Il valore di un sorriso (P. Faber)

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Il valore di un sorriso (P. Faber)
Donare un sorriso
Rende felice il cuore.
Arricchisce chi lo riceve
Senza impoverire chi lo dona.
Non dura che un istante,
Ma il suo ricordo rimane a lungo.
Nessuno è così ricco
Da poterne fare a meno
Né così povero da non poterlo donare.
Il sorriso crea gioia in famiglia,
Da sostegno nel lavoro
Ed segno tangibile di amicizia.
Un sorriso dona sollievo a chi è stanco,
Rinnova il coraggio nelle prove,
E nella tristezza è medicina.
E poi se incontri chi non te lo offre,
Sii generoso e porgigli il tuo:
Nessuno ha tanto bisogno di un sorriso
Come colui che non sa darlo.

ll monastero di Chimi Lhakhang e i suoi simboli fallici.

Si raggiunge il monastero buddista di Chimi Lhakhang dopo una piacevole passeggiata tra le bellissime case antiche e i campi di riso. Siamo a Punakha, in Bhutan. Questo monastero è stato costruito in onore di Lama Drukpa Kunley vissuto tra il 15° ed il 16° secolo.  Egli era conosciuto come “uomo pazzo divino” perché era appassionato di donne e di vino ed aveva adottato modi blasfemi e non ortodossi per insegnare il buddismo. Lama Drukpa Kunley viene chiamato anche “il santo della fertilità ” e per questo motivo le donne di tutto il mondo vengono qui per essere bendette. È stato  infatti proprio lui a diffondere la leggenda che i simboli fallici dipinti sui muri e sulle case servissero a scacciare i demoni.

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Il fallo di Kunley, come dipinto, è chiamato la “Folgore di ardente sapienza”. Secondo la leggenda, questo Lama usava il proprio fallo per colpire le demonesse e trasformarle in divinità protettrici. Si dice anche che egli è “forse l’unico santo nelle religioni del mondo che si identifica quasi esclusivamente con il fallo e la sua forza creativa”. È per questo motivo che il suo fallo, come simbolo, è raffigurato sui muri delle case ed è presente nei dipinti Thangka dove egli è raffigurato con un “bastone di legno con la testa del pene”. Il monastero ospita oggi diversi falli di legno, tra cui uno con manico in argento che il santo pazzo si suppone abbia portato dal Tibet e che oggi viene spesso utilizzato, dall’ attuale Lama del monastero, per colpire le donne in testa come benedizione di fertilità. Tradizionalmente, in Bhutan, i simboli di un pene eretto in Bhutan sono utilizzati per scacciare malocchio e maldicenze.

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Perché Ganesh ha la testa di un elefante? La festa di Ganesh: il Ganesh Chaturthi Festival (parte seconda)

continua da parte prima 

https://passoinindia.wordpress.com/2015/09/16/perche-ganesh-ha-la-testa-di-un-elefante-la-festa-di-ganesh-il-ganesh-chaturthi-festival-parte-prima/

Ganesh contro il serpente e la luna. Questa è un’altra storia di Ganesh. Un giorno Ganesh, sul dorso del suo topo domestico, stava tornando da una festa dove si era rimpinzato di dolci e prelibatezze; quando un serpente incrociò il loro cammino, il topo si spaventò e gettò Ganesh per terra. La luna nel cielo cominciò allora a ridere schernendoli e irritando Ganesh che si ruppe una delle sue zanne e colpì e maledisse la luna che lentamente scomparve, diventando invisibile a tutti. Poi Ganesh legò il serpente sulla pancia come una cintura che appunto indossa nella sua iconografia. La luna implorò il perdono di Ganesh che, benevolo, modificò la sua maledizione, consentendole di ricrescere ed essere visibile in tutta la sua gloria e splendore nel cielo notturno. Per questo i devoti di Ganesh credono malaugurante guardare la luna nella notte del Ganesha Chaturthi Festival di cui vi racconterò tra poco. Il serpente che gira intorno alla vita rappresenta l’energia in tutte le forme. Il topo rappresenta invece l’umiltà e la sottomissione alla divinità, è piccolo e, si sa, normalmente spaventa gli elefanti; ma la saggezza di Ganesh gli consente di non stupirsi delle sproporzioni del mondo e di superare le sue paure.

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Il topo, che guarda Ganesh con adorazione, simboleggia anche l’intelletto capace di arrivare ovunque a placare i nostri istinti grazie alla sua capacità di discernere ovvero di valutare oggettivamente una situazione. Altre storie raccontano che Ganesha ruppe la sua zanna per scrivere il grande poema Mahabharata e quindi la zanna rappresenta lo spirito di sacrificio in onore della sapienza. Egli infatti è anche il protettore di scrittori e studenti. Anche la zanna è uno dei simboli nelle raffigurazioni di Ganesh che egli solitamente tiene nella mano in basso a destra.

