con i coriandoli e la schiuma da barba.

testo by PASSOININDIA

video:     

www. tumblr.com

http://news.you-ng.it/2013/03/27/8051-holi-festival-la-primavera-in-india-con-una-guerra-di-colori/

http://www.t2india.us/blog/places-to-celebrate-holi-in-india/

http://blogs.sacbee.com/photos/2011/03/holi-the-hindu-festival-of-col.html

http://www.fabionodariphoto.com/wrp/festival-holi-live/