impressioni di thimpu. bhutan.

lo dzong di Thimpu

Finalmente in Bhutan! Il volo è arrivato a Paro, con un atterraggio, a 2.200 metri di altitudine, solo per piloti provetti ed al centro di una vasta e fertile vallata punteggiata da abitazioni rurali e risaie. La guida, con la macchina, mi aspetta e, dopo 54 chilometri, sopraggiungiamo a Thimpu, dal 1961 capitale del Regno. Si, questo è un regno, con un re ed una regina, Jetsun Pema Wangchuck e la sua consorte, proprio come nelle favole. E da favola è anche il clima sociale, l’educazione civica, l’approccio alla vita e all’ambiente. In effetti, è chiamato il Paese della Felicità ed ha addirittura un ministero che si dedica a questo aspetto!

Thimpu non è certo una megalopoli come le altre capitali del mondo però, tra queste, è la terza per altitudine (2648 m.s.l.m.), collocata com’è in un fantastico scenario himalayano con vette fino ai 3800 mt. di altezza, in una stretta valle plasmata dal fiume Raidak, piena di boschi e foreste. E’ da poco iniziata la primavera ma forme tondeggianti di neve residua ed il fiume gonfio di acqua piovana invernale testimoniano la durezza di una stagione passata che, tuttavia, difficilmente porta temperature sotto i tre gradi. Qui, come in tutto il Paese, tutto parla di buddismo: le ruote di preghiera, le bandierine colorate con le preghiere al vento, l’architettura delle abitazioni. Gli edifici, in pietra e terra, sono decorati da cornici di legno e disegni religiosi (vietato l’uso di chiodi o barre di ferro) che rispecchia antiche tradizioni preservate da un decreto reale che garantisce lo stile anche alle nuove costruzioni. Siamo lontani dalle strade caotiche e rumorose della vicina India; gli abitanti della città sono davvero pochi e disciplinati, circa 115.000 non (ancora?) contaminati dalla forma mentis della stragrande maggioranza di mondo che ha intorno. Il Bhutan ha aperto al turismo nel 1974, ogni anno centellina gli ingressi ai viaggiatori, e solo nel 1999 sono entrati nelle case la tv ed internet. A Thimpu si respira un’aria rilassata, tutto procede secondo ritmi naturali all’uomo, uomini e donne sono vestiti con abiti tradizionali in gho e kira e i bambini vanno a scuola con la loro bella divisa. L’aria è pulita e fresca, la luce è chiara, non vedo ciminiere da cui esce chissà quale sostanza industriale. Non esiste neppure un semaforo, non un clacson o una imprecazione. Queste le mie prime impressioni. Da viverci, se solo fosse consentito. Il giorno seguente mi coccolo, passeggiando per la strada principale di Thimpu, Norzin Lam, sbirciando nei negozi ricchi di artigianato colorato, ciotole di legno, tessuti ed oggetti della tradizione buddista di gusto semplice e misurato e per questo ancor più bello. Mi dicono che, nel fine settimana, la piazza principale si anima di un popolare mercato che, tra le altre cose, vende frutta, verdura e burro di yak, dove la gente va a rifornirsi. Peccato, il giorno del mercato io sarò già a Paro.

Nel pomeriggio, mi reco quindi a visitare i monumenti religiosi più conosciuti, dando la precedenza a quello maggiormente noto a chi ama questi posti, il Tashichoedzong, la “Fortezza della Gloriosa Religione”, con le sue incantevoli sommità dorate, dove convivono religiosità e buon governo che qui, in Bhutan, sono praticamente indistinti; infatti, questo bianco (risaltato dal legno) e maestoso dzong, traduzione di fortezza, è centro religioso per i lama e, dal 1968, centro politico-amministrativo del Paese, che ospita anche la sala del trono e gli uffici del re del Bhutan. Un bell’esempio di convivenza spirituale e temporale. Il fiume, che gli scorre accanto, contribuisce all’incanto di questo luogo più volte attentato da terremoti ed incendi ma sempre ricostruito. E’ ora di entrare nella fortezza, salendo una scalinata (non quindi dall’ingresso principale che è riservato al re) valorizzata da affreschi con maestri spirituali e divinità tantriche.

Il cortile interno, circondato da templi, abitazioni dei monaci e uffici governativi, è immenso e mi fa desiderare di tornare in occasione di uno dei Tshechus che si tengono in Bhutan e, ovviamente, anche qui, a Thimpu, dove si svolge per tre o quattro giornate, tra settembre ed inizio ottobre e che è tra i più importanti perché vi partecipa la famiglia reale. In realtà, da tempo. le rappresentazioni si svolgono all’esterno sul lato nord del Palazzo. Assistere a queste grandi manifestazioni religiose è sempre un’esperienza perfetta per rimettersi in pace con se stessi e con gli altri ed è proprio questo il loro scopo, fortificare i legami sociali ed impartire dettami di compassione verso gli esseri umani sensibili. E poi, i monaci in abiti cerimoniali che, al ritmo della musica tantrica, eseguono le loro danze mistiche (cham) con il viso coperto da particolari maschere.

