La storia d’amore di Sohni e Mahiwal

“CHI ERANO MAHIWAL E SOHNI?” chiese il bambino. E la mamma, per farlo addormentare, cominciò a raccontare…..

“In un villaggio di nome Gujrat, lungo il fiume Chenab nel Punjab pakistano, sulla rotta commerciale tra Delhi e Bukhara,abitava un vasaio della casta Kumhar che creava i vasi di terracotta più belli della regione. Si chiamava Tulla ed era conosciuto in tutto il paese e la gente veniva da ogni parte per acquistare la sua bellissima ceramica. I vasi erano ben cotti e robusti, e se ne trovavano di tutte le forme e dimensioni. Tutti i vasi erano meravigliosamente dipinti a mano tanto che ognuno era unico ed irripetibile. Quando Tulla e sua moglie ebbero una figlia, fu il giorno più bello della loro vita. Era la più bella bambina che avessero mai visto. La chiamarono Sohni, che in punjabi significa “bella”. Con il tempo la sua bellezza aumentò.

Tulla aveva insegnato a sua figlia l’arte di decorare la ceramica. Sohni diventò molto brava in questo, tanto che, quando suo padre invecchiò e la sua vista diminuì, Sohni continuò ad esercitare quest’arte arricchendo il suo lavoro di un tocco personale. Un giorno, un giovane uomo molto ricco arrivò dalla grande città  di Bukhara in Uzbekistan e si recò nel laboratorio di Tulla per comprare un po’di ceramica. Il suo nome era Izzat Baig. Mentre stava scegliendo, vide la bella Sohni, intenta a decorare con l’ausilio di un piccolo pennello sottile. Non riusciva a staccare gli occhi da lei e se ne innamorò. Chiese a Tulla se poteva comprare il piatto che lei stava dipingendo e Tulla rispose che quel piatto avrebbe dovuto essere cotto prima di essere acquistato perché altrimenti sarebbe caduto in mille pezzi. Izzat Baig disse che sarebbe tornato il giorno dopo.

L’indomani acquistò il piatto ma poi trovò mille altre scuse per tornare tutti i giorni seguenti e comprò tanti altri piatti, vasi, tazze e brocche. Ne comprò e comprò ancora ma i suoi occhi smisero di guardare Sohni. Volevano di più. Quando fu tempo per lui di lasciare il villaggio e ripartire, disse ai suoi compagni di viaggio di proseguire senza di lui. I giorni passavano, i suoi soldi (mohar) diminuivano ma egli continuò a visitare il negozio di Tulla per rivedere Sohni. Tulla, che ancora non aveva capito, decise così di assumerlo come pastore dei suoi bufali e Izzat venne  per questo soprannominato Mahiwal, o “uomo dei bufali”.

L’amore, che è una malattia infettiva, trasferì gli stessi sintomi a Sohni che ormai si era abituata a vedere Mahiwal ogni giorno. Sapeva infatti che lui era venuto solo per vedere lei. Ogni volta che lui era in ritardo, il suo cuore batteva forte ma non appena lei lo incontrava nuovamente, il suo cuore riprendeva a volare. L’amore aveva preso anche lei.

I due amanti iniziarono così ad incontrarsi in segreto. La loro unione era splendida. La loro separazione intollerabile. Ma si riunivano ogni volta che potevano, rubando momenti felici solo per essere uno con l’altro.

L’amore non  si poteva però nascondere e questo tipo di amore era proibito perché la comunità non poteva accettare che una sua figlia sposasse un estraneo. Così i genitori di Sohni organizzarono immediatamente il suo matrimonio con un altro vasaio che viveva nelle vicinanze. Sohni venne mandata a casa del vasaio su un palanchino (doli) per celebrare il matrimonio (Barat). Quando il matrimonio ebbe luogo, Sohni si sentì morire e Mahiwal, sconvolto, decise di vivere come un eremita in una piccola capanna dall’altra parte del fiume.

Il marito di Sohni era un mercante di ceramiche costretto a percorrere lunghe distanze che lo tenevano fuori da casa per giorni e giorni. Così, la notte, Sohni si sedeva sulla sponda del fiume cercando il volto del suo amato. Desiderava raggiungere Mahiwal ma non sapeva nuotare. Ma una notte ebbe l’idea di utilizzare una brocca di terracotta che, stringendola, l’avrebbe aiutata a non affondare mentre attraversava il fiume.Mahiwal la vide arrivare e nuotò fino a quando la incontrò e finalmente furono l’una nelle braccia dell’altro. Gli appuntamenti si ripeterono tutte le notti.

Ma Mahiwal non aveva abbastanza soldi per sfamare la sua Sohni e l’alta marea gli impediva di pescare. Così, una notte, mentre stava aspettando la sua amata, non avendo cibo per lei, si tagliò un pezzo della sua coscia. Non volendo dire alla ragazza del suo dolore, si gettò nel fiume affiché i suoi abiti si bagnassero e nascondessero il suo sangue. Sohni mangiò con gran gusto, felice di quello che lui aveva preparato per lei.

Ma le voci dei loro romantici incontri si diffusero. Una notte, mentre Sohni stava tornando alla sua casa, venne vista e seguita dalla cognata la quale scoprì il segreto del vaso di terracotta che Sohni usava nascondere tra i cespugli. La cognata decise così di  porre fine a questi incontri e sostituì il vaso di terracotta con un vaso non cotto.

La notte successiva, Sohni prese il vaso e, aggrappandovisi, cominciò il suo viaggio per incontrare il suo amante. Quando era quasi  dall’altra parte del fiume, si rese conto che qualcosa non andava. Il vaso, che fino ad allora era stato il suo salvagente, si stava sciogliendo in acqua. Chiamò a gran voce il suo Mahiwal che sentì le grida ed accorse per aiutare il suo amore. Cercò di nuotare a più non posso ma la gamba gli faceva molto male. Tutto fu invano. Mahival vide così il corpo ormai senza vita di Sohni e, a causa della corrente forte, annegò anche lui nel fiume Chenab.”.

