Bellezza e sacrificio. L’offerta dei capelli agli dei

Quanto sono belli, lucidi e fluidi i capelli delle donne indiane! Quale donna non ha mai desiderato averli sulla propria testa? E’ noto che chi non ne è naturalmente dotata può ricorrere a parrucche od extension, l’allungamento artificiale dei propri con altri artificiali o naturali. Alcune si saranno anche domandate da dove arrivino.

Le donne indiane sanno di possedere sotto questo aspetto un dono naturale di bellezza, li curano moltissimo, li adornano, ne fanno cornice preziosa dei loro stupendi abiti e sono probabilmente proprio i capelli a conferire loro quella innata eleganza e femminilità che non fa distinzione di casta.

Ebbene, c’è un luogo (a dire il vero più di uno ma questo è il più famoso), in India, dove le donne si privano della propria chioma per offrirla alla divinità, secondo una antica tradizione che si chiama Mokku. Succede, fin dai tempi antichi, al tempio di Tirupati Balaji, in Andra Pradesh, anche chiamato Bhuloka Vaikuntham, che significa “dimora di Vishnu sulla terra”.

Qui, ogni giorno, migliaia di persone donano i propri capelli. La divinità del tempio è Lord Venkateswara, un avatar (incarnazione) del Dio Vishnu.

Il tempio, la cui costruzione è probabilmente iniziata nel 300 d.C. ,è il più ricco dell’India grazie alla rivendita di capelli e alle donazioni, anche in oro e gioielli, fatte dai devoti alla divinità. Per gli induisti, queste donazioni consentono a Vishnu di ripagare il debito contratto nei confronti di Kubera ed infatti, come sempre, vi è una lunga storia, al proposito, nelle scritture indu. La mitologia racconta (qui, in breve, perché la storia è davvero molto più lunga) che quando Vishnu nacque sulla terra per cercare la sua Lakshmi che lo aveva lasciato, si incarnò in una donna di nome Vakula Devi assumendo il nome di Lord Srinivasa; egli, che viveva in un formicaio, incontrò un giorno Padmavati, figlia di un re Chola nonché reincarnazione sulla terra della dea Lakshmi, di cui, ricambiato, si innamorò. Ottenne il consenso per il matrimonio dagli dei e i denari per la cerimonia da Kubera, il dio della ricchezza che gli concesse un prestito da rimborsare con tanto di interessi entro la fine del Kaliyuga (nell’induismo per Yuga si intende un’era e la Kaliyuga è un’era oscura, di grande decadenza)

I pellegrini, quindi, aiutano il Dio a rientrare dal proprio debito con le loro preziose offerte, capelli compresi. Secondo stime, ogni anno il tempio rivende 75 tonnellate di capelli, per un giro di affari di circa 140 milioni di euro all’anno, il cui utile dovrà essere devoluto in opere di assistenza e beneficienza.

Le donne lasciano così la propria vanità facendosi operare la tonsura, secondo quel rituale che un tempo, ed ora abolito, era anche proprio della cristianità e consisteva nel taglio di cinque ciocche di capelli effettuato dal vescovo, a simboleggiare la rinuncia al mondo da parte del chierico novizio.

Tutto, nell’edificio e locali annessi, è ben organizzato ai fini della tonsura (gratuita): le prenotazioni tramite i gettoni generati dai computer, le sale, le file, il darshan (l’incontro faccia a faccia con la divinità), i moltissimi rasatori (più di mille), gli antisettici per la disinfezione delle chiome, la fornitura di acqua calda per i risciacqui e le strutture ricettive.

Ci sono tagli e capelli di tutti i tipi, fino alla rasatura completa della testa. I capelli più pregiati sono i capelli cosidetti Remy, i migliori perchè raccolti tra loro dal lato della radice e mantenuti tali durante tutta la lavorazione. Se cercate “capelli Remy” in internet, Amazon ve ne offre in gran varietà (!).

Anche la lavorazione dei capelli segue regole precise e anche in questa fase sono molti gli addetti che si occupano di lavare e confezionare una vera e propria montagna di capelli in attesa di essere rivenduti.