Festival di Thimpu

Del resto, Thimpu nasce, con poche case sparse, proprio attorno a questo dzong, prima di espandersi piano piano lungo le rive del fiume verso nord fino agli anni 70, periodo di accelerata crescita urbana, quando il Paese si è aperto al mondo circostante.

La giornata è terminata. Domani visiterò uno dei chorten più famosi, il Memorial Chorten e, questa volta, dovremo dirigerci verso sud. Risale al 1974, quando è stato costruito in onore del terzo Capo di Stato della dinastia Wangchuck. Chorten è il nome tibetano che i buddisti danno ai loro stupa e, normalmente, hanno una forma a bulbo o a campana e custodiscono reliquie umane; quello di Thimpu, con la sue guglie dorate, quella grande e quella piccola, ha invece una forma quasi piramidale e conserva, all’interno, solo una foto del sovrano che desiderava costruirne uno a rappresentare la mente del Buddha.

Memorial Chorten

Come in tutti i chorten, i fedeli fanno la kora, cioè camminano in senso orario intorno ad esso, seguendo il percorso del sole, per portare energia positiva. Con le rappresentazioni dei tre bodhisattva protettori del Buddha convivono, quasi fossero blasfeme, ma ovviamente non è così, le immagini di divinità in atti erotici con le consorti, tratte dalla tradizione tantrica secondo cui il sesso diventa fonte di energia spirituale, atto di sublimazione, estasi divina.

Ed io, stasera, mi sento particolarmente pura, protetta da un’aura quasi visibile, propensa al sonno più profondo di cui mai abbia goduto.

Testo by PassoinIndia Tours

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Le danze del festival di Paro (Bhutan).

Con la primavera, quando le nevi cominciano a scogliersi, a Paro, in Bhutan, lo Stato ormai noto per essere il più felice del mondo, ha luogo il Tshechu, uno dei festival religiosi buddisti più importanti dell’omonimo distretto. Questo evento attira moltissimi viaggiatori ma non è affatto costruito per essere un’attrazione turistica, trattandosi invece di una festa religiosa autenticamente celebrata dalle comunità locali bhutanesi. Tshechu significa “decimo giorno” essendo tenuta il decimo giorno del secondo mese del calendario lunare bhutanese, corrispondente al compleanno di Guru Rimpoche, il prezioso maestro.

Guru Rimpoche è il nome popolare di Guru Padmasambhava, parola che vuol dire “colui che è nato da un fiore di loto”; questo santo, intorno all’800 d.C., diffuse in Bhutan il Buddismo Vajrayana, (buddismo del veicolo del diamante) chiamato anche Buddismo Matrayana (veicolo dei mantra segreti) o anche Tantrayaba (veicolo del Tantra, da cui buddismo tantrico), che complessivamente è noto come buddismo tibetano di cui quindi Guru Rimpoche è considerato il fondatore. Si tratta di scuole, lignaggi e dottrine che promulgano nuovi insegnamenti mirati a raggiungere, intento comune a tutto il buddismo, la conoscenza e quindi l’illuminazione. Il buddismo butanese, pur originando da quello tibetano, ha poi assunto caratteristiche specifiche per rituali, liturgia e organizzazione monastica, secondo le regole del Buddismo Mahayana (il Grande Veicolo). Il Bhutan è il solo Paese al mondo che ha mantenuto il buddismo Mahayana, nella sua connotazione tantrica Vajrayana, come religione ufficiale di Stato.

Il festival di Paro si svolge ogni anno sin dal XVII° secolo, quando Zhabdrung Ngawang Namgyal (il fondatore dello stato del Bhutan) e Ponpo Rigzin Nyingpo lo iniziarono nel 1644 in occasione della consacrazione dello Dzong della città.

Lo Dzong, struttura tipica del Bhutan che ne conserva di straordinari e visitabili, è un edificio costruito come una fortezza in pietra (i tetti invece sono in legno e assemblati senza uso di chiodi con tecniche di incastro) il cui interno è tuttavia adibito a monastero e alla gestione degli affari amministrativi della comunità; si noti che, per ragioni di sicurezza, il primo piano non presenta mai alcuna finestra. Chi ha visto il film “Il piccolo Buddha” di Bernardo Bertolucci troverà familiare il Rinpung Dzong di Paro perché qui sono state ambientate alcune scene del film.

In realtà sono vari gli Tshechu che si tengono in varie zone, templi, monasteri e dzong del Bhutan in vari periodi dell’anno; praticamente ogni luogo importante del Bhutan ha il suo Tshechu, così come avviene a Thimphu (l’altro famoso insieme a quello di Paro), Punakha, Wangdue e Bumthang.