Il coraggio di Sohni è ancora oggi raccontato nelle canzoni popolari punjabi “Sohni annegò ma la sua anima nuota ancora in acqua…”. Questa storia d’amore, ambientata intorno al 18° secolo (alla fine del periodo Mughal) è stata resa popolare dal poeta punjabi Fazal Shah Sayyad e continua ad ispirare racconti, ballate, scene teatrali ed anche filmografia. La leggenda racconta che i corpi dei due amanti sono stati recuperati dal fiume Indo, vicino Shahdadpur, Sindh, a circa 75 Km. da Hyderabad  (Pakistan) dove si troverebbe la tomba di Sohni.

by PassoinIndia

vedi la storia qui:

http://youtu.be/Owgx6fezy28

Un appunto

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> Un appunto
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> La vita – è il solo modo
> per coprirsi di foglie,
> prendere fiato sulla sabbia,
> sollevarsi sulle ali;
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> essere un cane,
> o carezzarlo sul suo pelo caldo;
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> distinguere il dolore
> da tutto ciò che dolore non è;
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> stare dentro gli eventi,
> dileguarsi nelle vedute,
> cercare il più piccolo errore.
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> Un’occasione eccezionale
> per ricordare per un attimo
> di che si è parlato
> a luce spenta;
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> e almeno per una volta
> inciampare in una pietra,
> bagnarsi in qualche pioggia,
> perdere le chiavi tra l’erba;
> e seguire con gli occhi una scintilla
> nel vento;
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> e persistere nel non sapere
> qualcosa d’importante.
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di Wislawa Szymborska
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Ultimi indimenticabili momenti

In una domenica d’ottobre, sono andato con certi amici  in un ricovero per anziani perché dovevano visitare un loro parente, qualcuno che conosco anch’io molto bene. Era un po’ fuori città, in mezzo alla  natura e vicino ad un piccolo fiume;  era la prima volta che ne visitavo l’interno quindi ero molto curioso di  vederlo; eravamo appena entrati, quando ho visto che qualcuno stava guardando la tv, qualcuno stava mangiando, qualcuno stava bevendo, qualcuno si stava addormentando sulla sedia. Tutto il posto era molto pulito e anche gli assistenti e le infermiere sembravano piuttosto gentili. Ci siamo seduti in una grande sala con al centro un vecchio camino di maiolica, purtroppo spento. C’erano  già altri visitatori. Poco dopo ho notato che la Signora seduta alla mia sinistra stava parlando da sola e stava piangendo da sola e, di fianco, c’era un’altra Signora, paralizzata, che stava mangiando aiutata dall’ infermiera. Mi sono guardato attorno e ho visto, sulla destra, un’anziana coppia; Lui aveva una rivista nelle mani dove erano pubblicate le foto di “Dallas”e la notizia che presto quella serie di telefilm sarebbe ricominciata; Lui stava parlando con Lei: “te lo ricordi Dallas? Guarda, quel programma sta per ricominciare. Te lo ricordi che lo guardavamo tutti insieme? E che non abbiamo mai lasciato neppure una puntata? Ti ricordi quanto ti piaceva Bobby? E, guarda, adesso tornerà anche il cattivo della famiglia….”. Era lo stesso programma, forse gli stessi autori, le stesse emozioni ma ormai Lei non c’era più con la sua memoria per capire tutto ciò che Lui le stava raccontando.

In solo mezz’ora erano arrivate altre nuove facce di visitatori ma le domande erano sempre le stesse: “ora come stai? come ti senti? mangi? (…)”. Anche se tutti rispondevano che stavano bene, la loro tristezza si vedeva sui loro volti, tanto che ogni domanda del genere appariva superflua; erano tutti lì, radunati, come fosse una squadra che ha appena perduto una partita importante. Forse era la loro solitudine, la nostalgia di stare lontano dalla propria casa, quella stessa casa che avevano costruita con il  sudore, risparmiando ogni piccolo denaro, piena di cose comprate  con altrettanta emozione.  Forse era lo stare lontano dalla famiglia o da tutti quegli amici con cui erano cresciuti e avevano passato la maggior parte dalla loro vita. Forse era per il fatto che la vita non dava loro più nessuna felicità. Forse non rimaneva quasi niente che li rendesse davvero contenti.

Ad ogni mio respiro mi facevo un sacco di domande; cosa è la vita? quale ne è il senso? Sono nato e cresciuto in un piccolo villaggio del nord India e mia mamma diceva sempre che andare ad un funerale è più importante che participare ad un matrimonio, perchè durante una cremazione (da me i morti vengono bruciati) ci si sente ancora più vicini a Dio e quei momenti sono preziosi perché fanno riflettere sulla verità della vita. Anche qui ho provato le stessi emozioni e mi sono fatto le stesse domande; mi sono detto che un giorno noi tutti faremo la stessa fine proprio come quelle Signore e Signori davanti al grande camino. Mi chiedo allora il perchè di tutta questa fatica, il perchè di tutte queste corse per fare carriera, del perchè sia fondamentale stabilire cosa è mio e cosa è tuo se, alla fine, non rimane niente, neanche questo nostro povero corpo di polvere che trucchiamo ogni giorno, per ore ed ore. Spesso sento dire che nella vecchiaia gli anziani diventano cattivi, si arrabbiano con facilità, diventano come bambini. In realta è la vecchiaia che li fa diventare così e basterebbe che qualcuno condividesse con loro un po’ più di qualche momento.

La vecchiaia è davvero brutta, anche se fu una delle cose che, insieme alla morte e alla sofferenza, aveva impressionato Buddha prima che decidesse di lasciare tutti i suoi beni e percorrere il suo cammino di spiritualità.  Non sappiamo se dopo la morte  esista  anche un’altra vita ma quello che so è che tutti avremmo bisogno di ultimi momenti indimenticabili, di tanta cura, prima di poter lasciare tranquillamente questo mondo. Ero sotto questa montagna di domande quando ho sentito la voce del mio amico che mi diceva “andiamo via”. Eravamo vicini all’uscita principale quando la voce di un’infermiera  disse: “aspettate un momento, perché è attivo l’allarme”. Un’altra voce dietro di me disse: “non siamo così preziosi che qualcuno ci porta via”.