L’ingresso al tempio è riservato ai soli induisti ma anche solo l’esterno vale una visita. E’ uno di quei luoghi, come ce ne sono tanti in India, dove si respira una spiritualità autentica.

testo by PassoinIndia

Il mito indu: la zangolatura dell’Oceano di latte

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Il SAGARA MANTHAN o Samudra Manthan o Ksheera Sagara Manthan raccontato nel Bhagavata Purana, nel Vishnu Purana, e nel poema epico Mahabharata, è uno dei più famosi miti dell’induismo. La storia comincia con l’eterna lotta tra  i DEVA (dei) e gli ASURA (antidei) che agognano al dominio sui tre mondi. I deva, allora non immortali, quindi semidei, hanno bisogno, per vincere i demoni, dell’AMRITA, nettare dell’immortalità che si trova dentro il grande OCEANO DI LATTE. Per raccogliere questo nettare è necessario frullare l’oceano, impresa grandiosa che, come VISHNU suggerisce ai deva, può riuscire solo se essi chiedono aiuto agli asura. Così i deva seguono il consiglio di Vishnu e promettono agli asura che divideranno con loro il nettare. Per zangolare l’immensa distesa di acqua, intendono utilizzare il monte più alto dell’ universo, il MANDARA e, per staccarlo dalla sua sede, interviene GARUDA, l’aquila divina, veicolo e seconda incarnazione di Vishnu, che porta il monte al centro dell’Oceano. (Ogni divinità dell’induismo ha un proprio animale caratteristico, che rispecchia una sua qualità essenziale e che è chiamato vahana, “veicolo” o “cavalcatura”, perché le divinità sono spesso rappresentate sedute su di essi).

Avendo essi anche bisogno di una corda da avvolgere intorno al monte affinché questo, ruotando, smuova il mare, accorre VASUKI, il re dei serpenti. I deva tengono la coda del serpente, gli asura la sua testa (forse l’hanno preteso o forse gli è stato concesso, visto che  l’enorme testa di Vasuki è considerata la parte più nobile). Grazie al loro grande sforzo, la montagna inizia a ruotare sempre più velocemente finché Vasuki vomita buttando fuori il suo veleno (HALAHAL) che ora invade l’oceano e rischia di avvelenare tutto ciò che vi si trova. I deva chiedono quindi aiuto a SHIVA che beve il veleno ma, su raccomandazione della sua consorte PARVATI, lo trattiene nella sua gola che da allora diventa blu e lo resterà per sempre. La montagna sta affondando ma Vishnu, sotto forma di KURMA, la tartaruga, sostiene la montagna con il suo carapace. L’oceano di latte, frullato, è ora tutto schiuma e latte. Dopo mille anni e più di fatica qualcosa finalmente viene a galla. Sono i RATHA, i tesori del mare. Vi sono dee, tra cui LAKSHMI, la dea della salute, fortuna e prosperità che prende subito per mano Vishnu diventandone consorte; SURA, dea del vino che inebria ed altre ninfee divine.Vi sono 3 animali, KAMADHENU, il bue bianco che soddisfa i desideri e che Vishnu darà ai saggi affinché il burro (ghee) derivato dal suo latte venga utilizzato nei sacrifici, AIRAVATA ed altri elefanti, UCHHAISHRAVAS, il divino cavallo a sette teste, che verrà dato agli Asura. Dalle acque emergono anche tre oggetti che vediamo rappresentati nell’immagine di Vishnu, KAUSTUBHA, il gioiello più prezioso al mondo, l’ARCO, che ricorda la belligeranza degli asura, la CONCHIGLIA che procura un suono (Om) che atterrisce i demoni e li fa fuggire. E poi, ancora, il PARIJAT, l’albero divino dai fiori perenni, che gli dei porteranno all’ Indraloka, il paradiso di Indra, CHANDRA, la luna che adorna la testa di Shiva, DHANVANTARI, il  medico degli dei con la coppa che contiene il nettare dell’immortalità! Ora devi e asura litigano per l’Amrita che ognuno vuole per sé. Vishnu dunque interviene questa volta sotto forma di MOHINI, l’eterno femminino. Tutti d’accordo che sia lei a distribuire il nettare. Ma lei, ballando, da agli asura vino inebriante e ai deva il nettare dell immortalità.

 

Significato del mito.