Ganesh e Kubera. Un altro aneddoto, tratto dal Purana, narra che il tesoriere di Svarga (il paradiso) e dio della ricchezza, Kubera, andò un giorno sul Monte Kailash per ricevere il darshan (la visione) di Shiva. Essendo estrememente vanitoso egli inviò Shiva ad una festa nella sua bellssima città, Alakapuri, così che lui potesse sfoggiarla in tutta la sua ricchezza. Shiva sorrise e gli disse: ‘Non posso venire, ma puoi invitare mio figlio Ganesh. Ti avverto però che è un mangiatore vorace’. Kubera si sentiva tuttavia fiducioso di poter soddisfare anche l’appetito più insaziabile anzi ciò gli dava modo di manifestare ancora di più la sua opulenza. Così Kubera offrì a Ganesh, arrivato in città, un bagno cerimoniale, abiti sontuosi ed un grande banchetto. Ganesh mangiò e poiché era insaziabile divorò anche le pietanze degli altri ospiti, continuando a volere cibo. Poi cominciò a mangiare oggetti e arredamento. Kubera allora terrorizzato lo supplicò di smettere. Ganesh disse ‘Ho fame. Se non mi dai qualcosa da mangiare, io mangerò anche voi’. Allora Kubera chiese aiuto a Shiva che gli diede un pugno di riso dicendogli che qualcosa di così semplice avrebbe saziato Ganesha, se fosse stato offerto con umiltà e amore.

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Quando Kubera offrì umilmente il riso a Ganesh, che intanto aveva inghiottito quasi tutta la città, Ganesh si calmò soddisfatto. Ganesh è un dio ghiotto e quindi rappresentato con un piatto di dolci nella mano sinistra oltre che una grande pancia umana che rappresenta l’intero cosmo. Il dolce simboleggia anche la dolcezza dell’anima. Ganesh è anche venerato come il distruttore della vanità, egoismo e orgoglio.

Ganesh è tradizionalmente raffigurato con 4 mani ma a volte anche con più mani fino a 16; ogni mano tiene un diverso simbolo. Le quattro braccia di Ganesh rappresentano i quattro attributi interiori del corpo sottile, ovvero: mente, intelletto, ego, coscienza condizionata; nella mano in alto a destra Ganesh tiene un pungolo, che lo aiuta a spingere l’umanità in avanti sulla via eterna e a rimuovere gli ostacoli dal mondo. Il cappio nella mano sinistra di Ganesh gli serve per catturare tutte le difficoltà. Il rosario che talvolta tiene nell’altra mano suggerisce che la ricerca della conoscenza deve essere continua. Ganesh può essere rappresentato in piedi, seduto, danzante, bambino, seduto sulle ginocchia di sua madre. E’ uno delle cinque principali divinità indù insieme a Brahma, Vishnu, Shiva e Durga la cui venerazione è chiamata puja panchayatana. Per la setta induista Ganapatya, Ganesh è la divinità più importante. Ganesh è uno dei più importanti dei dell’induismo e viene adorato anche nel Jainismo e nel Buddismo.

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Oggi in India la festa di Ganesh è al suo culmine. Infatti i festeggiamenti sono iniziati qualche giorno fa con la Chaturthi Festival che cade nel quarto giorno di luna crescente del mese di bhadrapada, secondo il calendario indu (settembre/ottobre). Peranto, ogni anno essa avrà luogo in giorni diversi. Questa festa è importante e particolarmente sentita in Maharastra dove, per capirci, si trova Mumbai. In onore di Ganesh, che abbiamo visto essere molto goloso, è usanza preparare dei dolci (modaka, laddoo, kadubu, karanjis) da offrire alla divinità sugli altari domestici, nei templi o nelle strade. Si spaccano anche cocchi che sono simbolo dell’ego. Questo è il giorno più sacro dedicato a Ganesh. La gente, in onore di ciò che fece Parvati, preapara delle statuine in terracotta, gesso o cartapesta. Ganesh viene così adornato con un dothi rosso, ghirlande di fiori, stoffe in seta e coperto di unguento rosso e pasta di sandalo. Questo rituale si chiama Pranapratishhtha e comprende il canto degli inni vedici dei Rig Veda, Upanishad, Purana. Si organizzano rappresentazioni teatrali con tema i contenuti dei testi sacri. Siu allestiscono campi per la donazione di sangue, si fanno la carità ed altre iniziative assistenziali. Tutte queste pratiche religiose durano appunto qualche giorno finché si arriva alla data in cui la festa ha il suo momento più importante, l’Ananta Chaturdashi che appunto quest’anno è caduta il 17 settembre ovvero oggi. Allora le strade si riempiono di una grande folla, gruppi di persone che trasportano in processione dei grandi Ganesh tra danze, canti e rotture di cocchi.

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I Ganesh, sia quelli grandi preparati da abili artigiani molto tempo prima dell’evento, sia quelli piccoli realizzati in famiglia, vengono portati sulla spiaggia ed immersi in mare. Dove non esiste mare sarà un fiume o un lago a ricevere le figure o anche piccole baccinelle casalinghe o le vasche dei templi. Importante è che Ganesh venga portato in acqua. Mumbai è la città in cui questa festa è più sentita e ogni anno a sfilare sono più di 200.000 figure di Ganesh. In questa festa è vietato guardare la luna che ha deriso Ganesh.

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Testo by PASSOININDIA

leggi anche la storia di Shiva e Parvati qui

https://passoinindia.wordpress.com/2017/10/15/le-coppie-dellinduismo-shiva-e-parvati/

immagini fonte:

http://www.festivalsky.com/ganesh-chaturthi-in-mumbai.html

http://aravindb1982.hubpages.com/hub/Why-you-should-not-see-the-moon-on-Ganesh-Chaturthi-Story-of-the-Syamantaka-gem

contributi

http://www.boldsky.com/yoga-spirituality/faith-mysticism/2012/lord-ganesha-wife-030252.html

http://www.patheos.com/blogs/whitehindu/2014/09/ganesha-everything-you-need-to-know/

http://www.guidaindia.com/

http://www.amritapuri.org/3714/ganesha.aum

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Perché Ganesh ha la testa di un elefante? La festa di Ganesh: il Ganesh Chaturthi Festival (parte prima)

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Ogni anno tra agosto e settembre si festeggia in tutta l’India il Dio Ganesh, chiamato anche Ganesha, in sanscrito, Ganapati, Vinayaka e Pillaiyar. Questa festa si chiama Ganesh Chaturthi FestivalVe la descriverò nella seconda parte di questo articolo in quanto, per capirne il significato, devo prima raccontarvi la storia di Ganesh che sembra una favola per bambini ma invece contiene significati altamente religiosi per l’induismo.