Testo e foto by PASSOININDIA

La grande brocca e le quattro gocce – Il grande KUMBH MELA

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Milioni di pellegrini, fedeli di ogni ramo dell’induismo, al di là di ogni distinzione di casta, raggiungono la città sacra, una delle quattro sacre per gli indu, che a rotazione anno per anno, viene deputata ad accogliere questo grande, enorme evento . Si chiama Maha Khumb Mela, allora come oggi, ed è uno dei più grandi raduni religiosi del mondo. Il nome vuol dire “festa della brocca”, quella sacra brocca che, nella antica mitologia induista, nella lotta tra  il bene e il male durata appunto dodici anni, gli dèi celesti contesero agli asura, i cattivi dèmoni perché racchiudeva il nettare dell’immortalità. Gran parte della mitologia hindu è costituita dalle storie dei conflitti fra questi eterni antagonisti. Quando il demone viene sconfitto, l’ordine cosmico si restaura in maniera più completa e felice, quindi il male in questo dinamismo universale ha una funzione necessaria e benefica. In quella lotta, vinta da Vishnu che riuscì ad impadronirsi del vaso, alcune  gocce caddero esattamente sul punto dove sorgono le quattro città sacre: Haridwar, Allahabad, Ujjain, Nasik, tutte, ovviamente, sulle rive di sacri fiumi. Già negli antichi testi induisti, i Purana, il Ramayana, e il  Mahabharata viene documentato il potere purificatore di queste acque. Durante questo periodo hanno luogo le 7 principali abluzioni nelle acque sacre, e precisamente nei giorni in cui si il Sole e il pianeta Giove assumono una certa posizione nelle costellazioni di Acquario e Ariete, creandosi così le condizioni astronomiche propizie per avere  la benedizione della divina trinità (Brahma, Vishnu, Shiva ). I devoti induisti accorrono per bagnarsi nelle fredde acque del fiume che scorre davanti alla piccola città; lo fanno per liberarsi dalla ruota della rinascita (il samsara), o almeno lavare via ogni fardello karmico per iniziare una nuova vita o contare su una reincarnazione (moksa) ad una condizione più elevata. Ancora una volta, cosa comune a altre religioni, l’acqua è purificatrice: ad Allahabad ad esempio il punto più sacro si trova alla confluenza dei tre sacri  fiumi, dove il Saraswati, il fiume invisibile e sotterraneo  della saggezza, già citato nel grande testo antico del Rigveda,  si unisce alla buia e lenta Yamuna (il fiume mitologicamente associato a Krishna e Shiva che, ad Agra, 500 km. più a Nord,  sfiora il Taj Mahal) e alla Madre Ganga, il Gange, raggiante con le sue rapide giallognole; questo è il motivo per cui è questo punto è chiamato il Triveni-Sangam o, appunto, confluenza di tre fiumi.

Al Khumb Mela si incontrano il mondo di chi continua a fruire dei beni materiali e quello di chi ha deciso di rinunciarvi, i sadhu, nudi, centinaia di sadhu, coperti di cenere,  con i capelli indomabili, e i loro simboli  tridenti. Se vai in giro per il grande campo pieno di tende incontri indovini, uomini di fede, monaci, maestri, uomini di Stato, cantanti e cantastorie,  uomini, donne, bambini e neonati, vecchi e vecchie, poveri e ricchi, sani e malati, forti e deboli, e chi spera di morire in questo luogo. Nel fiume galleggiano tagete, cocco e altri petali di fiori che i devoti hanno acquistato per donarle, in questo modo, alle divinità. Di giorno il fiume culla una moltitudine di barche distinguibili per le loro bandierine colorate. La notte le barchette più visibili sono quelle piccole, votive, che custodiscono un fiore e un piccolo lumino acceso, diventando un vestito di lustrini per il Gange. La riva è incredibilmente affollata perché fare le abluzioni vuol dire immergersi, con le mani giunte per pregare, fino a che l’acqua copre completamente tutto il corpo. Qui, come a Lourdes, l’acqua benedetta la si porta via in piccole taniche di plastica che si possono comprare nelle bancarelle. Accorrono anche i turisti, a guardare, a volte distaccati, un fenomeno di massa per strappare qualche fotografia da mostrare agli amici, forse inconsapevoli di assistere ad uno di più grandi atti di fede nel mondo.

Per ogni evento vengono sempre rese note le date delle sacre abluzioni.

testo by PASSOININDIA

vuoi assistere all’evento? visita il nostro sito http://www.passoinindia.com

http://youtu.be/ZR8CowLILSs

Photo di testa by: http://www.corriere.it/esteri/foto/01-2013/indu/gange/kumbh-mela-_076e6b84-5e35-11e2-8040-f298aabecc61.shtml#10

La mia LOHRI

La Lohri è una festa importante del Nord dell’ India, celebrata da tutti (a prescinder dalla appartenenza religiosa)  il giorno 13 Gennaio (secondo il calendario indu) di ogni anno, che ha le sue origni nello stato del Punjab anche se oggi, grazie alla sua popolarità, è festeggiata anche in Haryana, Himachal Pradesh, Jammu e Delhi.

Il nome Punjab significa “terra dei cinque fiumi”  ed è il nome di una delle regioni indiane più fertili, tanto che viene chiamata “granaio dell’India”; la maggior parte dei suoi abitanti lavora in agricoltura e perciò, nella loro vita, ogni stagione ha la sua importanza poiché da esse dipende il futuro raccolto. Per questo ad ogni stagione è dedicata una festa che viene celebrata con tutto l’entusiasmo e la gioia. La Lohri è appunto dedicata alla fine dell’ Inverno, cosi  la festa Basant è dedicata all’esordio della primavera, e, con la festa di Teeyan, si celebrano i Monsoni.

Con la Lohri si  festeggia il solstizio di inverno (scientificamente però questo avviene il 21-22 Dicembre) e si saluta così la notta più lunga cui seguiranno giorni più lunghi. Sono state proposte numerose teorie  riguardanti la derivazione del termine ‘Lohri’. Molti sostengono che il festival prenda il nome dal Loi, moglie del Santo Kabir.  Altri credono che il termine ‘Lohri’  abbia origine da ‘loh’, il nome di una padella di ferro utilizzato per la preparazione dei cibi.

Lohri è la festa della fertilità  e del ringraziamento per il buon raccolto agli elementi naturali come l’acqua, il vento e il fuoco. La Lohri è tradizionalmente associata alla raccolta delle colture Rabi (la raccolta di primavera). Le persone offrono a Dio le arachidi, il rewri (un dolce tradizionale fatto con semi di sesamo), farina, burro e prodotti alimentari vari per ringraziarlo del un buon raccolto.