Simbolicamente, questo mito rappresenta lo sforzo spirituale degli esseri umani per ottenere l’immortalità o la liberazione (Moksha) dal ciclo delle rinascite attraverso pratiche yogiche come la concentrazione, il ritiro dei sensi, l’autocontrollo, il distacco, le austerità e la rinuncia. Il corpo umano è un cosmo, proprio come l’oceano di latte, dove gli dei rappresentano gli organi di senso, la virtù e il principio del piacere, la purezza e l’intelligenza, mentre i demoni rappresentano l’illusione, le tendenze malvagie, il principio del dolore, l’oscurità e grossolanità del corpo. La zangolatura dell’oceano è il processo del cambiamento che richiede l’integrazione e lo sfruttamento di energie positive e negative, di corpi sottili e grossolani. Le negatività concorrono a rafforzare la determinazione e il carattere. L’oceano di latte (ksheer sagar) è la mente o la coscienza, nell’induismo sempre paragonata a un oceano (mano sagaram) mentre pensieri, emozioni, e proiezioni della mente sono assimilati alle movimento delle onde. L’oceano simboleggia anche il Samsara o il mondo fenomenico (samsara sagaram), un misto tra il bene e il male che partecipano alla continuazione del mondo e svolgono un ruolo importante nella liberazione degli esseri umani. Il veleno è la morte e il comportamento causato dal desiderio e dall’attaccamento che produce karma negativo. Il nome della montagna, Mandhara  è formato da due parole che significano uomo e linea (o punto) che quindi simboleggia una mente ferma in uno stato di concentrazione. La tartaruga qui sta per pratyahara, il ritiro in se stessi, essenziale per praticare la concentrazione (dharana) e la meditazione o la contemplazione (dhyana). Dio, il Sé o Vishnu, è il supporto per la mente in qualsiasi azione spirituale. La tartaruga ha un duro guscio e un corpo tenero tenere, come lo stato mentale di uno yogi, impenetrabile ma compassionevole qe pieno di devozione a Dio. La tartaruga simboleggia anche la testa umana. Il guscio è il cranio e le parti interne sono il cervello. La testa è il supporto di tutte le attività spirituali proprio come Vishnu è nella zangolatura dell’oceano.

Il grande serpente Vasuki rappresenta il desiderio o l’intenzione. Nel simbolismo indù, il desiderio è tradizionalmente paragonato a mille serpenti incappucciati.  Per ottenere la liberazione occorre intenzione e iniziazione alla spiritualità. I desideri sono anche le forze motrici delle nostre azioni o dei nostri sacrifici. Le azioni guidate dal desiderio sono responsabili del karma, mentre le azioni senza desideri, che sono eseguite per il benessere del mondo, come i sacrifici quotidiani, o come offerte sacrificali a Dio, portano alla liberazione. Sia gli dei che i demoni usano il desiderio come corda (mezzi). Tuttavia, le divinità agitano l’oceano secondo le istruzioni di Vishnu per il benessere dei mondi e per proteggerli dal male, mentre i demoni lo agitano unicamente con l’intenzione egoistica di usare l’Amrita per i propri fini. Per questo, alla fine, i demoni non riescono a raggiungere la liberazione.
Per agitare gli oceani, sia gli dei che i demoni tengono il serpente costantemente. Ciò simboleggia autocontrollo o controllo dei desideri nella pratica spirituale. La zangolatura (Manthan) è la trasformazione spirituale o la purificazione della mente e del corpo sul sentiero della liberazione. Quando il latte è sbollentato, il burro si separa dal latte. Nello zangolarsi spirituale,  “sattva”, la brillantezza mentale (medha) e la pura intelligenza, bianche come il burro, si separano dalle impurità proprio come fa il burro, il che consente di vedere le cose chiaramente e la mente si stabilizza nella contemplazione del Sé. Così come il burro funge da offerta in un sacrificio di fuoco (yajna), il sattva e l’intelligenza servono da offerte nel sacrificio interiore (antar yajna) della mente e del corpo. Quando il burro viene riscaldato sul fuoco, diventa burro chiarificato, che viene usato anche nei sacrifici come offerta. L’immortalità o la liberazione è il burro chiarificato o il prodotto finale nella pratica dello yoga, proprio come l’ Amrit è nella zangolatura degli oceani. L’Halahal, il veleno, rappresenta tutta la negatività che affiora nella nostra coscienza quando iniziamo la pratica spirituale. Rappresenta il dolore e la sofferenza, i cattivi pensieri, i sentimenti negativi e le emozioni come la rabbia, l’orgoglio, il dubbio, l’illusione o la disperazione che avviano l’esperienza all’inizio della pratica spirituale. L’intervento di Lord Shiva per risolvere il problema dell’halahal simboleggia l’importanza dello yoga o dell’ascetismo, della virtù e della purezza nella vita spirituale, l’importanza della grazia divina (anugraha) e della mediazione di un maestro spirituale (guru) nel processo della liberazione. Lord Shiva simboleggia uno yogi o un rinunciante (Sanyasi). Rappresenta i valori ascetici di rinuncia, equanimità, disciplina, virtù, conoscenza e autocontrollo. È puro, sincero, intelligente, propizio e interiormente distaccato. È in grado di consumare il veleno sorto dalla zangolatura dell’oceano perché è puro, forte e divino. Lord Shiva è anche il signore del respiro, prananath o praneshwar che, nel corpo, è purificatore e stabilizzatore. È il signore degli organi, che mantiene puri in mente e corpo rimuovendo le loro impurità e influenze maligne, negatività, irrequietezza, stress, paura e pigrizia. Gli yogi avanzati ottengono un grande controllo sul loro respiro, che molti possono anche trattenere per una lunga durata. Durante la meditazione imparano anche a mantenere le loro menti ferme e libere dalle impurità trattenendo il respiro in gola, vicino al palato. I vari oggetti che escono dall’oceano simboleggiano i poteri o le perfezioni psichiche, spirituali o soprannaturali (siddhi), che si manifestano quando uno yogi avanza sul sentiero dello yoga o della liberazione. Secondo la tradizione indù, bisogna stare attenti a tali poteri poiché possono seriamente interferire con il proprio progresso spirituale. Dovrebbero essere usati con grande cautela e discrezione per il benessere del mondo o di altri, piuttosto che per guadagni egoistici. Probabilmente è per questo che dèi e demoni distribuiscono prontamente quei poteri senza alcuna discussione, dal momento che non vogliono essere distratti dal loro obiettivo finale di raggiungere la liberazione. Lakshmi simboleggia la ricchezza materiale o l’abbondanza. Il simbolismo che sta alla base dell’atto di donarla a Vishnu è che, poiché tutta la ricchezza nell’universo appartiene a Dio o Brahman (Vishnu), è necessario restituirgli tutta la ricchezza che un devoto trova o guadagna nella sua vita. Il suo sacrificio lo terrà libero dal debito karmico e faciliterà i suoi progressi sul sentiero.
Come dichiara l’Isa Upanishad, Brahman è il vero abitante dell’universo e ogni cosa nell’universo appartiene a lui. Si dovrebbe quindi vivere disinteressatamente, compiendo tutte le azioni come offerta a Dio. Le Scritture come la Bhagavadgita suggeriscono anche che sul sentiero spirituale, quando la ricchezza si manifesta come il frutto delle proprie azioni, si dovrebbe rinunciare ad essa e offrirla a Dio come sacrificio.
Dhanvantari è il medico divino. Rappresenta la salute o il benessere fisico. Durante la zangolatura dell’oceano si manifesta alla fine con la brocca che contiene l’Amrit. Dhanvantari simboleggia il vigore fisico, l’energia e lo splendore mentale che derivano dalla lunga e ardua pratica dello yoga e dell’austerità e che, se prolungate portano alla liberazione e all’immortalità. Quindi, il corpo di un essere liberato (jivanmukta) non è solo sano ma anche divino come un vaso dell’immortalità.