La testa di elefante. Lo Shiva Purana, uno degli antichi testi sacri, racconta che un giorno la devi (divina) Parvati, moglie del dio Shiva (signore della distruzione), nella sua casa sul Mt.Kailash, si stava preparando per un bagno. Non volendo essere disturbata chiese a Nandi, il toro di suo marito, di fare la guardia alla sua porta affinché nessuno potesse entrare. Ma quando Shiva tornò a casa, volle entrare per vedere Parvati e Nandi non l’ostacolò. Parvati allora si infuriò per la poca dedizione di Nandi nei suoi confronti e prese quindi dal suo corpo della pasta di curcuma che usava per il bagno e con essa plasmò un ragazzino soffiando su di lui per dargli la vita. Fu così creato Ganesh che Parvati decretò suo fedele figlio. Da quel momento Ganesh avrebbe salvaguardato l’intimità di Parvati. Quando Shiva tornò a casa fu sorpreso da questo ragazzino che gli impediva di entrare; arrabbiato, ordinò alle sue guardie di tagliargli la testa. Parvati si offese minacciando di distruggere l’intero Creato. Shiva la supplicò di non farlo e Parvati pose allora due condizioni: la prima, che Ganesh fosse riportato in vita, la seconda, che fosse per sempre adorato prima di tutti gli altri dei. Shiva accettò mostrando la sua compassione divina. Ordinò allora ai suoi i ganas, gli esseri viventi del Creato, terreni e celesti, di portargli il capo del primo essere vivente che avessero incontrato ed essi tornarono con la testa di un elefante forte e potente, che Shiva collocò sul corpo di Ganesh che quindi tornò a vivere. Ganesh lo riconobbe finalmente come figlio e primo tra gli dei; perciò Ganesh è conosciuto anche come Ganapati ovvero capo dei ganas. Per questo motivo chi adora Ganesh crede che, ricevendo la grazia di Ganesh si riceva la grazia di tutti gli dei ed è per questo che è bene pregarlo prima di qualunque iniziativa (un’attività, un viaggio ecc.) poiché egli rimuove tutti gli ostacoli. Anche nelle nel canto dei mantra è il primo Dio ad essere invocato.

In questa mitologia Nandi rappresenta la fedeltà incondizionata al Dio e il bagno è strumento di purificazione dalle impurità e richiama il Dio Shiva. Shiva pone su Ganesh una testa di elefante; ciò significa che, prima di poter lasciare il corpo, il Signore sostituisce il nostro piccolo ego con un “grande”, o universale ego che non ci rende più egoisti ma trasforma il Sé individuale e limitato in un Sé universale, rinnovando così la nostra vita. La testa di elefante simboleggia saggezza e forza e le grandi orecchie, oltre a separare il bene dal male, simboleggiano la sua capacità di ascolto. L’elefante è un animale molto forte ma obbediente ed affettuoso verso i suoi guardiani; così Ganesh, nella sua potenza sa dare amore e perdonare oppure arrabbiarsi se non viene trattato con rispetto. La proboscide dell’elefante sa impiegare forze diverse per trasportare alberi piuttosto che per cibarsi di piccola erba così anche Ganesh, con la sua intelligenza, sa assolvere compiti, grandi e piccoli che siano. La testa di Ganesh simboleggia anche l’Atman (anima) e il suo corpo umano rappresenta la fisicità, la Maya, l’esistenza terrena degli uomini. Si è inoltre spesso notato che il profilo della testa di Ganesh assomiglia molto all’Om, simbolo della divina presenza e suono che si generò quando il mondo venne creato. Ganesh è dunque l’unica divinità del pantheon indiano associato anche fisicamente col sacro suono primordiale e con l’origine dell’Universo. In realtà ci sono molte altre storie su Ganesh nella mitologia indu ma questa è la più conosciuta.

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sopra: Ganesh, Parvati e Shiva, il simbolo dell’om e il profilo di Ganesh

Ganesh e il viaggio intorno al mondo. Ganesh è anche riverito per la sua intelligenza; quando egli gareggiò con il suo atletico fratello Kartikeya per decretare chi fosse il più veloce a fare il giro del mondo ed ottenere così il privilegio di essere il primo a sposarsi, Ganesh, nonostante la sua grande pancia e la sua testa di elefante, riuscì a vincere avendo girato semplicemtne intorno ai suoi genitori che per lui rappresentavano tutto il mondo. Anche questo spiega la sua saggezza e intelligenza. Negli antichi testi Veda è infatti scritto: “colui che abbraccia i suoi genitori sette volte è come se avesse girato sette volte intorno al mondo“. Ganesha si sposò ed ebbe figli.

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sopra: Ganesh con le sue spose Siddhi (potere spirituale) e Riddhi (prosperità)

Nel sud dell’India, Ganesh è invece considerato Dio non sposato non essendo stato in grado di trovare una donna perfetta come sua madre Parvati.