Quando ero piccolo aspettavo felice l’arrivo della Lohri che era una della mie feste perferite. Durante il giorno, andavo con i miei amici a bussare a tutte le porte del villaggio cantando le storie di  Dulha Bhatti, un famoso eroe leggendario.  Tutti ci offrivano i loro dolci, i popcorn, le arachidi e i soldi, di solito 5, 10 rupie. Tornavamo a casa contenti di questo nostro “piccolo raccolto” di Lohri, perché tornare a mani vuote era considerato di cattivo auspicio. Anche le ragazze, molto eleganti nei loro salwar kameez (nome del vestito tradizionale punjabi) facevano come noi e quasi sempre loro riuscivano ad ottenere una Lohri molto più cospicua.Se alzavo lo sguardo al cielo vedevo tutti, grandi e bambini, giocare con bellissimi  aquiloni che coloravano tutto il cielo. La sera la festa continuava ed era particolarmente viva nelle case abitate da novelli sposi (la famiglia della donna si recava a trovarla per portarle dei doni) o dove era appena nato un bambino. Era tradizione di offrire agli ospiti gachchak (un dolce fatto con  zucchero di canna e arachidi), gur (dolce fatto con zucchero di canna), moongphali (arachidi) e phuliya o popcorn Nella piazza principale e nei cortili delle case la gente si riuniva intorno a un falò che rendeva la notte più chiara. Intorno, tutti cantavano le canzoni tipiche della Lohri e ballavano, soprattutto le ragazze, la tipica danza tradizionale del Punjab chiamata “Gidha”, mentre i ragazzi ballavano la “Bhangra” al ritmo del dhol (tipico tamburo) fino a che il fuoco non si spegneva. Semi di sesamo, gur, zucchero candito e rewaries venivano buttati nelle fiamme. Alcune persone facevano  una preghiera e giravano intorno al fuoco in segno di rispetto per  questo elemento naturale. Gli induisti versavano anche latte e acqua intorno al falò. Questo rituale veniva  eseguito per ringraziare il dio del sole e cercare la sua protezione continua.

Ancora oggi la Lohri si festeggia nel modo che vi ho raccontato, con la stessa vivacità e gioia. Sono contento che nulla sia cambiato a parte il fatto che oggi gli auguri di “Happy Lohri” si mandano e si ricevono anche via SMS.

Una leggenda legata alla Lohri racconta la storia di Dulla Bhatti  vissuto in Punjab, durante il regno di Mughal dell’imperatore Akbar, dove fu considerato un eroe perché, oltre a rubare i ricchi, salvò delle ragazze che furono prese con la forza per essere vendute nel mercato degli schiavi del Medio Oriente. Egli organizzò il loro matrimonio con ragazzi della loro religione con i rituali previsti , offrendo loro le doti.  Per questo nelle canzoni di Lohri  si esprime gratitudine a Dulla Bhatti.

testo by PASSOININDIA

foto by http://the-long-walk-home.blogspot.it/2011/01/of-lohri-and-its-good-ole-robin-hood.html

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150esimo anniversario della nascita di Swami VIVEKANANDA

Swami Vivekananda, conosciuto nella sua prima vita monastica come Narendra Nath Datta, nacque in una famiglia benestante a Calcutta il 12 gennaio 1863. Ragazzo studioso e dedito alla meditazione, alle soglie della giovinezza Narendra passò un periodo di crisi spirituale, assalito dai dubbi circa l’esistenza di Dio. E ‘stato in quel momento che sentì parlare di Sri Ramakrishna da uno dei suoi professori al college inglese. Un giorno, nel mese di novembre 1881, Narendra andò ad incontrare Sri Ramakrishna, che si trovava presso il Tempio di Kali Dakshineshwar, al quale subito porse una  domanda già fatta a molti altri  ma che non aveva ancora avuto risposte soddisfacenti: “Signore, hai visto Dio?” Senza un attimo di esitazione, Sri Ramakrishna rispose: “Sì, l’ho fatto. Lo vedo chiaramente come vedo te, solo in un senso molto più intenso. ”

Oltre a rimuovere i dubbi dalla mente di Narendra, Sri Ramakrishna lo conquistò con il suo amore puro e disinteressato. Iniziò così una relazione guru-discepolo unica nella storia dei maestri spirituali. Narendra, sotto la guida del Mastro, fece rapidi progressi sul sentiero spirituale.

Quando nel 1885 Sri Ramakrishna si ammalò di cancro alla gola, Swamiji, nonostante la povertà della sua famiglia (il padre era morto da poco)  e l’incapacità di trovare un lavoro per se stesso, entrò nel gruppo dei discepoli come leader.

Sri Ramakrishna instillò in questi giovani lo spirito di rinuncia e di amore fraterno uno per l’altro. Un giorno distribuì loro vesti ocra  e li inviò a chiedere l’elemosina di cibo. In questo modo egli stesso pose  le basi per un nuovo ordine monastico. Diede istruzioni specifiche a Narendra sulla formazione del nuovo ordine monastico. Nel 1886 Sri Ramakrishna morì.

Dopo la morte del Maestro, quindici dei suoi giovani discepoli  cominciarono a vivere insieme in un edificio fatiscente a Baranagar nel Nord Calcutta. Sotto la guida di Narendra, formarono una nuova fraternità monastica. Narendra divenne così Swami Vivekananda (anche se questo nome venne assunto in realtà molto più tardi.)

Dopo aver stabilito il nuovo ordine monastico, Vivekananda sentì la chiamata interiore per la missione più grande della sua vita. Mentre la maggior parte dei seguaci di Sri Ramakrishna pensarono a lui in relazione alla loro vita personale, il pensiero di  Vivekananda era invece rivolto  all’India  India e al resto del mondo, il che lo portò a girare solo per il mondo.  Così, nel bel mezzo del 1890, dopo aver ricevuto le benedizioni di Sri Sarada Devi, la divina consorte di Sri Ramakrishna, nota al mondo come Santa Madre, che allora stava a Calcutta, Swamiji lasciò Math Baranagar e intraprese un lungo viaggio di esplorazione alla scoperta dell’India.