Al momento della distribuzione dell’elisir, il Signore Vishnu si manifesta come Mohini, una bella fanciulla celestiale che assicura che l’Amrita venga distribuita agli dei piuttosto che ai demoni, compiendo così il suo dovere di sostenitore di Rta (ordine e regolarità), Karma e Dharma.
Gli Asura sono persone malvagie. Nessuno ha negato loro l’immortalità. Lo hanno negato a se stessi con le loro azioni e intenzioni crudeli e malvagie. Le azioni di Vishnu simboleggiano il ruolo di Dio nella creazione come sostenitore del Dharma. Suggerisce che non importa quanto sei bravo, o quanto buona possa essere la tua azione attuale, non puoi sfuggire ai peccati del tuo passato o al karma che hai subito come conseguenza delle tue azioni. Negando la distribuzione di Amrit ai demoni, salva il mondo dalla loro oppressione e protegge il Dharma.
Mohini simboleggia anche il potere di Maya, che illude i mondi e gli esseri dal perseguire la liberazione sottoponendoli a delusione, desiderio, dualità e ignoranza. A causa della loro natura malvagia e delle qualità demoniache, gli asura cadono facilmente sotto l’incantesimo di Maya perdendo la possibilità di diventare immortali. Gli dei sono intenzionati a ottenere l’immortalità. Quindi, sono concentrati su di essa e si mantengono quindi liberi dall’incantesimo.
C’è anche un messaggio importante in questo. La vita umana è preziosa perché solo gli umani possono praticare la spiritualità e ottenere la liberazione usando la loro intelligenza. Pertanto, le persone non dovrebbero buttare via la preziosa opportunità perseguendo desideri malvagi o impegnandosi in azioni egoistiche sotto l’incantesimo di Maya. Dovrebbero praticare lo yoga, coltivare le qualità divine e lavorare per la liberazione per diventare immortali, senza ilkudersi o distrarsi e senza perdere la concentrazione sulla liberazione. Questo è in breve il simbolismo nascosto nella storia di Sagar Manthan.

Le coppie dell’induismo. Shiva e Parvati.