                                                  continua qui

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Chandni Chowk, il grande mercato di Delhi.

Quando vado a Chandni Chowk con i turisti, che accompagno per lavoro (sono una guida indiana), mi diverte il loro stupore.

IMG-20150904-WA0005La zona ospita uno dei mercati più antichi, tra i più importanti dell’India, nel cuore della vecchia Delhi che viene chiamato anche Shahjahanabad. Fu infatti il grande imperatore dell’India Shah Jahan (che ideò il bellissimo Taj Mahal di Agra) a farlo realizzare per desiderio e su progetto della figlia Jahan Ara, nell’era dei Moghul, 17° secolo; il nome Chandni Chowk significa “piazza al chiaro di luna”, perché quel luogo era un tempo diviso da un canale per la fornitura dell’acqua che rifletteva appunto la luna.

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Ciò che appaga chiunque visiti questo posto è la sua capacità di portare indietro in quel passato tempo ormai rimpiazzato troppo spesso dai magazzini della grande distribuzione.

Chandni Chowk è un dedalo di strade strette e affollate con negozi e bancarelle che vendono davvero di tutto, dai libri all’abbigliamento, dalle calzature ai prodotti elettronici, dall’oro all’argento, dal pellame ai gioielli, dagli arazzi agli oggetti di antiquariato, ai vestiti per le nozze… e tutto quant’altro vi possa venire in mente, persino animali come pecore, capre, galline vive che poi…

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Ci sono anche barbieri e pulitori d’orecchi.

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Il colpo d’occhio, che cade anche sulle variopinte piramidi di spezie di ogni genere, quello che esalta i turisti, è un congestionato scenario pieno dei colori delle sete svolazzanti che fanno da anticamera a piccoli e grandi negozi dove i commessi, prevalentemente uomini, dispiegano, con una capacità da sbandieratori provetti, metrature di setose e scintillanti stoffe, e le donne, seriamente immerse nell’affare, scelgono la più congeniale per il loro prossimo abito.

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E’ davvero tanta la gente a Chandni Chowk, di tutti i tipi e sfumature e i turbanti pastello sembrano camminare da soli in mezzo a tutta quella folla. I miei clienti si divertono sui richshaw (un carro trainato da un uomo a piedi o in bicicletta), facendo centinaia di foto alle scene del commercio quotidiano mentre io devo badare che non si perdano! Anche l’olfatto ha il suo da fare, perché il profumo è quello della autentica cucina indiana, con le sue prelibatezze e i suoi dolci.

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E’ l’odore invitante del cibo di strada, dei tanti tipi di pane che, per forma e ingredienti, hanno nomi diversi come il chapati, il roti, il naan, solo per citare i più popolari; è l’odore delle parathas (una sorta di focaccia tonda) fritte con puro ghee in pentole di ghisa, servite con chutney (salse) di gusti vari come menta, banana, tamarindo e con verdure sottaceto oppure ripiene di patate, cavolfiore, piselli, lenticchie, carote, fieno greco, ravanello oppure farcite con paneer (formaggio fresco), menta, limone, peperoncino, frutta secca, anacardi, uvetta, mandorle, karela (chiamato anche melone amaro ma con l’aspetto di un cetriolo).

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E’ l’odore delle papad (cialde croccanti molto saporite), del rabdi (un dolce fatto con yoghurt e farina), del khurchan (una zuppa a base di paneer, pomodoro e spezie), dei jalebis fritti in puro ghee, del pao bhaji cucinato con verdure, patate e coriandolo (simile al nostro prezzemolo ma di gusto diverso). 

I venditori di dolci (halwais), quelli di salatini, (namkeenwallahs) e di pane (paranthewallahs) sorridono allo straniero invitandolo all’assaggio delle kachoris, polpette fritte ripiene di patate e piselli, dei gobhi-matar, fatti con cavolo e piselli, delle samosa, inconfondibili per la loro forma triangolare, fritte e ripiene di carne o verdure, delle matar paneer tikki, a base di spezie e verdure.

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E’ il sapore dei chaats, un mix di snack piccanti, speziati e salati come il gol gappe, il dahi vada, il dahi bhallaun, un gnocco fritto con cagliata, cioccolato nero, chutney di tamarindo e semi di melograno, oppure fatti con la frutta.

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E’ il sapore delle kachori, di solito ripiene di legumi e servite con patate al curry e delle aloo tikki ripiene di patate e piselli. Il tutto gustato con il chai, il tipico thè indiano con latte e spezie.

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Una vera esplosione di sapori. Tutta la vecchia Delhi è famosa per la sua prelibatissima cucina.

Alcuni tra i ristoranti più frequentati si trovano proprio qui. Persino il gelato si può trovare nella vecchia Delhi; il rabdi faluda, che va servito freddo, è molto simile quando arricchito con crema di vaniglia; il kulfi è un dessert gelato al latte di vari gusti tra cui rosa, mango, melograno, litchi.

Sul versante musulmano, di fronte alla moschea Masjid, l’aroma del cibo di strada aleggia nell’Urdu Bazaar che significa “mercato dell’accampamento imperiale” e la lingua urdu (lingua nazionale del Pakistan e lingua ufficiale dell’amministrazione indiana insieme con hindi e inglese) significa proprio accampamento. E’ l’odore del pesce, degli spiedini aromatici e del pollo fritto. Qui si vendono sopratutto kebab, stufati di montone e tikkas (con carne di bufalo) avvolti in rumali roti (sottile carta di pane).