Durante i suoi viaggi in tutta l’India, Swami Vivekananda fu profondamente commosso nel vedere la povertà spaventosa e l’arretratezza delle masse. Fu  il primo leader religioso in India a capire e dichiarare apertamente che la vera causa della caduta dell’India fu l’abbandono della gente. La necessità immediata era  quella di fornire cibo e altre necessità primarie della vita a milioni affamati. Per questo egli sostenne che dovessero essere insegnati metodi di  miglioramento in agricoltura, industria ecc. Fu  in questo contesto che Vivekananda colse  il nocciolo del problema della povertà in India (che era sfuggito all’attenzione dei riformatori sociali dei suoi giorni): a causa di secoli di oppressione, le masse oppresse avevano perso fiducia nella loro capacità di migliorare la loro condizione. Il suo messaggio fu utile ad infondere nelle genti fiducia in se stesse. Esse trovarono in Swamiji un ispiratore  e seguirono il messaggio contenuto  nel principio dell’Atman, la dottrina della potenziale divinità dell’anima, insegnato nei Vedanta, l’antico sistema di filosofia religiosa dell’India. Egli vide che, nonostante la povertà, le masse si erano aggrappate alla religione, ma non era mai stato insegnato loro chi avesse dato la vita, così egli  nobilitò i principi dei Vedanta e spiegò come applicarli nella vita pratica.

Le masse avevano  bisogno di due tipi di conoscenza: la conoscenza secolare per migliorare la loro condizione economica, e la conoscenza spirituale per acquisire fiducia in se stessi e rafforzare il loro senso morale. La domanda successiva fu, come diffondere questi due tipi di conoscenza tra le masse? Attraverso l’educazione – questa fu  la risposta che Swamiji trovò.

Una cosa fu chiara a Swamiji: per realizzare i suoi piani per la diffusione dell’istruzione e per il sollevamento delle masse povere, e anche delle donne, era necessaria una organizzazione efficiente di persone che vi  si dedicassero.  Come disse più tardi, la sua intenzione era di “mettere in moto un meccanismo che porterà più nobili idee finanche il più povero e il più cattivo.” Perciò pochi anni dopo Swamiji fondò la Missione Ramakrishna.

E ‘stato quando queste idee prendevano forma nella sua mente, nel corso delle sue peregrinazioni che Swami Vivekananda sentì parlare del Parlamento delle Religioni del mondo che si sarebbe tenuto  a Chicago nel 1893. I suoi amici e ammiratori in India volevano che frequentasse  il Parlamento. Lui  sentiva che il Parlamento sarebbe stato il luogo giusto per presentare il messaggio del suo Maestro per il mondo, e così decise di andare in America. Un altro motivo che ha spinto Swamiji di andare in America fu quello di cercare un aiuto finanziario per il suo progetto di elevazione delle masse.

Mentre era seduto in meditazione profonda sulla roccia-isola a Kanyakumari,  Swamiji ebbe la certezza della chimata divina a portare aventi questa sua missione. Con i fondi in parte raccolti dai suoi discepoli, Swami Vivekananda partì per l’America da Mumbai il 31 maggio 1893.

I suoi discorsi al Parlamento del mondo delle religioni tenutosi  nel settembre 1893 lo rese famoso come ‘oratore per diritto divino’ e come ‘messaggero di saggezza indiana al mondo occidentale’. Dopo il Parlamento, Swamiji  trascorse quasi tre anni e mezzo di propagazione dei Vedanta,  come vissuti e insegnati da Sri Ramakrishna, per lo più nella parte orientale degli Stati Uniti e anche a Londra.

Tornò in India nel mese di gennaio 1897. In risposta l’accoglienza entusiasta che ebbe ricevuto in tutto il mondo, tenne  una serie di conferenze in diverse parti dell’India, che crearono un grande scalpore in tutto il paese. Attraverso queste lezioni stimolanti e profondamente significative Swamiji tentò di

–          risvegliare la coscienza religiosa del popolo e creare in lui l’orgoglio per il proprio patrimonio culturale;

–           effettuare un  processo di unificazione dell’ induismo, sottolineando le basi comuni delle sette in cui questo si divideva;

–          focalizzare l’attenzione delle persone istruite sulla situazione delle masse oppresse, e di esporre il suo piano per il loro sollevamento mediante l’applicazione dei principi di Pratica Vedanta.

Poco dopo il suo ritorno a Calcutta, Swami Vivekananda compì un altro importante compito della sua missione sulla terra. Fondò il 1 maggio 1897 un tipo unico di organizzazione nota come Ramakrishna Mission, in cui monaci e laici si impegnavano congiuntamente nella  propagazione della pratica Vedanta, e in varie forme di servizio sociale, come realizzazion di ospedali,  scuole, collegi, ostelli, centri di sviluppo rurale ecc, e conduzione di soccorso di massa e lavoro di riabilitazione per le vittime di terremoti, cicloni e altre calamità, in diverse parti dell’India e di altri paesi.

Nei primi mesi del 1898 Swami Vivekananda acquisì un grande  pezzo di terra sulla riva occidentale del Gange in un luogo chiamato Belur per avere una dimora permanente per il monastero e per l’Ordine monastico originariamente iniziato a Baranagar; lo registrò come Ramakrishna Math dopo un paio di anni. Qui Swamiji stabilì un nuovo, modello universale della vita monastica, adattando antichi ideali monastici  alle condizioni della vita moderna, che dava uguale importanza all’illuminazione personale e al servizio sociale, e che era aperta a tutti gli uomini senza distinzione di religione, razza o casta .

Anche  in Occidente molte  persone furono  influenzate dalla vita di Swami Vivekananda e dal suo messaggio. Alcuni di loro divennero suoi discepoli o amici devoti. Tra questi, i nomi di Margaret Noble (più tardi conosciuta come Sorella Nivedita), il capitano e la signora Sevier, Josephine McLeod e Sara Ole Bull, meritano una menzione speciale. Nivedita dedicò la sua vita a educare le ragazze a Calcutta. Swamiji ebbe anche moltissimi dicepoli indiani.