 Shiva è una tra le più importanti divinità nell’Induismo, considerato creatore, distruttore del male e trasformatore. Nello Shivaismo, una corrente dell’Induismo, è ritenuto l’Essere Supremo, mentre nell’induismo classico l’Essere Supremo è costituito dalla Trimurti, la Trinità cui Shiva appartiene insieme a Brahma e Vishnu. La sua raffigurazione può essere quella benevola di uno yogi (asceta) che vive isolato su monte Kailash, in Himalaya, in compagnia della moglie Parvati e dei suoi due figli Ganesha e Kartikeya, oppure quella temibile che uccide i demoni. Shiva è anche conosciuto come Adiyogi Shiva, patrono dello yoga, della meditazione e delle arti. Nell’iconografia indu viene rappresentato con un serpente attorno al collo, la luna crescente, il terzo occhio sacro sulla fronte, il tridente (trishula), il tamburo (damaru) e il Gange, il fiume sacro, che scorre tra i suoi capelli. Shiva è anche adorato nella sua forma di lingam, simbolo fallico.

(sono varie le rappresentazioni del lingam di Shiva e dello yoni di Parvati)

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Parvati, il cui nome significa “figlia della montagna” è la dea benevola dell’induismo, simbolo di fertilità, amore e devozione, nonché espressione dell’energia e del potere creativo (Shakti) di Shiva, con il quale è quasi sempre raffigurata. Nella letteratura indu, Parvati assume diversi nomi, come descrive la Lalita Sahasranama, un testo del Brahmanda Purana (testo sacro) che ne contiene ben 1.000.

Nelle sue forme terrificanti Parvati è conosciuta come Durga e Kali. Insieme a Lakshmi, la dea della ricchezza e della prosperità, e Saraswati, la dea della conoscenza e dell’apprendimento, forma la Tridevi, la trinità delle dee indù.

Nell’iconografia indu, Parvati è raffigurata con due o più braccia che tengono talvolta una conchiglia, oppure una corona, uno specchio, un rosario, una campana, un piatto, un attrezzo agricolo, una canna da zucchero o fiori, come il loto. Così come Shiva è spesso rappresentato da un lingam, Parvati è rappresentata da uno yoni, simbolo dell’utero e della gestazione. E’ particolarmente adorata dalle donne.

Sia il sacro testo Ramayana (databile tra il VI° e il III° secolo a.C.) che il poema epico Mahabharata (databile tra il 400 a.C.-400 d.C.), i due maggiori poemi epici indu, raccontano della coppia Parvati-Sati (Parvati è la reincarnazione della prima moglie di Parvati, come leggerete nella loro storia) ma sono e i Purana (IV°- XIII° secolo) e le opere di Kalidasa, grande poeta della letteratura indiana classica, come il romanzo epico Kumārasāmbhavam, (V° e VI° secolo), che ci descrivono dettagli sulla loro unione.

E questa è dunque la loro storia.