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Chandni Chowk è anche un meltin pot religioso; persone di tutte le religioni lo frequentano o lo attraversano, anche per ragioni di fede. I gaininsti si dirigono verso il tempio Jain Digamber, il più antico tempio Jain nella capitale, originariamente costruito nel 1656, alla foce di Chandni Chowk, proprio di fronte al Forte Rosso. Gli induisti raggiungono il vicino tempio di Gauri Shanker da 800 anni dedicato al culto di Shiva. A pochi passi si trova la chiesa Battista centrale istituita nel 1814 e il Gurudwara Sikh Sis Ganj Sahib, costruito nel 1783, in onore del nono Guru Sikh Teg Bahadur e di alcuni suoi seguaci giustiziati dai Moghul in quel luogo nel 1675 d.C. 

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Ma è il Red Fort (o Lal Qila di Delhi ) che si fa notare, proprio davanti al Chandni Chowk, costruito in nove anni da Shah Jahan come palazzo ufficiale dei Moghul. Di fronte ad esso, la splendida Jama Masjid, l’ altro edificio che Shah Jahan costruì in 6 anni, una delle più grandi moschee di Delhi.

Questa è Chandni Chowk, con anche i suoi palazzi a volte fatiscenti, con gli intrecci penzolanti dei fili della luce, con i sadhu, i poveri  e i mendicanti ma un vero spaccato di India autentica. Lascio i turisti soddisfatti con, negli occhi, i colori di Chandni Chowk.

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Testo e photo by PASSOININDIA

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Il potere dell’Ayurveda.

L’antichissima medicina ayurvedica che ha avuto origine in India, pare quasi 5000 anni fa, ha le sue radici nell’antica civiltà dei Veda, complesso di testi sacri da cui prende nome la più antica religione delle popolazioni arie dell’India (vedismo) e da cui successivamente si sviluppa l’induismo. Il termine, sanscrito, deriva da “Ayur“, vita e da “Veda“, conoscenza e significa “conoscenza della vita”. I trattamenti preventivi e curativi ayurvedici si approcciano alla persona, per conseguirne il benessere, in modo olistico operando cioè su diversi piani, allo scopo di ripristinare l’equilibrio tra corpo, mente e spirito. Il moderno stile di vita, le condizioni ambientali, i nostri comportamenti alimentari scorretti, la mancanza di esercizio fisico e le tensioni relazionali possono creare squilibri fisici, emotivi e spirituali che hanno come conseguenza una disarmonia da cui nascono i nostri disagi e malattie. L’equilibrio che l’Ayurveda ricerca è quello tra l’uomo e tutto ciò che lo circonda con cui è inevitabilmente in costante interazione, mirando al recupero delle sue capacità di autoguarigione affinché egli diventi responsabile del suo naturale stato di salute. Secondo l’Ayurveda, che è anche filosofia e disciplina del vivere, la salute è intesa come equilibrio tra i tre umori corporei o dosha, termine che non a caso significa ciò che va velocemente fuori equilibrio”. Ma cosa sono i dosha? Proviamo a spiegarlo. La filosofia di base dell’Ayurveda è la Sāṃkhya, uno dei sei sistemi della filosofia vedica da cui nascono le dottrine indu (darsana) e che tratta dei principi cosmici, cui si rifanno i testi sacri Veda e Upanishad. Secondo la Sāṃkhya, la realtà deriva dalla relazione tra i due principi eterni, Purusha e Prakriti. La Prakriti, quella che la Bhagavadgītā, poema e testo sacro indu, definisce forza motrice primordialeè la causa originaria per cui l’ Universo esiste e si esprime quando Purusha (o Atman – l’anima o sé superiore) ne ha bisogno per manifestarsi. Purusha è il principio fondamentale all’origine dell’Universo, puro spirito, tutto e nulla, senza tempo e senza spazio, non manifesto, non attivo, perpetuo, coscienza e consapevolezza, origine della soggettività e del senso del sé, ciò che ci rende coscienti e capaci di agire individualmente. Quando Purusha desidera rivelarsi e fare esperienza ha bisogno della natura primaria, la Prakriti che, a sua volta, per animarsi, ha bisogno della coscienza di Purusha; infatti Prakriti, è “Madre Divina”, forza creativa ma non cosciente che tuttavia mette a disposizione la materia prima con cui vengono formati mondi e corpo umano. E’ la Prakriti che conserva i karma (per cui l’agire dell’ uomo comporta conseguenze morali che lo vincolano al ciclo doloroso delle rinascite da cui invece vorrebbe liberarsi, il samsara) e il samskara cioè la memoria delle esperienze di vita che determinano l’orientamento dell’essere incarnato nella vita presente. Il dinamismo dell’universo è dovuto proprio alla interazione di questi due elementi primordiali e indissolubili. Il Purusha è la base cosciente di tutte le manifestazioni e su questo concetto si basa l’insegnamento del Vedanta (delle scritture Veda) che vede il Purusha come unica realtà e considera la creazione materiale di Prakriti una realtà solo illusoria (Maya) che brilla della luce riflessa di Purusha. Per realizzare il suo compito Prakriti è composta di tre qualità fondamentali (guna) cioè Rajas che mette in moto ciò che si manifesta, Sattva, la componente che illumina, che lo rivela, e Tamas, l’oscurità che tende ad ostacolare il dinamismo della manifestazione. Prakriti impregna tutti i cinque elementi (Panchamahabuta) che concorrono all’espressione micro e macrocosmica dell’universo, spazio, aria, fuoco, acqua e terra. Il passaggio nell’Universo dal Purusha alla Prakriti si è avuto gradualmente. Dalle vibrazioni del primordiale suono cosmico “Aum” si manifestò l’ elemento Etere che, muovendosi, diede origine all’Aria e produsse calore le cui particelle si combinarono originando luce intensa che si manifestò come Fuoco. A causa del Fuoco, alcuni elementi eterei si trasformarono in liquidi, originando l’Acqua. Quando l’Acqua si solidificò diede origine alla Terra. E dalla Terra furono creati tutti i corpi viventi organici sia del mondo vegetale che di quello animale, incluso l’uomo.