Nel giugno del 1899, arrivò nuovamente in Occidente  per la seconda volta, dove trascorse la maggior parte del suo tempo nella costa occidentale degli Stati Uniti. Dopo aver tenuto numerose conferenze, tornò a Belur Math nel mese di dicembre 1900. Spese in India il resto della sua vita che ispirò e fu guida per molte persone, sia monastici che e laici. Lavorò incessantemente, soprattutto tenendo conferenze. finché la sua salute si consumò e Swamiji morì la notte del 4 luglio 1902. Prima della sua Mahasamadhi (che vuol dire lasciare il corpo perché l’anima non muore mai)  scrisse ad un seguace occidentale: “Può darsi che sia buona cosa lasciare questo corpo o gettarlo via come un abito usurato. Ma non cesserò  di lavorare. Io ispirerò gli uomini in tutto il mondo fino a quando il mondo intero saprà di essere un tutt’uno con Dio.”.

L’eminente storico britannico A L Basham fece una valutazione oggettiva dei contributi di Swami Vivekananda alla cultura mondiale; Egli disse di Swamiji: “nei secoli a venire, sarà ricordato come uno dei principali  formatori del mondo moderno …” Alcuni dei principali contributi che Swamiji apportò al  mondo moderno sono di seguito indicate:

1. Nuovo significato della Religione: Uno dei contributi più significativi di Swami Vivekananda al mondo moderno è la sua interpretazione della religione come esperienza universale della Realtà trascendente, comune a tutta l’umanità. Swamiji ha incontrato la sfida della scienza moderna, mostrando che la religione è tanto scientifica quanto lo è la scienza stessa, la religione è la ‘scienza della coscienza’. In quanto tale, la religione e la scienza non sono in contraddizione tra loro, ma sono complementari. E’ una concezione universale della religione libera da superstizioni, dogmatismo, clericalismo e intolleranza,  che fa della religione l’esercizio più alto e più nobile, la ricerca della suprema libertà, conoscenza, felicità.

2. Nuova considerazion dell’uomo: Il concetto di ‘divinità potenziale dell’anima’ diffuso da Vivekananda nobilita l’uomo. L’epoca attuale è l’età dell’umanesimo in cui l’uomo dovrebbe essere la preoccupazione principale e il centro di tutte le attività e di pensiero. Attraverso la scienza e la tecnologia l’uomo ha raggiunto grande prosperità e potenza, e i moderni mezzi di comunicazione e i viaggi hanno trasformato la società umana in un ‘villaggio globale’. Ma la degradazione dell’uomo è avvenuta a ritmo sostenuto, come testimonia l’enorme aumento di famiglie divise, l’immoralità, la violenza, la criminalità, ecc. nella società moderna. Il concetto di divinità potenzialità dell’anima impedisce questo degrado, divinizza le relazioni umane, e rende la vita significativa e degna di essere vissuta. Swamiji ha gettato le basi per un’umanesimo’, che si manifesta attraverso una serie di movimenti neo-umanistico e nell’interesse attuale della meditazione in tutto il mondo.

3. Nuovi principii di morale ed etica: La morale prevalente, sia nella vita individuale che nella vita sociale, si basa soprattutto sulla paura – la paura della polizia, paura del ridicolo pubblico, la paura del castigo di Dio, la paura del Karma, e così via. Le attuali teorie di etica, inoltre, non spiegano perché una persona dovrebbe essere morale ed essere buona con gli altri. Vivekananda ha dato una nuova teoria di etica e nuovo principio della morale in base alla purezza intrinseca e all’unicità della Atman (anima). Dovremmo essere puri perché la purezza è la nostra vera natura, il nostro vero Sé divino o Atman. Allo stesso modo, dobbiamo amare e servire il nostro prossimo, perché siamo tutti un uno con lo Spirito Supremo conosciuto come Paramatman o Brahman.

4. Ponte tra Oriente e Occidente: Un altro grande contributo di Swami Vivekananda fu quello di costruire un ponte tra la cultura indiana e la cultura occidentale. Lo fece attraverso l’interpretazione delle  scritture indù, della filosofia indù, del modo di vita e delle istituzioni spiegandolo ai cittadini occidentali in un idioma che si poteva capire. Fece si che gli occidentali si rendessero conto che dovevano imparare molto dalla spiritualità indiana per il loro benessere. Egli ha dimostrato che, nonostante la sua povertà e arretratezza, l’India ha portato un grande contributo alla cultura mondiale. In questo modo è stato determinante nel porre fine all’isolamento culturale dell’India dal resto del mondo. E ‘stato l’India il primo grande ambasciatore culturale in Occidente.

D’altra parte, l’interpretazione di Swamiji delle antiche scritture indù, la filosofia, le istituzioni, ecc. ha preparato la mente degli indiani ad accettare e applicare nella vita pratica i due migliori elementi della cultura occidentale, vale a dire la scienza e la tecnologia e l’ umanesimo. Swamiji ha insegnato agli indiani come padroneggiare la scienza occidentale e la tecnologia e, al tempo stesso, lo sviluppo spirituale. Swamiji ha anche insegnato agli indiani come adattare l’umanesimo occidentale (in particolare le idee di libertà individuale, l’uguaglianza e la giustizia sociale e il rispetto per le donne) alla cultura indiana.

 
Contributi di Swamiji in India.
 
Nonostante le sue innumerevoli diversità linguistiche, etniche, storiche e regionale, l’India ha avuto da sempre un forte senso di unità culturale. E ‘stato, tuttavia, Swami Vivekananda che ha rivelato i veri fondamenti di questa cultura, e quindi chiaramente definito e rafforzato il senso di unità come nazione.Swamiji ha insegnato agli indiani a comprendere il grande patrimonio spirituale del loro paese, e quindi ha dato loro l’orgoglio per il  loro passato. Inoltre, ha sottolineato gli inconvenienti della cultura occidentale e la necessità del contributo indiano per ovviare a questi inconvenienti. In questo modo Swamiji ha reso l’India una nazione con una missione globale.Senso di unità, orgoglio del passato, senso della missione – questi sono stati i fattori che hanno dato vera forza e scopo al movimento nazionalista indiano. Diversi leader del movimento di liberazione dell’India hanno riconosciuto il loro debito nei confronti di Swamiji. Netaji Subhash Chandra Bose ha scritto:” Swamiji ha armonizzato l’Oriente e l’Occidente, la religione e la scienza, passato e presente. Ed è per questo che è grande. I nostri connazionali hanno ottenuto, come mai prima, rispetto di sé, autonomia e autoaffermazione dai suoi insegnamenti. “

Il contributo più esclusivo di Swamiji alla creazione di  una nuova India è stato quello di aprire le menti degli Indiani al loro dovere di masse oppresse. Molto prima che le idee di Karl Marx fossero conosciute in India, Swamiji aveva parlato del ruolo delle classi lavoratrici nella produzione della ricchezza del paese. Swamiji fu il primo leader religioso in India a parlare per le masse, formulare una filosofia precisa di servizio, e organizzare su larga scala dei servizi sociali.