Tarakasura, un demonio potente, portava il terrore tra uomini e dei ma nessuno era in grado di sconfiggerlo. Venne quindi chiesto aiuto al grande Signore Brahma che rispose che solo il figlio di Shiva avrebbe potuto distruggere quel malvagio. Ma Shiva, dopo la morte della moglie, la Dea Sati, si era ormai ritirato a meditare sull’ Himalaya e si poteva disturbarlo. Brahma disse quindi che era necessario porsi in adorazione di Mahadevi, la grande dea di cui Sati era un’incarnazione. Mahadevi, invocata, disse loro che si sarebbe reincarnata per sposare Shiva così il loro figlio avrebbe sconfitto Tarakasura. Himavat, re del Regno dell’Himalaya e la sua regina Menaka avevano una figlia, Parvati, nome che significa “delle colline”, una bellissima bambina, educata, che, invece di giocare con gli amici, preferiva dedicarsi alla devozione del Dio Shiva. Tutti la chiedevano in sposa, ma Parvati voleva come marito solo il Dio Shiva. Himavat ne sarebbe stato felice ma sapeva che Shiva era in meditazione. Apparve allora il saggio Narada, l’indisciplinato figlio di Brahma, mai espulso dagli dei perchè ogni sua azione, alla fine, si concludeva positivamente. Egli disse che Parvati era la Dea Mahadevi reincarnatasi per sposare Shiva ed avvisò Parvati che il suo percorso sarebbe stato tutt’altro che semplice. Narada invitò dunque il re Himavat a condurre sua figlia da Shiva che avrebbe servirlo nelle sue puja (preghiere) giornaliere. Dunque Shiva vide Parvati ma non riusciva a riconoscerla come reincarnazione della sua amata Sati. Ma Shiva acconsentì che Parvati si fermasse per aiutarlo. Il tempo passava e gli dei, sempre più terrorizzati dal demone Tarakasura, temevano che a nulla valesse su Shiva il fascino di Parvati e quindi si recarono da Kamadeva, Dio dell’amore, che promise loro di aiutarli. Prese allora il suo arco fiorito con le frecce di canna da zucchero e andò dove Shiva stava meditando, sparandogli cinque frecce d’amore. Così Shiva si accorse della bellezza di Parvati. Questo gli fece perdere la concentrazione della meditazione, e così aprì il suo terzo occhio e bruciò Kamadeva che divenne cenere. Poi si rivolse a Parvati e le disse, arrabbiato, di andarsene. Parvati era afflitta perché innamorata di Shiva. Apparve allora di nuovo il saggio Narada che le consigliò di agire non con il suo fascino ma con la sua devozione. Parvati capì che per conquistare Shiva avrebbe dovuto fare una lunga penitenza e si ritirò quindi in un bosco sull’Himalaya per meditare. Rati, la consorte di Kamadeva, era disperata per la morte del marito e spaventata da Shiva. Fu Parvati a prometterle che un giorno, quando avesse conquistato Shiva, gli avrebbe chiesto di riportare in vita il suo amato. Parvati sapeva di essere la reincarnazione di Sati che aveva rinunciato alla sua vita perché suo padre Daksha aveva offeso Shiva (come è descritto nei Purana, un gruppo di testi sacri hindū, redatti in lingua sanscrita). Per anni Parvati invocò Shiva che però non appariva mai. Attraverso la sua lunga meditazione Parvati divenne potente, digiunò, lasciando cibo, acqua e aria. Molti asceti vennero da lei ma lei non li notò. Ma gli Dei erano inquieti ed andarono a reclamare dal dio Brahma. Questi, insieme a Vishnu, si recò da Shiva dicendogli di porre fine alla penitenza di Parvati oppure l’intero regno sarebbe bruciato. Shiva comprese la forza di Parvati e cominciò a credere…

Parvati venne un giorno raggiunta da un asceta che le chiese il perché di tanta penitenza. Lei rispose che lo faceva per amore. Quel giovane era Shiva, che scoppiò a ridere. Poi le chiese come avrebbe potuto sposare un asceta che non ha casa e si circonda di cenere e teschi. Parvati si arrabbiò molto a quella considerazione e rispose con orgoglio che Shiva è il padrone dei tre mondi! A queste parole il giovane si rivelò essere Shiva, il suo amato Shiva che la guardò teneramente e si rese conto che Parvati era davvero la reincarnazione della sua defunta moglie Sati. Si guardarono e si sentirono che in realtà si appartenevano da tempo. Quindi Shiva si recò dal re Himavat, il padre di Parvati, a chiedere la mano di sua figlia, il quale acconsentì al matrimonio che presto avvenne in pompa magna. Dalla loro unione nacque il dio Kartikeyan che sconfisse il malvagio Tarakasura.

Shiva riportò in vita Kamadeva, come Parvati aveva promesso a Rati.

Parvati è celebrata con il Teej festival, di cui parleremo prossimamente.

(testo by Passoinindia)

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La festa del Dio Krisha, il Janmashtami.

Oggi in tutta l’India c’è la grande festa induista di Janmashtami che celebra il dio Krishna, conosciuto anche come Kanha o Govinda. Chiunque sia stato in India ha visto questa divinità celebrata in templi ed altari di strada o domestici ed ora vi racconto la sua storia.

Krishna è la divinità suprema e popolarissima per l’induismo, l’ottava incarnazione (avatar) di Lord Vishnu. E’ bella la storia di Krisha e anche un po’ familiare, se vista con gli occhi di un occidentale. I testi sacri indu Mahābhārata, Harivamsa, Bhagavata Purana e Vishnu Purana raccontano della nascita e della vita di Krishna, ambientata in nord India soprattutto negli attuali Stati di Uttar Pradesh, Bihar, Haryana, Delhi e Gujarat. Secondo storici e astrologi la data di nascita di Krishna, conosciuta appunto come Janmashtami, sarebbe riconducibile al 18 luglio del 3228 aC. Il suo nome, Krishna, deriva dal sanscrito che significa “nero”, “dark” o “blu scuro” e per questo spesso Krishna è raffigurato con la pelle nera o blu.

