IL TEMPIO NATO DALLA ROCCIA. IL KAILASA TEMPLE ALLE GROTTE DI ELLORA.

Ellora caves Maharashtra, India

Varrebbe la pena di recarsi in Maharashtra, ad Ellora, solo per visitare questo grandioso e particolarissimo tempio in stile dravidico, il Kailasa ( o Kailash), uno tra i più grandi della fede indu che prende il nome dalla montagna sacra dimora di Shiva. Secondo un’iscrizione lasciata a Ellora, la sua costruzione risalirebbe all’VIII° secolo per probabile opera del re Rashtrakuta Krishna I (regno 756-773). Evidenti successive aggiunte e modifiche fanno ritenere che più sovrani succedutisi nel tempo si siano dedicati alla sua costruzione e questo spiegherebbe anche la presenza di stili architettonici diversi tra cui quello Pallava e Chalukya. Il complesso del tempio è contrassegnato, tra i tesori di Ellora, come cave 16. E’, infatti, uno dei 34 templi rupestri, cioè costruiti su roccia, di fede buddista, giainista e indù, testimonianza di piena tolleranza religiosa, il cui insieme è noto come “grotte di Ellora”, dichiarate patrimonio mondiale dell’UNESCO nel 1983. Pensate che qui, per ben oltre 2 chilometri, queste meraviglie si appalesano una a fianco all’altra, scavate come sono su una roccia di basalto. Il Kailasa temple è stato realizzato scavando ed intagliando verticalmente, a tutti i livelli, dall’alto verso il basso una grande roccia di ben 400.000 tonnellate ed è il più grande tempio monolitico del mondo!

E’ nel VII° secolo che si comincia a realizzare templi in questa maniera, prima a Mahabalipuram nel sud dell’India e poi in tutto il Paese, come a Masrur nel nord, Damnar nel centro, Karugmalai nell’estremo sud, fino ad arrivare alla costruzione dei templi giainisti di Ellora. Sembra incredibile ma risultava infatti molto più economico in termini di lavoro e spese “ritagliare” la costruzione direttamente dalla montagna di roccia dove uomini scavavano dall’alto verso il basso senza uso di impalcature e gli scultori completavano l’opera con il loro magnifico lavoro.

Superata la porta di ingresso (gopura) rimango stupefatto dalle mura (prakaras), anch’ esse nascenti dalla roccia, che racchiudono il complesso su entrambi i lati. E’ impressionante, ci si sente piccoli piccoli e insignificanti.

Nel grande cortile incontro un piccolo mandapa e Nandi, il sacro toro bianco “veicolo” di Shiva, colui che lo accompagna in tutti i suoi spostamenti. Più avanti, un porticato di due piani decorato da nicchie e pannelli incisi con figure sacre indu, che nei templi induisti si chiama Nandi Mandapa (sala del culto) ed è di solito dedicato a danze e musica sacra; all’esterno, ai suoi fianchi, due enormi pilastri; al suo interno, in uno spazio di circa 324 mq, ben 16 colonne monolitiche.

Salgo al secondo piano del Padiglione Nandi e, percorrendo dei ponti in pietra da cui si ha una bella visione dall’alto sul complesso, raggiungo il livello superiore del gopuram di ingresso del santuario principale. Esso si erge su un alto podio di due parti, l’Adhisthana superiore e l’Upapitha inferiore, attorno al quale è scolpita una linea di grandi elefanti che sembrano sorreggerlo. Al piano superiore si accede, oltre che tramite i ponti in pietra dal Mandapa, anche salendo le scale (come salire la montagna sacra) ai lati del portico principale che, alla base, circonda la struttura. Il santuario è sormontato da una torre a piramide (vimana) di 32 mt. di altezza, che rappresenta la montagna sacra Kailah ed è di architettura tipicamente meridionale; sulla sua cima c’è una grande corona in pietra a forma di cupola. Il pinnacolo sovrastante (stupi, kalasha) è invece andato perduto. Entro nel Garbhagriha (sanctum sanctorum), il vero e proprio santuario, il grembo, fonte di vita, della sacralità del tempio. L’interno poco luminoso è dipinto con vari episodi del Ramayana e del Mahabharata e, nella sala centrale, si trova il lingam, altra forma in cui è adorato Shiva; sul soffitto, un grande fiore di loto.

L’invisibile linea verticale che congiunge il lingam al pinnacolo è interpretata come un asse dell’universo che collega la terra degli uomini al cielo degli dei.

Ogni volta che entro in un tempio mi riempio di sacro e percepisco il misticismo che invade questa complessa religione che è l’induismo. Esco e scendo. Attraverso nuovamente il ponte che collega il santuario principale e il nandimandapa ed incontro due enormi sculture di Shiva. Una è la sua rappresentazione (murti, la forma in cui un dio si trasforma) come gajasamhara, l’”uccisore dell’ elefante” di cui un demone prese le sembianze per terrorizzare i bramini in adorazione del lingam di Shiva; ma Shiva si avvolse nella sua pelle ed è cosi che viene talvolta raffigurato; questa storia è raccontata nel Kurma Purana ma ci sono altre versioni in merito; l’altra rappresentazione (murti) di Shiva è dakshina, il dio Shiva come insegnante (guru) di tutti i tipi di conoscenza, in atteggiamento di meditazione.

Non mancano figure del Vishnuismo ed altre divinità e neppure rappresentazioni erotiche Maithuna, termine sanscrito del tantrismo per indicare l’unione sessuale del maschio e della femmina che, se consacrata ovvero se dedicata al culto, diventa divina. La statua più importante resta quella del demone Rāvaṇa nell’atto di sollevare, nella sua eterna lotta contro Shiva, il monte himalayano Kailasa. Questa montagna oggi è in territorio cinese dopo che la Cina si è appropriata del Tibet e ed importante luogo di pellegrinaggio non solo indu ma anche buddista, giainista e zoroastriana.

Testo by Passoinindia

per approfondire https://passoinindia.wordpress.com/2017/10/15/le-coppie-dellinduismo-shiva-e-parvati/