Liberamente tradotto da http://www.belurmath.org/swamivivekananda.htm

Appunti di viaggio

Ci fa piacere segnalare questo post di SERGIO FERRAIOLO – Uno sguardo sul mondo –  perché un po’ “siamo di parte” visto che trattiamo l’argomento INDIA e perché anche noi amiamo questi luoghi:

Il libro è:

LADAKH, ZANSKAR, KASHMIR. Appunti di un viaggio nato per caso.”,  in:

Appunti di viaggio. SERGIOFERRAIOLO.WORDPRESS.COM che scrive:

Vacanze natalizie. Momenti di calma. Ho realizzato un progetto a cui tenevo molto e sempre rimandato. Negli anni scorsi ho visitato più volte il nord dell’India, il Ladakh, lo Zanskar e il Kashmir.

Monasteri, laghi alti e laghi bassi, montagne, barche strane, persone meravigliose, scuole in paesini sperduti.

Posti lontani, meravigliosi, parecchio lontani dal nostro mondo come cultura e stile di vita. I ricordi sono ancora intensi ma con il tempo si affievoliscono. Ho deciso di fermarli scrivendo qualche appunto di viaggio. Utile per me, per non dimenticare una bellissima esperienza. Utile, spero, per chi volesse vivere le mie indimenticabili emozioni. La tecnologia si evolve e Amazon rende disponibile una forma facilitata di pubblicazione.

Il “libro” è qui, a questo indirizzo: http://www.amazon.it/Ladakh-Zanskar-Kashmir-Appunti-ebook/dp/B00AXKSTJG/ref=sr_1_4?s=digital-text&ie=UTF8&qid=1357552834&sr=1-4“.

I miei 35 motivi semiseri per amare la Letteratura

Leggete questo post di TRA SOTTOSUOLO E SOLE, particolarmente meritevole di attenzione.

I miei 35 motivi semiseri per amare la Letteratura (antoniodileta.wordpress.com)

Sono immerso nella lettura della “Critica della ragione pura” di Kant e quindi ho meno tempo a disposizione per leggere altro o scrivere articoli. Ho pensato, così, di “barare”, ripubblicando un mio vecchio articolo, scritto e pubblicato marzo. All’epoca il mio blog era molto meno seguito, ma a qualcuno piacque questa mia lista semi-seria. La propongo anche a chi mi “segue” da meno tempo. Spero che voi abbiate altrettanti e maggiori motivi di amare la Letteratura. :)

  • perché quando sono in fila alla posta, dal dottore o altrove posso attendere il mio turno senza morire di noia
  • perché l’ultima pagina de “La nausea” di Sartre mi fece piangere
  • perché ogni anno, il 19 marzo, quando nel mio paese accendono i fuochi per la festa di S. Giuseppe, penso al finale de “La luna e i falò” di Pavese
  • perché leggendo non ho scoperto il senso della vita, ma ho scoperto che anche se non c’è alcun senso “bisogna immaginare Sisifo felice”
  • perché quando mi chiedi un consiglio di lettura, anche se vorrei baciarti romanticamente in riva al mare o fare sesso selvaggio con te nel bagno di un pub, io ti consiglio qualcosa e non capisco mai se ho fatto bene a tacere tutto il resto
  • perché la villetta comunale del mio paese certe volte mi è sembrata davvero Pietroburgo
  • perché posso fare un elenco come questo
  • perché un giorno un bibliotecario mi disse che ero una delle persone più interessanti che aveva visto, che stavo seguendo un certo percorso che mi avrebbe portato…e non finì la frase, al che sospettai che alludesse alla pazzia
  • perché in fondo adoro il pensionato rompiballe che mi ripete da decenni che leggo troppo
  • perché se passeggio senza un libro in mano, mi sento come se non portassi le mutande
  • perché mi rendo conto di quanto sia ridicolo passeggiare sempre con un libro in mano
  • perché quando vedo su un treno una ragazza che legge un libro, penso sempre che potrei innamorarmi
  • perché mio nonno ha vissuto benissimo senza leggere tanti libri, probabilmente era una persona “migliore” di me, e mi diceva sempre di mettermi al sole per leggere
  • perché mi piace
  • perché, più o meno, quando accarezzo un libro è come se accarezzassi il volto di una donna, più o meno
  • perché posso rileggere lo stesso libro più volte, e non è mai come la prima volta
  • perché ricordo quando un mio amico mi rispedì in faccia “Delitto e Castigo”, dandomi dell’ “introspezionista di merda”, ma poi lo lesse e disse che avevo ragione
  • perché non si dovrebbero citare così spesso gli altri, ma se qualcuno ha detto prima di me qualcosa che non riesco a esprimere, allora mi sento in diritto di abusare di citazioni
  • perché mi piace vedere nelle tessere dei libri che prendo in prestito in biblioteca i nomi di chi ha letto lo stesso libro prima di me, immaginare chi è, cosa fa
  • perché il Maestro alla fine trovò Margherita
  • perché se leggo un capolavoro capisco che devo smettere di scrivere
  • perché ho tempo per farlo
  • perché da un filosofo ho imparato che le passioni umane non bisogna deriderle, compiangerle o condannarle, ma cercare di capirle
  • perché l’odore di un libro non mi manda in estasi, ma lo preferisco ad altri profumi
  • perché quando scopro un autore che non conoscevo e mi entusiasma mi chiedo come potessi fare a non conoscerlo
  • perché non sono sicuro che la letteratura serva a evadere dalla realtà, ma sono sicuro che mi ha consentito di non finire in un luogo dal quale avrei dovuto evadere
  • perché quando incontro un amico che non vedo da mesi o anni, riprendiamo a parlare di Nietzsche, Dostoevskij, Kafka e Camus come se ci fossimo lasciati tre minuti prima
  • perché il rischio di apparire un borioso pseudo – intellettuale è ampiamente sovrastato dalla piena consapevolezza di essere solo un lettore appassionato
  • perché mi basta leggere una poesia di Baudelaire per capire che qualcuno si confonde se pensa che basti bere vino per diventare poeti
  • perché avere tante voci nella mia testa che mi parlano non sarà salutare, ma sarà peggio quando non ne avrò nemmeno una
  • perché la letteratura non mi ha cambiato la vita, ha contribuito a conservarla
  • perché “anche se non c’è amore, a volte c’è qualcos’altro”
  • perché quando vedo un bambino che in biblioteca legge un libro sono contento per lui
  • perché anche gli scrittori mentono, qualcuno completamente, qualcuno poco, magari qualcuno per niente, ma siccome anch’io mento, e persino a me stesso, siamo alla pari
  • perché leggendo ho capito che è solo un bisogno di certezza, di totalità, di essere rassicurati che ci spinge a fare gli elenchi di 10 o 100 oggetti, domande, desideri, etc, e perciò questo elenco finisce così, per ora.”.