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Krishna fu figlio della principessa Devaki, sua madre e Vasudeva, suo padre. Krishna nacque quando Madre Terra, sconvolta dai peccati commessi sulla Terra, chiese aiuto al Dio Vishnu che andò a trovare sotto forma di mucca. Vishnu, accettando di aiutarla, le promise che lui, Vishnu, sarebbe nato sulla Terra. Intanto, sulla Terra, un principe di nome Kansa aveva mandato suo padre Ugrasena, re di Mathura in prigione per usurpargli il trono. Ma un giorno una gran voce dal cielo profetizzò che l’8° figlio della sorella di Kansa (Devaki, la futura madre di Krishna) avrebbe ucciso Kansa. Kansa allora mise Devaki e suo marito Vasudeva in prigione dove, in seguito, Vishnu apparve loro per dirgli che lui stesso sarebbe stato il loro ottavo figlio e avrebbe ucciso Kansa e distrutto il peccato del mondo. Krishna quindi, in qualità di Vishnu, produce il concepimento e diventa anche prole. Infatti a causa della sua simpatia per la Terra, il divino Vishnu stesso discese nel grembo di Devaki e nacque come suo figlio, cioè Krishna. Al momento del concepimento e della nascita di Krishna, Devaki e Vasudeva avevano già concepito 7 figli. I primi sei figli di Devaki furono uccisi da Kansa mentre il settimo sembrò perire in un aborto spontaneo ma in realtà il vero grembo che portò avanti la gravidanza segreta fu quello di un’altra donna, Rohini. Fu così che nacque Balarama, il fratello maggiore di Krishna. Krishna apparteneva al clan dei Yadava da Mathura (oggi quartiere dell’Uttar Pradesh), ed essendo proprio l’ottavo figlio, Vasudeva sapeva che la sua vita era in pericolo; per salvarlo, fece segretamente portare Krishna fuori della cella della prigione dai suoi genitori adottivi, Yasoda e Nanda.

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Questi erano di Gokula (oggi quartiere di Mathura) e Nanda era il capo di una comunità di vaccari e si stabilì a Vrindavana. Le storie dell’infanzia e della giovinezza di Krishna raccontano come sia diventato un mandriano, i suoi scherzi maliziosi quando ruba il burro e il suo ruolo di protettore del popolo di Vrindavana. Per questo egli è raffigurato spesso come un bimbo con il burro nelle mani o vicino a pecore e mucche.

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Infatti Krishna è conosciuto anche come Govinda, “il raccoglitore delle vacche” o Gopala, “Protettore delle mucche”, riferendosi proprio alla sua infanzia. Krishna fu protettore della sua gente, uccise i demoni Putana e Trinavarta, è domò il serpente Kaliya che aveva avvelenato le acque del fiume Yamuna provocando la morte dei butteri. Ecco perché nell’iconografia indu Krishna è spesso raffigurato mentre balla su Kaliya. Kaliya-Mardan1

Krishna protesse il suo popolo di Vrindavana dall’ira di Indra, re dei deva (divinità) e signore delle piogge e dei temporali che si arrabbiò quando Krishna aveva consigliato alla gente di Vrindavana di prendersi cura dei loro animali e del loro ambiente invece di adorare Indra ogni anno, spendendo le proprie risorse; come Krishna racconta nella Bhagavat Purana, Indra, furioso, si vendicò con l’invio di una grande tempesta; Krishna allora sollevò la collina di Govardhan e la tenne sopra le persone, proprio come un ombrello. La Rasa Lila o Rasa dance, descritta nella Bhagavata Purana e nella Gita Govinda, ad esempio, racconta le storie di gioco di Vishnu con le le gopi, le pastorelle di Vrindavana, soprattutto con Radha, divenuta sua consorte. 

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L’infanzia di Krishna è un’infanzia divertita, Krishna suona il suo flauto e le gopi arrivano subito introno a lui, sulle rive del fiume Yamuna, dove cantano e ballano. Infatti Krisha viene anche raffigurato come un giovane rilassato con il suo strumento musicale o visto come un amante perfetto. Anche quando combatte contro il serpente Kaliya, Krishna sembra giocare, non è in alcun pericolo reale. Questa idea di avere un dio giocoso è molto importante nell’induismo. La giocosità di Krishna ha ispirato molte celebrazioni, come il Rasa-lila e, appunto, la odierna festa di Janmashtami in cui si fanno piramidi umane per rompere vasi di terracotta (handis) sospesi in aria da cui si rovescia il latte su tutte le persone sottostanti. Ecco perché Janmashtami è una celebrazione divertente che unisce la gente. Alla fine, Krisha, ragazzo, tornò a Mathura e uccise suo zio materno, Kansa, ripristinando il vero re, padre di Kansa, Ugrasena, come il re del Yadava. Diventato un principe di corte, Krishna fece amicizia con Arjuna (il grande protagonista del racconto della Baghavat Gita) e altri principi suoi cugini. Più tardi, prese i suoi sudditi Yadava e li portò alla città di Dwaraka (nella moderna Gujarat), dove stabilì il suo regno. Krishna sposò Rukmini, principessa di Vidarbha, che gli aveva chiesto di salvarla dalla proposta di matrimonio di Shishupala. Oltre lei, Krishna sposò altre regine, Rukmini, Satyabhama, Jambavati, Kalindi, Mitravinda, Nagnajiti, Bhadra e Lakshmana e, successivamente, ben 16.000 fanciulle imprigionate dal demone Narakasura, che uccise, per salvare il loro onore. Secondo l’usanza sociale del tempo, infatti, tutte le donne prigioniere sotto il controllo di Narakasura furono degradate e non avrebbero più potuto sposarsi. Perciò Krishna le sposò per ripristinare il loro status nella società. Nella tradizione vaisnava (da Vishnu), una delle tre correnti principali dell’induismo, insieme a Shivaismo e Shaktismo, le mogli di Krishna sono forme della dea Lakshmi, consorte di Vishnu, o speciali anime che hanno raggiunto questa qualifica dopo molte vite di austerità, mentre le sue due regine, Rukmani e Satyabhama, sono espansioni di Lakshmi.