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Ognuno di questi elementi ha una sua caratteristica cosmica, è campo di espressione di diverse idee e ha una propria sede in una parte del corpo umano; così Etere è lo spazio, comunicazione ed espressione (suono-orecchio), Aria è il tempo, il cambiamento e origina il pensiero (pressione-tatto pelle), Fuoco è luce e calore, percezione e movimento (occhi), Acqua è l’idea della vita, liquidità e movimento fluente (sapore-gusto-lingua), Terra è la forma, la solidità e la stabilità (odore-naso). Etere è leggerezza, cedevolezza, duttilità, Aria è pressione, freddezza, ruvidità, aridità, Fuoco è chiarezza e acidità, Acqua è fluidità, morbidezza, viscosità, Terra è solidità, pesantezza, lentezza. Le energie dosha Pitta, Kapha e Vata dipendono proprio da tali elementi presenti in corpo, mente e anima, con cui si esprime l’Intelligenza Cosmica, e che, secondo l’Ayurveda, sono l’idea che va a generare ogni oggetto materiale, anche l’uomo, ovvero tutto ciò che non è spirito. Così la creazione si svolge sotto il controllo di Pitta, il mantenimento sotto il controllo di Kapha, la distruzione sotto il controllo di Vata. Secondo l’Ayurveda, che intende riequilibrare i tre dosha, Vata, l”aria che muove”, corrisponde ad aria, etere (vento), rappresenta il movimento e la sua sede anatomica è la cavità pelvica e precisamente l’intestino crasso e il colon e comanda le funzioni del sistema nervoso e circolatorio; Pitta, il “fuoco che trasforma” fatto di fuoco e acqua (calore) rappresenta la trasformazione e governa il sistema digestivo e metabolico, risiede nell’addome, nella parte inferiore dello stomaco e nell’intestino tenue; Kapha, l’”acqua rigogliosa”, è acqua e terra (liquido), risiede nei bronchi e gestisce il sistema endocrino ed immunitario, oltre ai fluidi corporei. La Prakruti è caratterizzata proprio dalla percentuale di presenza di questi tre dosha, una combinazione unica di caratteristiche fisiche (ad esempio chi ha una Kapha dominante potrebbe avere capelli più spessi ed essere più lento), psicologiche e comportamentali (ad esempio le persone con Pitta dominante sono di solito più aggressive) che l’individuo conserva per tutta la vita e che influenzano il modo in cui egli funziona, pensa e agisce. Ma quando i dosha non sono più in equilibrio, per i motivi che abbiamo detto all’inizio, allora l’Ayurveda deve intervenire e, attraverso una diagnosi non invasiva, studiando la dieta del paziente, le sue abitudini, il suo comportamento di vita, le sue caratterstiche fisiche ed altri fattori, individua il dosha dominante dell’individuo e interviene per bilanciare i dosha tra di loro.

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Le terapie curative ayurvediche operano prescrivendo una idonea dieta, erbe medicali, esercizi fisici di yogasana e di meditazione, massaggi e proponendo comportamenti sociali e relazioni positive; anche trattamenti chirurgici sono possibili. Tra le erbe, ad esempio, l’Ashwagandha nella cura dell’ansia, la Boswellia serrata, (originata dal medesimo albero usato per fare l’incenso indiano), nella cura delle infiammazioni, la Gugulipid, una gomma arborea contro il colesterolo, la curcuma, una spezia antiossidante, antinfiammatoria, antivirale, antibatterica, antimicotica e antitumorale, la Rasayana per equilibrare il sistema immunitario.

Ayurveda da www.curejoy.com

In India è il Kerala, nel sud del Paese, il paradiso dell’Ayurveda, dove il clima sereno, l’abbondanza naturale di foreste (con un gran numero di piante medicinali) e la stagione fresca dei monsoni (da giugno a luglio, e da ottobre a novembre) sono l’ideale per una serie di trattamenti offerti da centri specializzati e ufficialmente riconosciuti, ad esempio per curare l’artrite, il sistema nervoso o per godere di particolari massaggi di bellezza per la pelle ed i capelli, a base di erbe ed olii speciali. La stagione delle piogge, da giugno a settembre, è il momento ideale per trattamenti ayurvedici perché l’atmosfera, fredda, umida e senza polvere, aiuta i pori ad aprirsi, rendendo il corpo ricettivo agli oli vegetali e alla terapia.

contributi

http://www.centroayurveda.it/it/ayurveda/43-offerta-di-un-breve-testo-per-comprendere-i-tre-dosha-vata-pitta-e-kapha.html

http://www.himadevaum.it/trattamenti/ayurveda_03.htm

http://www.yogawaytrieste.org/samkhya.html

wikipedia

https://it.wikipedia.org/wiki/Dar%C5%9Bana

https://it.wikipedia.org/wiki/Prak%E1%B9%9Bti

http://www.ayurvedaindia.it/ayurveda/cinque-elementi.html

http://www.benessere.com/salute/ayurveda/aspetti_filosofici.htm

La festa del Dio Krisha, il Janmashtami.