FATTI… (fai a te stesso…)

Fatti 
di una vita 
mille vite
degne di essere 
vissute

E di un giorno 
fatti mille soli 
e mille lune 
di una notte

Fatti
tanti te
cui regalare 
doni 

Fatti
tante strade
e non lasciarne 
una

Sòffocati di emozioni
Dìsturbati di attimi
Màsturbati di vita

Lascia quel te  (stesso)
che non vuole mai partire

Prendi quel te (stesso)
che mangerebbe polvere

Fai che la morte
solo una sia
quando il corpo 
è ridotto a brandelli 
per tutto quel 
vissuto.

TESTO  E FOTO  BY “PASSOININDIA”

IL TE’

Il Tè è la bevanda più diffusa al mondo dopo l’acqua.  La sua storia comincia dalla China dove già nel II secolo A.C. si consumava, anche se nessuno  sa chi realmente l’abbia  scoperto.

Una leggenda racconta che, un giorno dell’ann0 2737 AC, l’imperatore cinese Shen Nung era seduto sotto un albero e, mentre i suoi servi stavano bollendo dell’ acqua, alcune foglie di un albero di Camellia sinensis vi finirono dentro. Shen Nung, che era un erborista famoso, decise di provare l’infusione che i suoi servi avevano accidentalmente creato.

In tombe risalenti alla dinastia Han (206 aC – 220 dC) sono stati rinvenuti contenitori da tè, ma fu sotto la dinastia Tang (618-906 dC), che il tè si affermò definitivamente come la bevanda nazionale della Cina  a tal punto che, durante il tardo VIII secolo, uno scrittore di nome Lu Yu scrisse il primo libro interamente dedicato al Classic Ch’a Ching, o tè. Poco dopo il tè venne introdotto in Giappone  da monaci buddisti giapponesi che avevano viaggiato in Cina. Il rituale del tè è ancora parte integrante della cultura giapponese.

Nella seconda metà del XVI secolo ci sono le brevi prime citazioni sul tè ormai consumato tra gli europei, soprattutto tra i portoghesi che avevano vissuto in Oriente come commercianti e missionari, e gli olandesi  che ne curarono l’importazione in Occidente  negli ultimi anni del XVI secolo, quando anche stabilirono una stazione commerciale sull’isola di Java da dove, nel 1606, la prima partita di tè fu spedita dalla Cina all’ Olanda. Il Tè divenne ben presto una bevanda di moda tra gli olandesi, e da lì si diffuse in altri paesi in Europa occidentale ma rimase una bevanda per i ricchi a causa del suo prezzo elevato .

La Gran Bretagna non era ancora diventata la nazione di grandi consumi di tè che è oggi. Dal 1600, la British East India Company ebbe il monopolio dell’importazione delle merci dai paesi extraeuropei, ed è probabile che il personale di bordo di queste navi commerciali portasse nel paese di origine il tè come regalo per la famiglia  e gli amici.  Ma il primo riferimento al tè in questo paese fu su un annuncio pubblicato su un giornale di Londra, Mercurius Politicus, nel 1658 il quale annunciò che  il  Tcha  era in vendita nella prima cafeteria aperta a Londra nel 1652, e il tenore dell’annuncio lasciava intendere che tale bevanda fosse ancora sconosciuta alla maggior parte dei lettori.

La coltivazione e la preparazione del tè in India ha una lunga storia di applicazioni nella medicina tradizionale  ayurvedica oltre che per il consumo. La produzione commerciale di tè in India cominciò con l’arrivo della Compagnia Britannica delle Indie Orientali e, da quel momento, grandi appezzamenti di terreno vennero convertiti  alla produzione di massa del tè.

Oggi l’India è uno dei maggiori produttori di tè in tutto il mondo, ma oltre il 70% del tè è consumato all’interno del Paese. Alcuni tè famosi, come il Darjeeling  e l’Assam, crescono esclusivamente in India  ma globalmente l’India ne produce, ne certifica e ne commercializza una estesa gamma sotto il controllo del Consiglio del Tè indiano.

Ci sono alcune qualita di tè quali il Tè bianco, il tè nero, il tè oolong, il tè verde, e il pu’er. Il Tè piu costoso del mondo si chiama Da Hong Pao e costa più di 1.200 euro al chilo. Al mondo esistono solo sei piantine da cui si raccolgono le foglioline di questo tè e si trovano in Cina, in una remota zona di montagna nella provinca del Fujan. Questo tè famoso per il suo aroma e la sua rarità era un tempo riservato agli imperatori.

Bere tè aiuta l’organismo a prevenire malattie influenzali e virali, a proteggere il cuore da patologie cardiovascolari ed è un toccasana per il corpo per il suo alto potere idratante e anche diuretico.

Chai” è il nome dato al tè in molti paesi dell’Asia e dell’Europa orientale. In India si usa quotidianamente questa bevanda calda fatta con tè, latte, e spezie varie dette “Chai Masala” (cardamomo,  cannella, zenzero, chiodi di garofano, anice, vaniglia, etc.).

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