Durante questa festa che dura 5 giorni, al ritmo di tombe, cembali, flauti e canti popolari, si svolgono rituali e spettacolari danze e forme di teatro (cham) in coloratissimi ed elaborati costumi tradizionali dove i danzatori, monaci e laici, hanno il viso coperto da incredibili maschere dal profondo e particolare significato; danzando essi rappresentano delle storie o accadimenti dell’ VIII° secolo, il tempo di Guru Rimpoche di cui ricordano la vita e le gesta; durante le rappresentazioni vengono invocate le divinità e gli insegnamenti tantrici che con la loro benedizione hanno il potere di annientare il male e portare pace e felicità al Regno.

Per i bhutanesi, che per l’occasione indossano i loro gioielli e abiti migliori, bevono té al burro e bevande d’orzo, partecipare al Tshechu significa venire benedetti, purificarsi dai peccati e guadagnare meriti; per i turisti è sicuramente il modo migliore per avvicinarsi alla gente e alla cultura bhutanese. Il momento più importante del Tsechu di Paro (ma anche degli altri Tsechu) è quando nel cortile interno dello Dzong viene dispiegato il Thangka (o Tangka), un enorme arazzo, magnifico esempio di arte buddista, che viene esposto solo per poche ore all’alba dell’ultimo giorno della festa. Il termine deriva dalla parola “than” che significa “piano” e “ka” che vuol dire “dipinto”; quindi il Thangka è un tipo di dipinto realizzato su una superficie piana.

Questo dipinto di 30 × 45 metri raffigura Padmasambhava al centro affiancato dalle sue due consorti (Mandarava e Yeshe Tsogyal) e dalle sue otto incarnazioni. Di solito Padmasambhava viene raffigurato con baffi e barbetta mentre in mano tiene un “vajra” e una “khatvanga”. Quest’ultimo è lungo bastone, in origine un’arma, adottato poi come simbolo religionso nel buddismo Vajrayana. Il Vajra è quell’oggetto simbolico, costituito da una sfera centrale ai cui estremi si trovano due loti con otto petali (che rappresentano i due mondi opposti, quello fenomenico del Samsara e quello tangibile del Nirvana) che dal punto di vista del “vuoto” sono assolutamtne uguali; gli otto petali rappresentano i quattro Bodhisattva, gli illuminati, e le loro consorti. Questo simbolo è ricorrente anche nell’Induismo e nel Tantrismo il cui nome, dal sanscrito, significa “diamante” o “fulmine” e rappresenta l’infrangibilità, l’immutabilità e l’autenticità della Verità ultima ma anche la vacuità, vera essenza di tutti gli uomini e del reale; inoltre, la trasparenza del diamante indica anche che la mente illuminata è “chiara”, “limpida” e “vuota” ed il “vuoto” è rappresentato proprio dalla sfera, ha la stessa natura dell’illuminazione. La Verità è come il fulmine ed indistruttibile come il diamante che distrugge ignoranza e inconsapevolezza. Da Vajra deriva il nome Vajrayana cioè il “veicolo di diamante”, la terza grande trasformazione del buddismo dopo lo Hinayana e il Mahayana.

Chi guarda il grande arazzo riceve in dono la liberazione dal peccato e questo è proprio il significato letterale del termine bhutanese ‘thongdroel‘, così come è anche chiamato questo grande Thangka. Dopo l’estensione del Thangka hanno luogo la danza del Signore della Morte (Shingje Yab Yum) e della sua consorte, la Durdag (danza dei signori dei terreni di cremazione), la danza dei cappelli neri (Shanag), la danza del tamburo (Drametse Ngacham), la danza delle otto specie di spiriti (De Gye mang cham) e altri canti e danze tradizionali. Poi il thangka viene arrotolato e riposto all’interno del Dzong per essere nuovamente ammirato l’anno seguente.

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Quest’anno, nel 2017, il festival di Paro si terrà dal 7 al 11 aprile.

Per il festival di Thimpu queste sono le date:

Thimpu Drubchen: dal 25 al 29 settembre 2017

Thimpu Tsechu dal 30 settembre al 2 ottobre 2017

Paro (2.250 m.s.l.m.) si trova in una delle più ampie valli del regno, la Paro Valley, ricca di risaie fertili, attraversata da un fiume di acqua purissima. Anche al di fuori del festival Paro merita una visita essendovi più di 155 templi e monasteri nel distretto, alcuni del XIV° secolo. Spettacolare è il monastero di Taktsang, chiamato “il nido della tigre” che si aggrappa ad una scogliera rocciosa a strapiombo sulla valle, raggiungibile con una salita a piedi o a dorso di mulo attraverso boschi di querce e rododendri. Secondo la tradizione bhutanese Padmasambhava si fermò qui quando arrivò in Bhutan volando aggrappato alla sua moglie tibetana Yeshe Tsogyal, trasformata in una tigre volante, da cui il nome del monastero.

Paro dispone di aeroporto internazionale e già il sorvolo è uno spettacolo.