Oggi in tutta l’India c’è la grande festa induista di Janmashtami che celebra il dio Krishna, conosciuto anche come Kanha o Govinda. Chiunque sia stato in India ha visto questa divinità celebrata in templi ed altari di strada o domestici ed ora vi racconto la sua storia.

Krishna è la divinità suprema e popolarissima per l’induismo, l’ottava incarnazione (avatar) di Lord Vishnu. E’ bella la storia di Krisha e anche un po’ familiare, se vista con gli occhi di un occidentale. I testi sacri indu Mahābhārata, Harivamsa, Bhagavata Purana e Vishnu Purana raccontano della nascita e della vita di Krishna, ambientata in nord India soprattutto negli attuali Stati di Uttar Pradesh, Bihar, Haryana, Delhi e Gujarat. Secondo storici e astrologi la data di nascita di Krishna, conosciuta appunto come Janmashtami, sarebbe riconducibile al 18 luglio del 3228 aC. Il suo nome, Krishna, deriva dal sanscrito che significa “nero”, “dark” o “blu scuro” e per questo spesso Krishna è raffigurato con la pelle nera o blu.

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Krishna fu figlio della principessa Devaki, sua madre e Vasudeva, suo padre. Krishna nacque quando Madre Terra, sconvolta dai peccati commessi sulla Terra, chiese aiuto al Dio Vishnu che andò a trovare sotto forma di mucca. Vishnu, accettando di aiutarla, le promise che lui, Vishnu, sarebbe nato sulla Terra. Intanto, sulla Terra, un principe di nome Kansa aveva mandato suo padre Ugrasena, re di Mathura in prigione per usurpargli il trono. Ma un giorno una gran voce dal cielo profetizzò che l’8° figlio della sorella di Kansa (Devaki, la futura madre di Krishna) avrebbe ucciso Kansa. Kansa allora mise Devaki e suo marito Vasudeva in prigione dove, in seguito, Vishnu apparve loro per dirgli che lui stesso sarebbe stato il loro ottavo figlio e avrebbe ucciso Kansa e distrutto il peccato del mondo. Krishna quindi, in qualità di Vishnu, produce il concepimento e diventa anche prole. Infatti a causa della sua simpatia per la Terra, il divino Vishnu stesso discese nel grembo di Devaki e nacque come suo figlio, cioè Krishna. Al momento del concepimento e della nascita di Krishna, Devaki e Vasudeva avevano già concepito 7 figli. I primi sei figli di Devaki furono uccisi da Kansa mentre il settimo sembrò perire in un aborto spontaneo ma in realtà il vero grembo che portò avanti la gravidanza segreta fu quello di un’altra donna, Rohini. Fu così che nacque Balarama, il fratello maggiore di Krishna. Krishna apparteneva al clan dei Yadava da Mathura (oggi quartiere dell’Uttar Pradesh), ed essendo proprio l’ottavo figlio, Vasudeva sapeva che la sua vita era in pericolo; per salvarlo, fece segretamente portare Krishna fuori della cella della prigione dai suoi genitori adottivi, Yasoda e Nanda.

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Questi erano di Gokula (oggi quartiere di Mathura) e Nanda era il capo di una comunità di vaccari e si stabilì a Vrindavana. Le storie dell’infanzia e della giovinezza di Krishna raccontano come sia diventato un mandriano, i suoi scherzi maliziosi quando ruba il burro e il suo ruolo di protettore del popolo di Vrindavana. Per questo egli è raffigurato spesso come un bimbo con il burro nelle mani o vicino a pecore e mucche.

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Infatti Krishna è conosciuto anche come Govinda, “il raccoglitore delle vacche” o Gopala, “Protettore delle mucche”, riferendosi proprio alla sua infanzia. Krishna fu protettore della sua gente, uccise i demoni Putana e Trinavarta, è domò il serpente Kaliya che aveva avvelenato le acque del fiume Yamuna provocando la morte dei butteri. Ecco perché nell’iconografia indu Krishna è spesso raffigurato mentre balla su Kaliya. Kaliya-Mardan1

Krishna protesse il suo popolo di Vrindavana dall’ira di Indra, re dei deva (divinità) e signore delle piogge e dei temporali che si arrabbiò quando Krishna aveva consigliato alla gente di Vrindavana di prendersi cura dei loro animali e del loro ambiente invece di adorare Indra ogni anno, spendendo le proprie risorse; come Krishna racconta nella Bhagavat Purana, Indra, furioso, si vendicò con l’invio di una grande tempesta; Krishna allora sollevò la collina di Govardhan e la tenne sopra le persone, proprio come un ombrello. La Rasa Lila o Rasa dance, descritta nella Bhagavata Purana e nella Gita Govinda, ad esempio, racconta le storie di gioco di Vishnu con le le gopi, le pastorelle di Vrindavana, soprattutto con Radha, divenuta sua consorte. 