La tradizione induista e i testi sacri sono ricchi di storie su Krishna, così come è ricca la sua iconografia. Nei templi lo troviamo anche raffigurato come un uomo in piedi in posizione formale, solo o associato ad altre figure come suo fratello Balarama e sua sorella Subhadra, o con le sue regine come Rukmini o con la sua consorte gopi Radha. La sua scomparsa segna la fine del Dvapara Yuga e l’inizio del Kali Yuga (l’attuale età), che è datata febbraio 17/18, 3102 aC.

Nella festa di Janmashtam i devoti di Sri Krishna lo adorano, vegliano tutta la notte ascoltando i suoi racconti e le sue imprese, recitando gli inni della Gita, e cantando canti devozionali, tra cui il mantra Om namo Bhagavate Vasudevaya.

Oggi, a Dwaraka, il regno di Krishna, il tempio Dwarkadhish è affollato più del solito. I fedeli arrivano numerosi per avere il Darshan, la visione sacra. Il signore Krishna è lavato e decorato con preziosi ornamenti e i fedeli gli fanno continue offerte di cibo, soprattutto prodotti lattiero-caseari. Dopo mezzanotte, celebrando il Janmashtami, con la frase “Nand Gher Anand Bhaio, Jay Kaanha Laal Ki“, i devoti accolgono il Signore supremo Krishna fino alle 2 e mezza della mattina quando il tempio viene chiuso.

Anche a Vrindavan questa occasione viene celebrata con grande sfarzo e spettacolo. Raslilas o drammi religiosi vengono eseguiti per ricreare le storie della vita di Krishna e per commemorare il suo amore per Radha. Si canta e si danza. A mezzanotte, la statua del bambino Krishna è bagnata e messa in una culla, che viene cullata, tra il soffio di conchiglie e il suono delle campane.

Più ad ovest, a Mumbai, il Dahi Handi è il modo più popolare di celebrare Janmashtami o Krishnashtami.

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Il Dahi Handi è una pentola di terracotta sospesa in aria e piena di burro e yogurt. I fedeli formando una piramide umana, che simboleggia l’armonia del gruppo, devono consentire a chi è in alto alla pila di romperla con un oggetto duro, ad esempio una noce di cocco, affinché il burro possa cadere su di loro.

Le persone coinvolte in questa performance sono noti come Govinda Pathak; tutto avviene al ritmo del Govinda Ala Re“, un enorme applauso costantemente cantato durante la performance. Il Dahi Handi viene celebrata con estrema devozione e aggiunge grande fervore per le strade di Mumbai.

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Mentre le celebrazioni al tempio di Dwarkadhish rivelano il lato spirituale di Krishna, il festival Dahi Handi evidenzia la sua natura maligna. Janmashtami viene ovviamente celebrata anche a Mathura similarmente a come avviene a Dwaraka.

La festa di Janmashtami sarebbe anche proprizia per la fertilità della coppia che, allo scopo, è tenuta a seguire un preciso rituale che comprende l’adorazione di Krishna in forma di bambino a cui, oltre alla puja, ovvero la preghiera, vengono offerti bastoncini di incenso, lampade, foglie di basilico, pasta di sandalo e Bhog (cibo sacro) di burro.

Non è bellisssima, la storia di Krishna?

Il nome di Krishna compare nei testi buddisti come Kanha che, foneticamente equivalente a Krishna. Anche i fedeli bahá’i  credono che Krishna fosse una una manifestazione di Dio.

(per i baha’i guarda qui https://passoinindia.wordpress.com/tag/bahaullah/

Testo by PASSOININDIA

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