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L’infanzia di Krishna è un’infanzia divertita, Krishna suona il suo flauto e le gopi arrivano subito introno a lui, sulle rive del fiume Yamuna, dove cantano e ballano. Infatti Krisha viene anche raffigurato come un giovane rilassato con il suo strumento musicale o visto come un amante perfetto. Anche quando combatte contro il serpente Kaliya, Krishna sembra giocare, non è in alcun pericolo reale. Questa idea di avere un dio giocoso è molto importante nell’induismo. La giocosità di Krishna ha ispirato molte celebrazioni, come il Rasa-lila e, appunto, la odierna festa di Janmashtami in cui si fanno piramidi umane per rompere vasi di terracotta (handis) sospesi in aria da cui si rovescia il latte su tutte le persone sottostanti. Ecco perché Janmashtami è una celebrazione divertente che unisce la gente. Alla fine, Krisha, ragazzo, tornò a Mathura e uccise suo zio materno, Kansa, ripristinando il vero re, padre di Kansa, Ugrasena, come il re del Yadava. Diventato un principe di corte, Krishna fece amicizia con Arjuna (il grande protagonista del racconto della Baghavat Gita) e altri principi suoi cugini. Più tardi, prese i suoi sudditi Yadava e li portò alla città di Dwaraka (nella moderna Gujarat), dove stabilì il suo regno. Krishna sposò Rukmini, principessa di Vidarbha, che gli aveva chiesto di salvarla dalla proposta di matrimonio di Shishupala. Oltre lei, Krishna sposò altre regine, Rukmini, Satyabhama, Jambavati, Kalindi, Mitravinda, Nagnajiti, Bhadra e Lakshmana e, successivamente, ben 16.000 fanciulle imprigionate dal demone Narakasura, che uccise, per salvare il loro onore. Secondo l’usanza sociale del tempo, infatti, tutte le donne prigioniere sotto il controllo di Narakasura furono degradate e non avrebbero più potuto sposarsi. Perciò Krishna le sposò per ripristinare il loro status nella società. Nella tradizione vaisnava (da Vishnu), una delle tre correnti principali dell’induismo, insieme a Shivaismo e Shaktismo, le mogli di Krishna sono forme della dea Lakshmi, consorte di Vishnu, o speciali anime che hanno raggiunto questa qualifica dopo molte vite di austerità, mentre le sue due regine, Rukmani e Satyabhama, sono espansioni di Lakshmi.

La tradizione induista e i testi sacri sono ricchi di storie su Krishna, così come è ricca la sua iconografia. Nei templi lo troviamo anche raffigurato come un uomo in piedi in posizione formale, solo o associato ad altre figure come suo fratello Balarama e sua sorella Subhadra, o con le sue regine come Rukmini o con la sua consorte gopi Radha. La sua scomparsa segna la fine del Dvapara Yuga e l’inizio del Kali Yuga (l’attuale età), che è datata febbraio 17/18, 3102 aC.

Nella festa di Janmashtam i devoti di Sri Krishna lo adorano, vegliano tutta la notte ascoltando i suoi racconti e le sue imprese, recitando gli inni della Gita, e cantando canti devozionali, tra cui il mantra Om namo Bhagavate Vasudevaya.

Oggi, a Dwaraka, il regno di Krishna, il tempio Dwarkadhish è affollato più del solito. I fedeli arrivano numerosi per avere il Darshan, la visione sacra. Il signore Krishna è lavato e decorato con preziosi ornamenti e i fedeli gli fanno continue offerte di cibo, soprattutto prodotti lattiero-caseari. Dopo mezzanotte, celebrando il Janmashtami, con la frase “Nand Gher Anand Bhaio, Jay Kaanha Laal Ki“, i devoti accolgono il Signore supremo Krishna fino alle 2 e mezza della mattina quando il tempio viene chiuso.

Anche a Vrindavan questa occasione viene celebrata con grande sfarzo e spettacolo. Raslilas o drammi religiosi vengono eseguiti per ricreare le storie della vita di Krishna e per commemorare il suo amore per Radha. Si canta e si danza. A mezzanotte, la statua del bambino Krishna è bagnata e messa in una culla, che viene cullata, tra il soffio di conchiglie e il suono delle campane.

Più ad ovest, a Mumbai, il Dahi Handi è il modo più popolare di celebrare Janmashtami o Krishnashtami.

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Il Dahi Handi è una pentola di terracotta sospesa in aria e piena di burro e yogurt. I fedeli formando una piramide umana, che simboleggia l’armonia del gruppo, devono consentire a chi è in alto alla pila di romperla con un oggetto duro, ad esempio una noce di cocco, affinché il burro possa cadere su di loro.

Le persone coinvolte in questa performance sono noti come Govinda Pathak; tutto avviene al ritmo del Govinda Ala Re“, un enorme applauso costantemente cantato durante la performance. Il Dahi Handi viene celebrata con estrema devozione e aggiunge grande fervore per le strade di Mumbai.

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Mentre le celebrazioni al tempio di Dwarkadhish rivelano il lato spirituale di Krishna, il festival Dahi Handi evidenzia la sua natura maligna. Janmashtami viene ovviamente celebrata anche a Mathura similarmente a come avviene a Dwaraka.

La festa di Janmashtami sarebbe anche proprizia per la fertilità della coppia che, allo scopo, è tenuta a seguire un preciso rituale che comprende l’adorazione di Krishna in forma di bambino a cui, oltre alla puja, ovvero la preghiera, vengono offerti bastoncini di incenso, lampade, foglie di basilico, pasta di sandalo e Bhog (cibo sacro) di burro.

Non è bellisssima, la storia di Krishna?

Il nome di Krishna compare nei testi buddisti come Kanha che, foneticamente equivalente a Krishna. Anche i fedeli bahá’i  credono che Krishna fosse una una manifestazione di Dio.

(per i baha’i guarda qui https://passoinindia.wordpress.com/tag/bahaullah/

Testo by PASSOININDIA

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